Espulsione vietata fino alla scadenza del termine previsto per l’impugnazione della pronuncia di rigetto della protezione

Il verificarsi di una delle situazioni, alternative tra loro, di cui all’art. 32, comma 4, d.lgs. n. 25/2008 comporta l’obbligo del richiedente la protezione internazionale di lasciare il territorio nazionale solo dopo che sia decorso il termine previsto per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, di manifesta infondatezza e di inammissibilità.

Questo è stato affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 13891/19, depositata il 22 maggio. La vicenda. Un cittadino straniero riceveva contestualmente la notifica del provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale da lui richiesta e quella di un decreto di espulsione con concessione di un termine per la partenza volontaria e divieto di reingresso in Italia per 3 anni. Così lo straniero propone ricorso per cassazione. L’espulsione dello straniero. Il d.lgs. n. 25/2008 indica 5 ipotesi differenti tra loro che si sostanziano in rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda ritiro della domanda prima dell’ascolto del ricorrente dinanzi alla competente Commissione territoriale dichiarazione di inammissibilità della domanda per esistenza di preesistente protezione dichiarazione di inammissibilità della domanda reiterata in assenza di nuove allegazioni da parte del ricorrente. Si tratta, appunto, di ipotesi ben distinte tra di loro che non possono cooperare, infatti il GdP, nel caso in esame, ha errato nel ritenere che potessero coesistere contemporaneamente un ritiro della domanda con una sua dichiarazione di inammissibilità oppure di manifesta infondatezza o ancora con una pronuncia di rigetto. Per tali ragioni, la S.C. accoglie il ricorso del cittadino straniero affermando che, il verificarsi di una delle situazioni, alternative tra loro, di cui all’art. 32, comma 4, d.lgs. n. 25/2008 comporta l’obbligo del richiedente la protezione internazionale di lasciare il territorio nazionale solo dopo che sia decorso il termine previsto per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, di manifesta infondatezza e di inammissibilità disciplinate ai commi precedenti dello stesso articolo. Conseguentemente, è vietata l’espulsione, anche in assenza di provvedimento di sospensione dell’efficacia di tali pronunce, sino alla scadenza del termine di cui anzidetto .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 aprile – 22 maggio 2019, n. 13891 Presidente De Chiara – Relatore Oliva Fatti di causa In data 12.12.2017 il ricorrente riceveva la notificazione del provvedimento di rigetto, per manifesta infondatezza, della domanda di protezione internazionale da lui presentata. Contestualmente riceveva la notificazione di un decreto di espulsione emesso dalla Questura di Ravenna, con concessione di termine per la partenza volontaria e divieto di reingresso in Italia per un periodo di tre anni. Il L. interponeva opposizione avverso detto provvedimento che il Giudice di Pace di Ravenna, con il provvedimento oggi impugnato, rigettava sul presupposto che l’espulsione costituirebbe un atto dovuto e consequenziale al rigetto della domanda di protezione per manifesta infondatezza e che alla fattispecie non potesse applicarsi la disposizione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, in quanto tale ipotesi si applica quando il rigetto della domanda è congiunto al verificarsi delle ipotesi previste dagli artt. 23 e 29 del medesimo decreto . Propone ricorso per la cassazione di detta decisione il ricorrente, affidandosi ad un unico motivo. Il ricorrente ha depositato memoria. Il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Ignazio Patrone, ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perché il Giudice di Pace avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la disposizione anzidetta soltanto a condizione che sussistessero, congiuntamente, tutte le ipotesi previste dalla stessa, ed in particolare quelle di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 23 e 29. Il motivo è fondato. Ed invero il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 comma 4, prevede che La decisione di cui al comma 1, lettere b e b-bis , ed il verificarsi delle ipotesi previste dagli artt. 23 e 29 comportano, alla scadenza del termine per l’impugnazione l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo . La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b , è quella con la quale la Commissione territoriale rigetta la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale fissati dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, o ricorra una delle cause di cessazione o esclusione dalla protezione internazionale previste dal medesimo decreto legislativo, ovvero il richiedente provenga da un Paese di origine sicuro e non abbia addotto i gravi motivi di cui al comma 2 . La decisione di cui all’art. 32, comma 1, lett. b bis , è invece quella con cui il predetto organo rigetta la domanda per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento . L’art. 23 disciplina invece il caso in cui il richiedente la protezione internazionale decida di ritirare la domanda prima dell’audizione presso la competente Commissione territoriale . L’art. 29 infine regola le ipotesi di inammissibilità della domanda, che sussistono quando a il richiedente è stato riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e possa ancora avvalersi di tale protezione b il richiedente ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine . Le cinque ipotesi disciplinate dalle disposizioni appena richiamate sono tra loro evidentemente differenti e si sostanziano 1. nel rigetto della domanda art. 32 comma 1, lett. b 2. nella dichiarazione di manifesta infondatezza della domanda art. 32, comma 1, lett. b bis 3. nel ritiro della domanda prima dell’audizione del ricorrente dinanzi la Commissione territoriale art. 23 4. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda per esistenza di preesistente protezione internazionale art. 29, lett. a 5. nella dichiarazione di inammissibilità della domanda reiterata in assenza di nuove allegazioni, oggettive o soggettive, da parte del ricorrente art. 29, lett. b . Trattasi di ipotesi che non possono evidentemente coesistere, attesa la totale diversità delle diverse fattispecie e dei rispettivi presupposti di fatto esse, pertanto, sono da considerare tra loro alternative. Ne consegue che il Giudice di Pace di Ravenna ha errato nel ritenere che esse potessero - anzi, dovessero - sussistere contemporaneamente. Non sarebbe infatti possibile ipotizzare la coesistenza di un ritiro della domanda art. 23 con una sua dichiarazione di inammissibilità art. 29, lett. a e b ovvero di manifesta infondatezza art. 32, comma 1, lett. b bis o ancora con una pronuncia di rigetto art. 32, comma 1, lett. b . In assenza di precedenti specifici di questa Corte, va affermato il seguente principio di diritto Il verificarsi di una delle ipotesi, tra loro alternative, previste dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 4, comporta, per espressa previsione normativa contenuta nella predetta disposizione, l’obbligo del richiedente la protezione internazionale di lasciare il territorio nazionale soltanto dopo il decorso del termine previsto per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, di manifesta infondatezza e di inammissibilità rispettivamente disciplinate dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 1, lett. b e b bis , e art. 29. È di conseguenza vietata l’espulsione, anche in assenza di provvedimento di sospensione dell’efficacia di tali pronunce, sino alla scadenza del termine di cui anzidetto . In definitiva, la decisione impugnata va cassata senza rinvio. Sussistendo i presupposti previsti dall’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa ne merito con annullamento del decreto di espulsione impugnato dal ricorrente. Le spese, tanto del presente giudizio che di quello di merito, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata senza rinvio e, decidendo la causa nel merito ai sensi di quanto previsto dall’art. 384 c.p.c., comma 2, annulla il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della Provincia di Ravenna nei confronti di L.A. in data 12.2.2017. Condanna il Prefetto della Provincia di Ravenna al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 2.500 per compensi ed Euro 200 per esborsi, e del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.