Ricorso ex art. 111 Cost. ed eccesso di potere per sconfinamento nelle prerogative del legislatore

L'eccesso di potere giurisdizionale è configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete.

È questo il principio di diritto affermato invero, ribadito , dalle Sezioni Unite Ordinanza n. 22571/19, depositata il 10 settembre , in occasione di un ricorso dichiarato inammissibile. Il caso. Una società impugnava avanti al giudice amministrativo un provvedimento con il quale essa era stata diffidata dall’esercitare una sala di pubblico gioco, per violazione della specifica normativa in tema di rispetto delle distanze rispetto a edifici scolastici e rispetto ad un municipio . Il Tar rigettava il ricorso e il Consiglio di Stato confermava la decisione di prime cure. Il ricorso ex art. 111, comma 8, Costituzione. Seguiva il ricorso per cassazione avanti alle Sezioni Unite, essenzialmente per ragioni di giurisdizione, facendo valere il cosiddetto vizio di eccesso di potere giurisdizionale. In altre parole il ricorso veniva proposto ex art. 111, comma 8, Costituzione, secondo cui contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. La censura l’eccesso di potere di giurisdizione per sconfinamento nelle prerogative del legislatore. Più precisamente la ricorrente ha censurato la decisione gravata per un eccesso di potere di giurisdizione per sconfinamento nelle prerogative del legislatore, assumendo che il Consiglio di Stato aveva basato la propria decisione di rigetto dell’appello facendo propria una interpretazione delle norme di interesse per il caso specifico andando ben oltre una semplice attività, appunto, di interpretazione, finendo in tal modo per basare il proprio convincimento su una norma creata” dalla sua stessa attività interpretativa. Da qui il vizio per sconfinamento”. Ricorso inammissibile l’attività interpretativa è una prerogativa ineludibile. Ma secondo gli Ermellini tale impostazione del ricorso rappresenta una forzatura tale da determinarne l’inammissibilità. Infatti, nel fare luogo all’interpretazione della disciplina normativa nonché degli atti amministrativi in argomento, il Consiglio di Stato non ha integrato il lamentato sconfinamento dei propri poteri, ma dei medesimi ha fatto necessario esercizio, poiché l'attività d'interpretazione delle norme rientra proprio nei limiti interni della giurisdizione esercitata. L'interpretazione della legge o la sua disapplicazione sono il proprium della funzione giurisdizionale. Più in generale, le SS.UU. ribadiscono che in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l'interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo legittimante il ricorso ex art. 111, comma 8, Cost., fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell'applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale. L’eccesso di potere giurisdizionale si ha in caso di creazione dal nulla di una norma inesistente. Detto diversamente, l'eccesso di potere giurisdizionale è configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete. La rilevanza, quindi, dell’error in iudicando Ed una simile ipotesi invero non ricorre allorquando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, maggior ragione allorquando questa abbia correttamente come nel caso oggetto di ricorso desunto non argomentando dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì anche dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale del giudice amministrativo avuto riguardo al sistema normativo invocato, in termini che non comportano la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, tale operazione ermeneutica potendo al più dare luogo ad un error in iudicando , sottratto al sindacato delle Sezioni Unite. e di quello in procedendo. Del resto, non costituiscono diniego di giurisdizione da parte del Consiglio di Stato o della Corte dei conti , gli errori in procedendo” o in iudicando”, ancorché riguardanti il diritto dell'Unione europea, salvo i casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento nazionali o dell'Unione tali da ridondare in denegata giustizia, ed in particolare, salvo il caso, tra questi, di errore in procedendo” costituito dall'applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l'accesso alla tutela giurisdizionale nell'ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell'Unione europea, direttamente applicabili, secondo l'interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia. n conclusione, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proposto al di fuori del perimetro applicativo di cui al ricorso ex art. 111, comma 8, Costituzione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza 23 ottobre 2018 – 10 settembre 2019, n. 22571 Presidente D’Antonio – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza del 27/6/2017 il Consiglio di Stato ha respinto il gravame interposto dalla società Nordest Gaming s.r.l. in relazione alla pronunzia Tar Veneto n. 1078 del 2016, di rigetto della domanda da quest’ultima proposta di annullamento del provvedimento del Comune di Venezia con il quale era stata diffidata dall’esercitare la sala pubblica da gioco perché situata ad una distanza di 95 metri dal Municipio di Marghera ed a 295 metri da edifici scolastici, nonché dell’art. 30 del Regolamento Edilizio adottato con delibera del Commissario Straordinario con i poteri del Consiglio Comunale n. 42 del 2 aprile 2015, che indica tali luoghi come sensibili . Avverso la suindicata pronunzia del giudice amministrativo d’appello la società Nordest Gaming s.r.l. propone ora ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., affidato a 2 motivi. Resiste con controricorso il Comune di Venezia. Anteriormente all’udienza il Ministero dell’interno ha prodotto tardivo atto denominato atto di costituzione , ove dichiara di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 . L’altra intimata non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione Va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’interno tardivamente effettuata con atto denominato atto di costituzione , invero non qualificabile come controricorso, atteso che il relativo contenuto si sostanzia nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1 v. Cass., 18/4/2019, n. 10813 Cass., 25/9/2012, n. 16261 Cass., 9/3/2011, n. 5586 . A tale stregua risulta da detta Amministrazione invero violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base al quale il controricorso deve a pena di inammissibilità contemplare l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale v. Cass., 13/3/2006, n. 5400 . Ne consegue che, giusta orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi art. 370 c.p.c., comma 1, alla parte contro la quale è diretto il ricorso, la quale non abbia depositato il controricorso situazione cui deve equipararsi quella in cui come nella specie trattisi di atto non qualificabile come tale, in quanto privo dei relativi requisiti essenziali , nel periodo che va dalla scadenza del termine per la proposizione del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio -anche se soltanto ai fini della partecipazione alla discussione orale o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. v. Cass., Sez. Un., 11/4/1981, n. 2114 Cass., 28/5/1980, n. 3513 Cass., 9/8/1962, n. 2486 . Ai fini della sanatoria, con effetto ex nunc, dell’irrituale attività processuale compiuta nelle more v. Cass., 28/5/1980, n. 3513 non può d’altro canto nel caso nemmeno valorizzarsi la concreta partecipazione dell’intimato alla discussione orale, non essendo il medesimo nella specie comparso all’udienza. Come si è al riguardo altresì precisato, tale principio trova conferma anche nel procedimento camerale ex art. 380 bis 1 c.p.c. introdotto dall’art. 1 bis, comma 1, lett. f , conv., con modif., nella L. n. 197 del 2016 v. Cass., 18/4/2019, n. 10813. Cfr. altresì, in relazione alla mancanza di controricorso notificato nei termini di legge e al deposito di memorie illustrative ex art. 378 c.p.c., da ultimo, Cass., 28/2/2019, n. 5798 Cass., 5/10/2018, n. 24422 Cass., 20/10/2017, n. 24835 Cass., 7/7/2017, n. 16921 . Con entrambi i motivi la ricorrente denunzia eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nelle prerogative del legislatore . Si duole che -sulla base di una creativa interpretazione analogica delle norme di cui alla L.R. Veneto n. 6 del 2015, art. 20, comma 3, e dell’art. 30 del Regolamento Edilizio del Comune di Venezia-il giudice amministrativo d’appello abbia esteso il regime delle distanze minime anche alla fattispecie astratta in cui la presenza prima del trasferimento di una sala giochi ricada al di sotto dei discussi 500 metri . Lamenta che, a tale stregua, il giudice dell’appello non ha interpretato una disposizione urgente, ma ne ha modificato in senso estensivo l’ambito di applicazione così come delineato dal legislatore , e ha creato una vera e propria causa di decadenza e inibizione dell’attività già autorizzata di giochi e scommesse, non prevista dalla legge . Si duole che il giudice del gravame abbia accordato alla sentenza della Corte Costituzionale n. 108/2017 un contenuto che essa non possiede, usurpando le prerogative del giudice delle leggi, in violazione del principio Kompetenz-Kompetenz delle varie corti sulla funzione nomofilattica loro affidata . I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili. Chiamato a pronunziare in ordine alla questione se il regime delle distanze minime , come configurate dalla L.R. Veneto n. 6 del 2015, art. 20, comma 3 lett. a , nel fare richiamo alla recente pronunzia Corte Cost. n. 108 del 2017, il Consiglio di Stato ha nell’impugnata sentenza osservato come si sia dal giudice della legittimità costituzionale delle leggi ritenuto del tutto condivisibile il criterio secondo il quale la distanza lineare indicata dalla norma regionale pugliese -del tutto identico a quello della previsione regolamentare veneziana segna il distacco minimo delle attività avute di mira rispetto alle aree tutelate luoghi sensibili , sia pure in presenza di un’infelice doppia negazione che rende l’interpretazione non immediata e che è assente invece della recte, nella norma che governa la controversia ora in esame . Il giudice amministrativo d’appello, nel sottolineare come la Corte Costituzionale abbia richiamato la propria costante giurisprudenza sull’assenza di una violazione dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. h, ossia dell’invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006 in base alla quale non si possono ricondurre a tale materia previsioni che prevedano distanze minime dai luoghi sensibili per la collocazione di sale e apparecchi da gioco sentenza n. 300 del 2011 , poiché la ratio e la finalità della disciplina stabilita non sono quelle di contrastare il gioco legale, nè di disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti, aspetti questi che ricadono nell’ambito della materia ordine pubblico e sicurezza , ma riguardano essenzialmente una misura di prevenzione logistica della dipendenza da gioco d’azzardo , ha quindi sottolineato essere la previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi cosiddetti sensibili utile per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della dipendenza da gioco d’azzardo fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo . Posto in rilievo che la disposizione in esame persegue in via preminente finalità di carattere socio-sanitario estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente tutela della salute art. 117 Cost., comma 3, -, materia insistita nel rango della cosiddetta potestà concorrente Stato-Regioni, in cui può rientrare la protezione delle fasce dei consumatori psicologicamente deboli a fronte dell’offerta dei giochi in termini di prevenzione di forme di gioco cosiddetto compulsivo sentenza n. 300 del 2011 , il Consiglio di Stato è quindi pervenuto a non accogliere la distinzione, su cui insiste l’appellante, tra apertura di una nuova sala da giochi ed il suo mero trasferimento in altro locale, anche a distanza ridotta , affermando che se la distanza dai luoghi sensibili costituisce una misura ragionevole ed utile per mettere un freno alla ludopatia, sarebbe del tutto illogico ammettere il superamento delle distanze in caso di trasferimento di una sala giochi”. Ha pertanto sottolineato come il principio valga anche allorché, come nel caso di specie, la presenza prima del trasferimento di una sala giochi ricada al di sotto dei discussi 500 metri se questa è una realtà preesistente a qualsiasi disposizione contenente il divieto in questione, disposizione che secondo la Corte Costituzionale può intervenire anche su iniziativa comunale anche in assenza di una corrispondente legge regionale, così come avvenuto nella generalità dei casi, non potranno recte, potranno certo non intervenire provvedimenti repressivi, poiché il fine delle disposizioni è comunque quello di porre un freno” all’esistente . Orbene, nel fare luogo all’interpretazione della disciplina normativa nonché degli atti amministrativi in argomento nei sopra riferiti termini, il Consiglio di Stato non ha invero integrato il lamentato sconfinamento dei propri poteri, ma dei medesimi ha fatto necessario esercizio, l’attività d’interpretazione delle norme rientrando nei limiti interni della giurisdizione esercitata. Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare in tema di sindacato della Corte Suprema di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, l’interpretazione della legge o la sua disapplicazione rappresentano invero il proprium della funzione giurisdizionale, e non possono pertanto integrare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo legittimante il ricorso ex art. 111 Cost., comma 8, fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380 . L’eccesso di potere giurisdizionale è dunque configurabile solo ove il giudice applichi non già la norma esistente bensì una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. Orbene, tale ipotesi invero non ricorre allorquando come nel caso il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, a fortiori allorquando questa abbia come nella specie correttamente desunto non argomentando dal mero tenore letterale delle singole disposizioni bensì anche dalla relativa ratio, nel legittimo esercizio della potestà giurisdizionale del giudice amministrativo avuto riguardo al sistema normativo invocato, in termini che non comportano la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, tale operazione ermeneutica potendo al più dare luogo ad un error in iudicando v. Cass., Sez. Un., 12/12/2012, n. 22784 , sottratto al sindacato di queste Sezioni Unite cfr. Cass., 13/6/2019, n. 15893 Cass., Sez. Un., 14/12/2016, n. 25628 Cass., Sez Un., 10/9/2013, n. 20698. Cfr. altresì, con riferimento all’error in procedendo costituito dall’applicazione di regola processuale interna incidente nel senso di negare alla parte l’accesso alla tutela giurisdizionale nell’ampiezza riconosciuta da pertinenti disposizioni normative dell’Unione Europea, direttamente applicabili, secondo l’interpretazione elaborata dalla Corte di giustizia, Cass., Sez. Un., 29/12/2017, n. 31226 nonché, in relazione alla violazione dell’obbligo di rimessione alla Corte di Giustizia delle questioni relative all’interpretazione delle norme dell’U. E., Cass., Sez. Un., 15/11/2018, n. 29391 . Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente Comune di Venezia, seguono la soccombenza. Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’altra intimata, non avendo la medesima svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente Comune di Venezia. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.