Domanda di protezione internazionale rigettata e termine per impugnare decorso: negata la rimessione in termini

L’istituto della rimessione in termini richiede la dimostrazione, da parte dell’interessato, che la decadenza dal termine per impugnare sia stata determinata da una causa a lui non imputabile, ma cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà caratterizzato da assolutezza e non mera difficoltà.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13455/19, depositata il 17 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello di Torino dichiarava inammissibile il gravame proposto avverso la pronuncia di prime cure che aveva respinto per tardività il ricorso di uno straniero contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale. La Corte territoriale negava la sussistenza dei presupposti per la concessione della rimessione in termini in relazione al dedotto trasferimento presso altra struttura di accoglienza per stranieri con sostituzione del personale addetto alla cura dell’assistenza legale degli ospiti. Avverso tale decisione propone ricorso in Cassazione lo straniero che deduce violazione di legge. Presupposti per la rimessione in termini. L’istituto della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., come modificato dalla l. n. 69/2009, richiede la dimostrazione che la decadenza dal termine per impugnare sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, ma cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà caratterizzato da assolutezza e non mera difficoltà. Il Collegio condivide dunque le motivazioni fornite dalla sentenza impugnata circa il diniego della rimessione non potendo essere ricondotto alla causa di forza maggiore il disservizio allegato dal ricorrente circa la sostituzione del personale della struttura alla quale il difensore di fiducia dello stesso ricorrente aveva tempestivamente comunicato la decisione del Tribunale. Precisa dunque la sentenza che sullo straniero stesso, legato al proprio difensore da un rapporto di mandato fiduciario, di contro inesistente con il personale della struttura, incombeva l’onere di assicurarsi che l’incarico defensionale in precedenza conferito fosse portato a termine regolarmente . Quanto al contesto relativo alla mancata conoscenza della lingua italiana, dedotto dal ricorrente quale fattore esterno a fondamento della richiesta di rimessione in termini, la Corte afferma che tale elemento non presenta i caratteri di assolutezza richiesti dalla norma summenzionata. Il requisito della causa esterna si presenta infatti come elemento meramente oggettivo cioè indipendente da comportamenti dell’interessato. La situazione di innegabile difficoltà per il richiedente poteva infatti essere superata con la diligenza e la prudenza imposte dai principi generali dell’ordinamento che impongono all’interessato l’obbligo di informarsi tempestivamente presso il difensore senza la necessaria intermediazione della struttura ospitante. In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 aprile – 17 maggio 2019, n. 13455 Presidente Genovese – Relatore Scordamaglia Fatti di causa 1. La Corte di appello di Torino, con sentenza del 14 settembre 2017, pubblicata il 2 ottobre 2017, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso l’ordinanza d Tribunale di Torino del 20 settembre 2016, che aveva respinto il ricorso presentato da B.A. , cittadino senegalese, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della richiesta di protezione internazionale, sub specie di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, e, in subordine, di protezione umanitaria, perché proposto, il 20 dicembre 2016, ben oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, avvenuta il 28 settembre 2016. A motivo della decisione la Corte territoriale ha rilevato come non ricorressero i presupposti per l’applicazione dell’istituto della rimessione in termini, di cui al combinato disposto dell’art. 153 c.p.c., comma 2, e art. 294 c.p.c., perché le circostanze allegate dall’appellante, indicate come impeditive della possibilità di rispettare il termine d’impugnazione - segnatamente il trasferimento in altra struttura di accoglienza per stranieri e la sostituzione, all’interno di quest’ultima, del personale addetto alla cura dell’assistenza legale degli ospiti - non potevano essere sussunte nel fatto non imputabile alla parte, posto che questa, in virtù del rapporto fiduciario con il difensore che l’aveva patrocinato nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto diligentemente informarsi sulle forme e sui termini per difendersi in giudizio a tutela dei propri diritti e coltivare personalmente il detto rapporto. 2. Il ricorso per cassazione è affidato ad un solo motivo, che denuncia - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 153 e 294 c.p.c., sul rilievo che la retta interpretazione delle norme disciplinanti l’istituto della rimessione nel termine non avrebbe potuto prescindere, onde assicurare l’effettività della tutela dei diritti, da alcuni fatti decisivi relativi alla peculiare situazione dello straniero che adisca la giustizia in particolare dal contesto nel quale egli si trovi inserito, in cui l’assistenza legale di cui necessita è curata da personale dei centro di accoglienza dotato di specifiche competenze, e dalla mancanza di conoscenza della lingua italiana, come fattore impeditivo della possibilità di attivarsi personalmente e diligentemente onde promuovere e seguire l’iter della difesa dei propri diritti nondimeno il silenzio serbato dal giudice censurato in ordine alla richiesta di audizione dell’appellante al fine di chiarire il proprio incolpevole ritardo nel proporre impugnazione era tale da integrare una ulteriore violazione di legge sotto il profilo dell’omessa motivazione. 3. L’intimato Ministero dell’Interno non si è costituito in giudizio. 4. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione ricorso è manifestamente infondato. i. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 32725 del 18/12/2018, Rv. 652074 - 01 e con sentenza n. 4135 del 12/02/2019, Rv. 652852 - 03, hanno chiarito che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, il quale opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, che presenti i caratteri dell’assolutezza e non della mera difficoltà. Alla stregua di tali autorevoli enunciazioni direttive va riconosciuta la correttezza delle conclusioni cui è pervenuta la Corte territoriale ritenendo che, ai fini della remissione in termini per la presentazione dei motivi di impugnazione, non costituisse causa di forza maggiore l’allegato disservizio, verificatosi per sostituzioni del personale della struttura nella quale lo straniero - parte nella causa intentata per il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale e alla protezione umanitaria - si trovava ospitato, alla quale il difensore di fiducia del richiedente aveva tempestivamente comunicato la decisione del Tribunale soggetta ad impugnazione, giacché sullo straniero stesso, legato al proprio difensore da un rapporto di mandato fiduciario, di contro inesistente con il personale della struttura, incombeva l’onere di assicurarsi che l’incarico defensionale in precedenza conferito fosse portato a termine regolarmente. Invero, le circostanze indicate come concretamente impeditive del rispetto della perentorietà del termine di impugnazione, attinenti al contesto esistenziale dello straniero richiedente protezione internazionale e alla mancanza di conoscenza della lingua italiana, non integrano il requisito dell’assolutezza del fattore estraneo alla volontà della parte, come tale connotato in senso marcatamente oggettivo, cioè indipendente da comportamenti del soggetto interessato, ma sono riconducibili al concetto di difficoltà nell’esercizio dei diritti processuali del richiedente, che, per quanto consistenti, erano, comunque, superabili con la diligenza e la prudenza imposte, secondo i principi generali dell’ordinamento, a chiunque intenda esercitare un diritto, concretizzantesi, nella specie, nell’obbligo di informarsi tempestivamente presso il difensore, precedentemente nominato senza l’intermediazione della struttura ospitante, dell’esito della propria domanda. Ne viene allora che le dedotte circostanze non possono essere ulteriormente considerate nel presente giudizio di legittimità, traducendosi i relativi rilievi articolati in ricorso in un’inammissibile petizione di rinnovato apprezzamento di evidenze fattuali plausibilmente valutate dal giudice di merito. 2. Per tutto quanto esposto, il ricorso va Rigettato. Nulla è dovuto a titolo di spese, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo stato il ricorrente ammesso al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.