Clima di insicurezza nel Paese di origine: permesso di soggiorno allo straniero

Protagonista della vicenda è un cittadino maliano, che ha visto respinta la propria richiesta di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato o, in subordine, di vedersi concessa protezione. A salvarlo, però, è la constatazione della situazione di instabilità politica presente nel suo Paese di origine.

Racconto poco credibile, quello dello straniero approdato in Italia. Respinta, quindi, la sua richiesta di protezione. A salvarlo, però, è la situazione di instabilità politica del Paese di origine – il Mali – riconosciutogli, di conseguenza, il permesso di soggiorno per motivi umanitari Cassazione, sentenza n. 11277/2019, Sezione Prima Civile, depositata il 24 aprile . Racconto. Una volta approdato in Italia, un cittadino maliano, chiede di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato o, almeno, di ottenere protezione . A sostegno di questa pretesa mette sul tavolo la storia delle vicissitudini da lui vissute in patria. Più precisamente, egli spiega di essere di religione musulmana e racconta di avere lasciato il Mali perché un suo zio voleva costringerlo ad entrare a far parte dell’esercito di Stato, come suo padre, morto durante un combattimento nel 2015 , e aggiunge, poi, che l’interesse dello zio affinché lui divenisse soldato risiedeva nella somma di denaro che spettava alla sua famiglia in conseguenza della morte del padre . Tirando le somme, lo straniero chiarisce di avere paura di morire se, rientrato in Mali, si fosse arruolato nell’esercito . Questo racconto non convince però né la Commissione territoriale né i Giudici, che prima in Tribunale e poi in Appello negano allo straniero sia lo status di rifugiato che ogni possibile protezione . Instabilità. A permettere al cittadino maliano di rimanere in Italia è il permesso di soggiorno per motivi umanitari . Su questo fronte, difatti, i Giudici hanno osservato che la situazione di instabilità politica nel Paese di origine dello straniero ne sconsigliava il rimpatrio poiché lo poneva in condizione di vulnerabilità . Identica linea di pensiero adotta anche la Cassazione, che, come già fatto dai giudici di merito, ritiene poco credibile il racconto fatto dallo straniero e poggiato su vicende generiche e non attinenti alle ragioni che avevano condotto all’espatrio . Allo stesso tempo, è corretto il richiamo alle vicende storico-politiche del Mali , che permettono di escludere l’esistenza di una situazione di conflitto armato interno o di violenza indiscriminata . Tuttavia, anche per i Giudici del ‘Palazzaccio’ non può essere ignorata la situazione di instabilità politica presente nel Paese di origine dello straniero, situazione che ne sconsiglia il rimpatrio . Di conseguenza, a fronte del clima di insicurezza che caratterizza alcune zone del Mali, è doverosa, secondo i Giudici, la concessione allo straniero del permesso di soggiorno per motivi umanitari .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 12 febbraio – 24 aprile 2019, n. 11277 Presidente Schirò – Relatore Federico Ritenuto in fatto Ba. Mo., cittadino del Mali, con ricorso depositato in data 7.9.2017, invocando l'art. 35 bis del D.Lgs. 25/2008, proponeva opposizione avverso il provvedimento emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta, che gli aveva negato il riconoscimento di ogni forma di protezione. Chiedeva, quindi, che gli fosse riconosciuto lo status di rifugiato, in subordine che gli fosse accordata la protezione sussidiaria e, infine, quella umanitaria. Riferiva, invero, di essere cresciuto nella città di Bladie, situata nella regione di Sikasso, in Mali, di essere di religione musulmana e di avere lasciato il Mali verso la fine del 2015, perché un suo zio voleva costringerlo ad entrare a fare parte dell'esercito di Stato, come suo padre, morto durante un combattimento nel 2015. Aggiungeva che l'interesse dello zio affinchè divenisse soldato risiedeva nella somma di denaro che spettava alla sua famiglia in conseguenza della morte del padre, e temeva di morire se, rientrato in Mali, si fosse arruolato nell'esercito. Il Tribunale di Napoli, con decreto n. 9653/2017, rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria, affermando, quanto alla prima, la scarsa credibilità della versione fornita dal ricorrente e ritenendo, quanto alla protezione sussidiaria che non sussistesse una situazione di conflitto armato interno e di violenza indiscriminata nell'accezione di cui all'art. 14 lett c D.Lgs.251/2007 il Tribunale riconosceva peraltro il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, sussistendo una situazione di instabilità politica che sconsigliava allo stato il rimpatrio del richiedente e che lo poneva in condizione di vulnerabilità. Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi Ba. Mo Il Ministero dell'Interno non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva. Considerato in diritto Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 del D.Lgs. 251/2007 e degli artt. 8, 27 comma 1 bis del D.Lgs. 25/2008 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per avere il Tribunale rigettato la domanda di protezione internazionale basandosi su un giudizio di scarsa credibilità del ricorrente. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 7, 8, e 11 del D.Lgs. 251/2007, nonché dell'art. 2 del D.Lgs. 25/2008 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per avere il Tribunale escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. I presenti motivi che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. II Tribunale, ha ritenuto di condividere il giudizio di scarsa credibilità espresso dalla Commissione territoriale, statuendo che il ricorrente non aveva chiarito alcuni punti nodali della vicenda descritta quali, ad esempio, le ragioni per le quali lo zio avrebbe insistito per farlo arruolare nell'esercito, in considerazione del fatto che il Ba. non risultava essere neppure il primogenito. Non era inoltre chiaro quale fosse il nesso esistente tra l'arruolamento del ricorrente nell'esercito e l'elargizione della somma di denaro, la quale veniva considerata più verosimilmente un risarcimento per la famiglia del soldato deceduto in combattimento. Dalla valutazione dei suddetti elementi, il Tribunale ha ritenuto la non sussistenza dei presupposti necessari al riconoscimento dello status di rifugiato. Requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato è il fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza ad un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Il relativo onere probatorio - che riceve un'attenuazione in funzione dell'intensità della persecuzione - incombe sull'istante, per il quale è tuttavia sufficiente dimostrare, anche in via indiziaria, la credibilità dei fatti allegati, i quali, peraltro, devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza. Cass. 14157/2016 . Il Tribunale ha ritenuto, invero, che nel caso di specie le vicende narrate dal ricorrente, in quanto generiche e non attinenti alle ragioni che avevano condotto all'espatrio, non potevano determinare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Tale statuizione è conforme a diritto. In materia di protezione internazionale, l'accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva del racconto del richiedente circa l'esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui all'art. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall'impossibilità di fornire riscontri probatori. Cass. 16925/2018 Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 14 lettera c del D.Lgs. 251/2007 in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per non avere il Tribunale riconosciuto la protezione sussidiaria. Il motivo è infondato. Il Tribunale, dopo aver esaminato sulla base di ampia ed aggiornata valutazione delle vicende storico - politiche del Mali, ha ritenuto, con apprezzamento adeguato, che nella zona di provenienza del ricorrente non fosse in atto una situazione di conflitto armato interno o di violenza indiscriminata nell'accezione riconducibile all'art. 14 lett. C del citato D.Lgs. 251/2007, pur non escludendo che sussistesse una situazione d'instabilità politica che sconsigliava il rimpatrio del richiedente, ponendolo in una condizione di vulnerabilità. Proprio per tali ragioni, il Tribunale, se da un lato ha escluso la protezione sussidiaria, in ragione dell'inapplicabilità dei requisiti previsti dalla normativa di riferimento, ha però riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerato il clima di insicurezza che caratterizza ancora il Centro ed il Sud del paese ed il verificarsi, seppur in modo sporadico, di episodi di violenza che rendono ancora instabile la situazione della regione. Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva, non deve provvedersi sulle spese di lite. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.