La peculiarità dell’azione di arricchimento senza causa svolta nei confronti della P.A.

La diminuzione patrimoniale dell’autore di una prestazione d’opera non può corrispondere alla misura del compenso parametrato secondo tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati, ricomprende il sacrificio di tempo e di energie mentali e fisiche del professionista, del cui valore si deve, perciò, tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno tale operazione per la difficoltà di determinazione del preciso ammontare ben può essere oggetto di liquidazione di carattere equitativo ex art. 1226 c.c., formulabile anche d’ufficio.

La fattispecie. Nel caso in esame il professionista, incaricato di quantificare i danni subiti dagli agricoltori a causa del maltempo, aveva dovuto ricorrere al Tribunale onde ottenere la corresponsione dell’importo maturato per lo svolgimento della propria attività e, in subordine, ha svolto domanda per arricchimento senza causa. I presupposti per poter proporre la domanda di arricchimento senza causa . Ai sensi dell’art. 2041 c.c. i presupposti dell’azione di arricchimento senza causa vanno ravvisati a nell’arricchimento senza causa di un soggetto b nell’ingiustificato depauperamento di un altro c nel rapporto di causalità diretta e immediata tra le due situazioni di modo che lo spostamento risulti determinati da un unico fatto costituito d nella sussidiarietà dell’azione ovverosia che essa può avere ingresso solo ove non sussiste un’altra azione tipica. L’arricchimento senza causa contro la P.A Secondo la Corte di legittimità l’azione di arricchimento senza causa nei confronti della P.A. può riguardare unicamente le spese sostenute e le perdite patrimoniali subite dal privato ma non anche i benefici e le aspettative connessi con il corrispettivo non percepito dell’opera, della fornitura o della prestazione professionale. Tale orientamento è conforme ai principi generali di buon andamento della P.A., che trova fondamento nell’art. 97 della Carta Fondamentale dei Diritti, ed è teso a sollecitare un più rigoroso rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte che operano nelle gestioni locali. I limiti dell’indennizzo dovuto dalla P.A. . Vero è che, ai fini della determinazione della depauperatio del professionista, non possono essere utilizzate sci et simpliciter le tariffe professionali tuttavia non è corretto neppure individuare la depauperatio nelle sole spese adeguatamente dedotte e comprovate senza tener conto della diminuzione patrimoniale dell’autore di una prestazione d’opera. e la quantificazione. Ne consegue che il Giudice, nel determinare l’indennizzo, deve utilizzare il metodo equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c. il quale deve esprimere, in termini economici, il valore del sacrificio di tempo e di energie mentali e fisiche del professionista al netto della percentuale di guadagno. Principio che è conforme al precedente espresso dalle Sezioni Unite n. 23385/08 il quale prescrive di comprende nell’indennizzo tutto il patrimonio che il professionista ha perduto, in elementi e in valore, rispetto alla propria precedente consistenza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 9 aprile – 29 maggio 2019, n. 14670 Presidente Sambito – Relatore Scotti Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 28/7/2005 P.C. ha convenuto, dinanzi al Tribunale di Brindisi, il Comune di Brindisi, per sentirlo condannare al pagamento dell’indennizzo da arricchimento senza causa, scaturente dall’attività professionale da lui svolta per la valutazione dei danni subiti da agricoltori in conseguenza di calamità atmosferiche. L’attore ha esposto di aver ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento del compenso, opposto dal Comune e quindi revocato con sentenza del 27/1/1997 del Tribunale di Brindisi e ha aggiunto che la successiva domanda di indebito arricchimento da lui svolta, solo in grado di appello, era stata dichiarata inammissibile, per novità, dalla Corte d’appello di Lecce. Il Comune di Brindisi si è costituito, resistendo alla domanda e il giudizio è stato riunito con altro, di contenuto analogo, instaurato da M.F. . Il Tribunale di Brindisi, con sentenza 31/8/2010, ha accolto la domanda proposta dall’attore e ha condannato il Comune di Brindisi al pagamento della somma di Euro 130.000,00 oltre interessi, rivalutazione e spese di giudizio. 2. In accoglimento del successivo gravame, proposto dal Comune, la Corte d’appello di Lecce, con sentenza 28/8/2012, ha confermato la statuizione in favore del M. e ha invece dichiarato l’intervenuta prescrizione del diritto di credito del P. a titolo di arricchimento senza causa, con compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte territoriale ha ritenuto che la notificazione della domanda di indennizzo per arricchimento senza causa proposta nel precedente giudizio solo in grado di appello e dichiarata inammissibile, per novità, ex art. 345 c.p.c., non avesse efficacia interruttiva, nemmeno puntuale nel tempo la Corte territoriale ha sostenuto che, in assenza di precedenti giurisprudenziali di legittimità in termini, si dovesse ritenere inefficace a fini interruttivi, anche solo istantanei, ai sensi dell’art. 2943 c.c., commi 1 e 2, un atto inidoneo ad instaurare un processo, o ad introdurvi ritualmente, nel prosieguo, una domanda, quale, nella specie, un atto di appello, volto a promuovere un’impugnazione, nella quale non erano ammissibili domande nuove, e per di più, notificato al difensore, rappresentante solo tecnico della parte sostanziale, e non a quest’ultima, personalmente. 3. Avverso la sentenza, notificata il 15/5/2013, P.C. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in unico motivo e notificato l’11/7/2013, deducendo la violazione degli artt. 1219, 2943 e 2945 c.c., nonché dell’art. 170 c.p.c., per aver ritenuto inidoneo l’atto di appello a interrompere la prescrizione. Con sentenza del 27/1/2016 n. 1516, le Sezioni Unite, alle quali il ricorso era stato assegnato, hanno accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità. 4. Riassunto il processo ex art. 392 c.p.c., in data 27/5/2016 la causa è tornata in decisione dinanzi alla Corte di appello di Lecce che, con sentenza del 25/10/2017, ha nuovamente accolto l’appello del Comune, rigettando la domanda proposta dal P. , a spese compensate. La Corte territoriale ha ritenuto che dovessero ancora essere affrontati il quinto motivo di appello violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 - rectius 1226 - c.c. , il sesto motivo di appello erronea determinazione del quantum debeatur sulla base delle tariffe professionali e violazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova, e il settimo motivo di appello violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato ha ritenuto che l’indennizzo dovesse essere ragguagliato all’accertata effettiva perdita patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione, gravato dall’onere probatorio ha rilevato che l’attore non aveva dedotto i costi sostenuti e anticipati per lo svolgimento dell’attività, né allegato l’impossibilità di provvedere alla relativa prova ha ritenuto che non potesse essere ristorato il mancato guadagno, che riguardava sia la remunerazione dello specifico rapporto intercorso con l’Ente pubblico, sia la perdita di possibili alternative chances lavorative ha sostenuto che l’attore non aveva mai provato, né chiesto di provare, il depauperamento patrimoniale subito, né dedotto l’impossibilità di provvedervi ha concluso rilevando la mancanza di elementi utili alla formulazione di un giudizio equitativo non arbitrario, diversi dalle tariffe professionali a cui si era riferito il C.t.u. non utilizzabili. 5. Avverso la predetta sentenza del 17/10/2017, non notificata, con atto notificato il 17/4/2018 ha proposto ricorso per cassazione P.C. , svolgendo due motivi. Con atto notificato il 28/5/2018 ha proposto il Comune di Brindisi, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione. Il ricorrente ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2908 c.c., e artt. 324, 371, 384 e 394 c.p.c., nonché violazione e/o falsa applicazione dei principi di diritto in tema di giudicato interno e poteri del giudice del rinvio. 1.1. Secondo il ricorrente sulla sussistenza e sulla misura del diritto del P. all’indennizzo si era formato il giudicato interno, giacché la statuizione di rigetto contenuta nella sentenza n. 656/2012 della Corte di appello di Lecce aveva implicato l’accertamento del diritto all’indennizzo riconosciuto nella stessa sentenza al M. complessivamente considerato e vagliato nell’an e nel quantum, quale antecedente logico e giuridico della dichiarazione di prescrizione, peraltro riferita appunto al diritto accertato. 1.2. Il motivo è infondato. Non è certamente condivisibile in linea generale l’assunto del ricorrente secondo il quale la dichiarazione di prescrizione di un diritto fatto valere in giudizio presuppone logicamente e giuridicamente il previo accertamento dell’esistenza del diritto. Al contrario, l’accoglimento di una eccezione, come quella di prescrizione, che ha natura di eccezione preliminare di merito, normalmente non presuppone l’esame del merito, come conferma la scansione, sequenzialmente ordinata, dei possibili contenuti della sentenza contenuta nell’art. 279 c.p.c., comma 2, che antepone al n. 2 la decisione delle questioni preliminari di merito a quella del merito della causa n. 3 . In ogni caso, secondo questa Corte, nell’esaminare le varie questioni prospettate dalle parti, il giudice è tenuto a dare priorità solo a quelle che, per loro natura e contenuto - come le pregiudiziali e le preliminari - meritano logica e giuridica precedenza mentre, negli altri casi, seppure l’opportunità di un loro coordinamento logico può suggerire una considerazione prioritaria di talune questioni rispetto ad altre ed un particolare ordine di gradualità logica può apparire utile o apprezzabile, è tuttavia da escludere che il rispetto di un qualsiasi ordine prestabilito costituisca una condizione di legittimità della decisione, la quale può affrontare le varie questioni secondo la distribuzione ritenuta più opportuna Sez.2, 06/07/2018, n. 17909 . Né può essere condiviso l’assunto del ricorrente che ravvisa l’implicito accertamento della sussistenza del diritto nel mero riferimento ad esso contenuto nella statuizione dichiarativa della prescrizione, che svolge l’esclusiva funzione di determinare l’oggetto della declaratoria in relazione alla domanda proposta in giudizio. Le conclusioni non possono essere diverse, avuto riguardo al tenore in concreto della prima pronuncia di secondo grado n. 656/2012 della Corte di appello di Lecce, cassata da questa Corte in punto prescrizione infatti tale sentenza, dopo l’esame delle eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Comune di Brindisi, ha proceduto all’esame dell’eccezione di prescrizione, distintamente, con riferimento alle separate posizioni dei due attori appellati, e solo dopo aver definito, negativamente con l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione per P.C. , è passata all’esame della posizione del M. nel merito, sicché solo alla posizione di costui, pur analoga a quella del P. , si riferiscono le ulteriori argomentazioni e statuizioni della pronuncia. 2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2041, 1226 e 2697 c.c., nonché dei principi di diritto in punto quantificazione e liquidazione dell’indennizzo da ingiustificato arricchimento. 2.1. Escluso il lucro cessante, il danno emergente doveva essere liquidato nella sua globalità, e quindi doveva includere non solo le spese sostenute ma anche le perdite patrimoniali, reintegrando il patrimonio del depauperato in tutti i suoi elementi e valori, avuto riguardo a tutti i rapporti giuridici suscettibili di valenza economica, ivi incluso lo spreco dell’attività lavorativa prestata per più lustri senza compenso. Le tariffe professionali, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte salentina, costituivano idoneo parametro per la valutazione del risparmio di spesa lucrato dalla P.A 2.2. Ai sensi dell’art. 2041 c.c., i presupposti per la proposizione dell’azione generale di arricchimento senza causa vanno ravvisati a nell’arricchimento senza causa di un soggetto b nell’ingiustificato depauperamento di un altro c nel rapporto di causalità diretta ed immediata tra le due situazioni, di modo che lo spostamento risulti determinato da un unico fatto costitutivo d nella sussidiarietà dell’azione art. 2042 c.c. , nel senso che essa può avere ingresso solo quando nessun’altra azione sussista ovvero se questa, pur esistente in astratto, non possa essere esperita per carenza ab origine di taluno dei suoi requisiti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella sua massima espressione nomofilattica, nei confronti della Pubblica Amministrazione il diritto all’indennità per arricchimento senza causa riguarda le spese sostenute e le perdite patrimoniali subite dal privato danno emergente , ma non anche i benefici e le aspettative connessi con il corrispettivo non percepito dell’opera, della fornitura o della prestazione professionale lucro cessante l’art. 2041 c.c., deve essere interpretato nel senso di escludere dal calcolo dell’indennità richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore di una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace Sez. un., 11/09/2008, n. 23385 . In particolare, in motivazione, le Sezioni Unite dopo aver chiarito che il professionista autore della prestazione non ha diritto ad una controprestazione, né, tanto meno, a quella stessa prestazione che gli sarebbe spettata se il contratto stipulato fosse stato valido ed efficace, per l’insussistenza di un rapporto sinallagmatico, ha preso in esame l’orientamento giurisprudenziale, che faceva ricorso alla finzione che il negozio sussistesse al limitato fine di determinare le utilità spettanti all’impoverito, con sistematico riferimento sia pure in via indiretta e meramente parametrica, al corrispettivo contrattualmente previsto ovvero a quello stabilito dalle tariffe professionali, nonché ad ogni ulteriore condizione contrattuale più favorevole all’autore della prestazione, pervenendo in tal modo a una liquidazione estremamente favorevole all’impoverito, ed il più delle volte addirittura premiale. Le Sezioni Unite hanno inteso ribadire che l’attività negoziale della P.A. è comunque soggetta a specifiche condizioni e limitazioni apposte direttamente dal legislatore, costituite dalle regole c.d. dell’evidenza pubblica che presidiano e condizionano l’attività negoziale della P.A., costituenti un vero e proprio sistema rigido e vincolante anche se tali principi devono essere contemperati con la regola di carattere generale che non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili neppure a favore della P.A., tali regole, rivolte a sollecitare un più rigoroso rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte di coloro che operano nelle gestioni locali, sono ricollegabili al buon andamento, di dette amministrazioni in un quadro di certezza e di trasparenza, e trovano oggi fondamento nello stesso art. 97 Cost Si tratta, dunque, di regole assolutamente inderogabili ed aventi forza talmente cogente da invalidare e travolgere qualsiasi convenzione con esse confliggente, per cui sarebbe del tutto illogico utilizzare il rimedio dell’art. 2041 c.c., per renderle inoperanti e ricollocare l’autore della prestazione nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se avesse concluso con successo proprio quel contratto che la legge considera assolutamente invalido o addirittura giuridicamente inesistente, perciò consentendone la sostanziale neutralizzazione in nome di imprecisate esigenze equitative. Le Sezioni Unite ne hanno quindi desunto che allorché sia esperita nei confronti della P.A., la depauperazione di cui all’art. 2041 c.c., deve comprendere tutto quanto il patrimonio ha perduto in elementi ed in valore rispetto alla propria precedente consistenza, ma non anche i benefici e le aspettative connessi con la controprestazione pattuita quale corrispettivo dell’opera, della fornitura, o della prestazione professionale, non percepito quale esemplificativamente, per quanto qui interessa, il profitto di impresa, le spese generali e la retribuzione dell’opera che non sia consistita nella progettazione o direzione dei lavori , con i relativi accessori, nonché ogni altra posta rivolta ad assicurare egualmente al richiedente - direttamente o indirettamente, tramite il ricorso ai parametri di cui si è detto - quanto si riprometteva di ricavare dall’esecuzione del contratto o che è lo stesso dall’esecuzione di analoghe attività remunerative nello stesso periodo di tempo. Tali principi sono stati recentemente ribaditi dalla giurisprudenza delle Sezioni semplici di questa Corte Sez.3 n. 9317 del 4/4/2019 Sez. 3, n. 19886 del 06/10/2015, Rv. 637195-01 Sez. 1, n. 20648 del 07/10/2011,Rv. 619855 - 01 Sez. 3, n. 23780 del 07/11/2014, Rv. 633449 - 01 , pur con alcune incertezze e contrasti in senso difforme Sez. 1, n. 19942 del 29/09/2011, Rv. 619548 Sez. 3, n. 26193 del 06/12/2011 secondo la prevalente giurisprudenza, conforme all’arresto delle Sezioni Unite, condivisa dal Collegio, l’indennizzo per ingiustificato arricchimento dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività a favore della P.A., ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale che avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore di un privato, né in base all’onorario che la P.A. avrebbe dovuto pagare se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto d’un contratto valido. Non è in contrasto con il predetto orientamento l’assunto che qualora, per lo svolgimento di un’attività professionale, debba essere riconosciuto un indennizzo per arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., la quantificazione dell’indennizzo medesimo può essere effettuata utilizzando la tariffa professionale come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido Sez. 6 - 1, n. 351 del 10/01/2017, Rv. 642780 - 01 in tal caso il parametro della tariffa professionale viene utilizzato per stabilire il risparmio di spesa conseguito dalla Pubblica Amministrazione, che ha usufruito di prestazioni professionali che diversamente avrebbe dovuto retribuire sul mercato, secondo tariffa, ossia per stabilire l’entità della locupletatio maturata per la Pubblica Amministrazione. La tariffa professionale, invece, non può essere utilizzata, sic et simpliciter quale parametro per determinare la depauperatio del professionista, attribuendogli esattamente quel che avrebbe ricavato dal contratto di prestazione d’opera intellettuale validamente stipulato, senza incorrere in contraddizione con i chiari e condivisibili principi elaborati dalla sentenza del 2008 delle Sezioni Unite. Giova ricordare che ai sensi dell’art. 2041 c.c., chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale, sicché l’indennizzo per ingiustificato arricchimento va commisurato alla minor somma fra diminuzione patrimoniale depauperatio e arricchimento locupletatio che costituisce il limite invalicabile dell’attribuzione. 2.3. Tanto premesso, la Corte territoriale, partendo dall’esatta premessa di non poter determinare l’indennizzo sulla base delle tariffe professionali, ossia con riferimento al compenso che sarebbe spettato al professionista se il contratto fosse stato effettivamente e correttamente stipulato, ha erroneamente parametrato la nozione di impoverimento dell’attore alle spese sostenute, non adeguatamente dedotte e comprovate, senza tener conto del fatto che la diminuzione patrimoniale dell’autore di una prestazione d’opera, sia pur non corrispondendo alla misura del compenso parametrato secondo tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione art. 2333 c.c. , doveva pur sempre esprimere in termini economici il valore del sacrificio di tempo e di energie mentali e fisiche del professionista, al netto della percentuale di guadagno. Operazione questa che per la difficoltà di precisa determinazione ben poteva e doveva essere oggetto di valutazione di carattere equitativo ex art. 1226 c.c., formulabile anche d’ufficio Sez. 1, 13/04/2015, n. 7415 , anche in materia di ingiustificato arricchimento tenendo conto del tempo e delle energie dedicati dal professionista all’esecuzione dell’opera utilizzata dall’ente pubblico, senza la possibilità di far ricorso a parametri contrattuali Sez. 3, 23/09/2015, n. 18804 Sez. 1, 18/06/2008, n. 16577 Sez. 3, 29/03/2005, n. 6570 . Del resto, la sentenza 23385/2008 delle Sezioni Unite prescrive di comprendere nell’indennizzo tutto quanto il patrimonio del professionista ha perduto in elementi ed in valore rispetto alla propria precedente consistenza, seppur non anche i benefici e le aspettative connessi con la controprestazione pattuita quale corrispettivo, non percepito, della prestazione professionale. 3. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione al secondo motivo con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità, che si atterrà al seguente,principio di diritto La diminuzione patrimoniale dell’autore di una prestazione d’opera non può corrispondere alla misura del compenso parametrato secondo tariffa professionale e nel rispetto dei fattori di importanza dell’opera e del decoro della professione art. 2233 c.c. , ma, oltre ai costi ed esborsi sopportati, ricomprende il sacrificio di tempo e di energie mentali e fisiche del professionista, del cui valore si deve, perciò, tener conto in termini economici, al netto della percentuale di guadagno tale operazione per la difficoltà di determinazione del preciso ammontare ben può essere oggetto di liquidazione di carattere equitativo ex art. 1226 c.c., formulabile anche d’ufficio . P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.