Permesso al detenuto, il giudice fa pressioni sulla casa circondariale: sanzionato con la “censura”

Respinte le obiezioni proposte dal magistrato, che, all’epoca dei fatti, era sostituto Procuratore Generale. Evidente l’obiettivo della sua azione, cioè ‘congelare’ l’attuazione del provvedimento del Tribunale di Sorveglianza, che aveva concesso un permesso al detenuto.

Permesso di necessità riconosciuto al detenuto. Il provvedimento adottato dal Tribunale di sorveglianza viene non solo impugnato ma anche ostacolato dal Sostituto Procuratore, che ‘bombarda’ di email e telefonate la direttrice della casa circondariale, chiedendole di ‘congelare’ la decisione del Tribunale. Inevitabile il procedimento disciplinare per il magistrato, punito con una censura” per la grave scorrettezza” compiuta. Cassazione, sentenza n. 10379/19, sezioni Unite Civili, depositata il 12 aprile . Comunicazioni. Nessun tentennamento da parte dei componenti della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura è evidente come il Sostituto Procuratore si sia reso colpevole di ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato . Così, difatti, vanno catalogate le email e le telefonate con cui ha fatto pressioni sul personale della casa circondariale cioè la direttrice, il comandante dell’area di sicurezza e il responsabile del ‘nucleo traduzioni’ per impedire l’esecuzione del provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza, che aveva riconosciuto un permesso di necessità a un detenuto. Consequenziale la censura nei confronti del magistrato. Provvedimento che viene ora confermato e reso definitivo dalla Cassazione, che respinge le obiezioni proposte dal Sostituto Procuratore sotto accusa. In sostanza, pur prendendo atto che nelle comunicazioni incriminate non era mai stata chiesta la ‘sospensione’ del provvedimento di concessione del ‘permesso di necessità’ , i giudici del ‘Palazzaccio’ ritengono evidente che l’effetto utile era evitare una pronta esecuzione del provvedimento del Tribunale. E difatti il magistrato sotto processo aveva a più riprese fatto presente al personale della casa circondariale l’esistenza della impugnazione del provvedimento , aggiungendo che così era sospesa l’esecuzione del permesso . E va aggiunto che le pressioni del Sostituto Procuratore, pur essendo rivolte alla casa circondariale, hanno avuto come obiettivo dichiarato quello di far arrestare l’attuazione del provvedimento emesso dal Tribunale di sorveglianza. Nessun dubbio, quindi, sulla scorrettezza da lui compiuta, e così grave da avere addirittura indotto la direttrice del carcere a informare i giudici del Tribunale, che attraverso il loro presidente si rivolsero alla Procura generale per far cessare la anomala condotta ostruzionistica del giudice. E irrilevante, aggiungono i magistrati della Cassazione, è il fatto che la direttrice dell’istituto penitenziario abbia avuto la forza di reagire alle pressioni subite. Per chiudere il cerchio, infine, dal ‘Palazzaccio’ sottolineano che i comportamenti incriminati hanno compromesso l’immagine del magistrato presso l’ambiente penitenziario e presso gli uffici del Tribunale .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 26 marzo – 12 aprile 2019, n. 10379 Presidente Curzio – Relatore Bruschetta Fatti di causa 1. Con l'impugnata sentenza, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, dichiarava Se. De Ni., all'epoca Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Cagliari, responsabile dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lett. d D.Lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, infliggendogli la sanzione della censura, per avere, con un comportamento ritenuto gravemente scorretto, consistente nell'invio di mail, telefonate, comunicazioni, tutte rivolte al personale della casa circondariale di Sassari, cercato di impedire l'esecuzione del provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Sassari, con il quale era stato concesso un permesso di necessità al detenuto Ca. Sc. Bo 2. Per quanto rimasto d'interesse, dopo aver spiegato che l'incolpato aveva intrapreso una serie numerosa di contatti telematici e telefonici con il personale penitenziario”, invitando il ridetto personale a non dare ulteriore corso al permesso di necessità”, in attesa dell'esito dell'impugnazione del provvedimento presso la Suprema Corte, anche allegando a sostegno massime giurisprudenziali non conferenti” dopo aver ricordato che la direttrice del carcere, ad evitare fraintendimenti, imbarazzi e contrasti con quanto disposto dal Tribunale di Sorveglianza”, aveva ritenuto opportuno dover segnalare la vicenda, tanto che il Presidente del Tribunale di Sassari aveva giudicato indispensabile chiedere per iscritto alla Procura generale di raccomandare al suo sostituto una maggiore moderazione” la Sezione Disciplinare riteneva che i suddetti contatti telematici e telefonici”, unitamente alla falsa rappresentazione degli effetti sospensivi dell'impugnazione del permesso di necessità, integrassero gli estremi della grave scorrettezza e indebita interferenza nei confronti della direttrice della casa circondariale, del comandante dell'area di sicurezza dello stesso istituto, del responsabile del nucleo traduzioni, che quel provvedimento erano tenuti a eseguire, sia nei confronti del Tribunale di Sorveglianza” la Sezione disciplinare, infine, escludeva di poter riconoscere l'esimente della scarsa rilevanza dei fatti contestati, prevista dall'art. 3 bis D.Lgs. n. 109 cit., evidenziando in proposito che la loro gravità aveva inevitabilmente finito per inficiare l'immagine del magistrato, sia presso il personale penitenziario, che presso gli uffici del Tribunale di Sorveglianza di Sassari”. 3. L'incolpato proponeva ricorso per cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, formulato in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e c.p.p., l'incolpato addebitava alla Sezione Disciplinare vizi motivazionali, nonché travisamento della prova, laddove la sentenza aveva ritenuto dimostrato che il ricorrente aveva chiesto di sospendere l'esecuzione del provvedimento e, questo, sempre secondo il ricorrente, non solo perché le due mail, predisposte comunque in toni urbani, non contenevano una tale richiesta, evidentemente male interpretata dal personale carcerario ma, anche, perché agli atti era traccia solo della telefonata ricevuta dalla direttrice del carcere, la quale aveva peraltro testimoniato nel senso che il De Ni., in quell'occasione, mai aveva espressamente chiesto di non eseguire il provvedimento”. 1.1. Il motivo è però infondato. 1.2. Deve essere difatti osservato che, seppure nelle sue comunicazioni l'incolpato non abbia espressamente chiesto la sospensione” del provvedimento di concessione del permesso di necessità, questo era chiaramente l’effet utile direttamente rivendicato con l'allegazione della giurisprudenza, come con certezza confermato in una delle comunicazioni, laddove in particolare l'incolpato aveva scritto che l'impugnazione del provvedimento concessivo sospende l'esecuzione del permesso” un effetto sospensivo, all'evidenza concretamente perseguito, come suffragato dalle altre comunicazioni, intese a scongiurare una pronta esecuzione del permesso nessun travisamento delle prove, nessun vizio motivazionale, sono quindi rimproverabili alla Sezione Disciplinare che, anzi, come più sotto meglio spiegato, ha logicamente ricavato, dalle ridette plurime comunicazioni, che l'attivismo dell'incolpato aveva come obbiettivo quello di ottenere la non esecuzione del provvedimento, in attesa dell'esito del ricorso per cassazione. 2. Con i motivi secondo, terzo e quarto, tutti formulati sia in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b c.p.p., per violazione degli artt. 1 e 2 D.Lgs. n. 109 cit, sia in relazione all'art. 606, comma 1, lett. e c.p.p., per vizi motivazionali, l'incolpato sosteneva, dapprima, che erroneamente la Sezione Disciplinare aveva ritenuto possibile l'esistenza di interferenze nei confronti del Tribunale di Sorveglianza, essendo le stesse non configurabili per definizione” né, sempre secondo l'incolpato, erano state provate interferenze nei confronti del personale penitenziario, comunque non soggetto a potestà della magistratura requirente”, come anche dimostrava la reazione della direttrice del carcere l'incolpato osservava, inoltre, come l'interlocuzione avuta con il personale penitenziario fosse del tutto normale, non eccessiva, in casi analoghi addirittura sollecitata dal medesimo personale una interlocuzione, a giudizio dell'incolpato, anche opportuna, attesa la pericolosità del detenuto era, infine, comunque invocata l'esimente ex art. 3 bis D.Lgs. n. 109 cit. 2. I motivi, che conviene esaminare in successione, sono infondati. 2.1. Serve in primo luogo chiarire, al di là della non felice costruzione del periodo, laddove a pag. 5 il personale penitenziario e il Tribunale di Sorveglianza sono stati accomunati per economia nell'unico sintetico giudizio circa la grave scorrettezza del comportamento dell'incolpato, che la Sezione Disciplinare, in nessun punto della sua decisione, ha affermato che l'incolpato aveva inteso interferire sull'altrui esercizio della giurisdizione, tentando di condizionare la libertà della decisione dei componenti del Tribunale di Sorveglianza in realtà, come è evidente, la Sezione Disciplinare ha invece inteso collegare la grave scorrettezza del comportamento dell'incolpato, nei confronti dei componenti il Tribunale di Sorveglianza, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. d D.Lgs. n. 109 cit., al tentativo di far arrestare l'esecuzione del provvedimento dagli stessi emesso, mediante interventi tanto inusuali, quanto eclatanti, da aver indotto la direttrice a informare i giudici di Sassari i quali, attraverso il loro Presidente, furono addirittura indotti a rivolgersi alla Procura Generale per far cessare una del tutto anomala condotta ostruzionistica. 2.2. Risulta infine più che sufficientemente argomentato l'accertamento del tentativo di condizionamento posto in essere nei confronti del personale penitenziario, statuito dalla Sezione Disciplinare attraverso un logico riferimento alle già scrutinate plurime comunicazioni, contenenti non equivocabili indicazioni a non dar corso all'esecuzione, accompagnate da improbabili allegazioni di giurisprudenza, intese a dar maggior forza alla interferenza circostanze, quelle appena ricordate, che la Sezione Disciplinare ha quindi tutte convogliate in un solido giudizio circa la realtà della interferenza addebitata sul quale giudizio di interferenza, non ha all'evidenza rilievo alcuno che la direttrice della casa circondariale abbia reagito ciò che, anzi, dimostra la realtà del comportamento inequivocabilmente predisposto a rallentare l'esecuzione del permesso di necessità. 3. Con il quinto motivo, formulato in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b c.p.p., riprendendo funditus la denuncia di violazione dell'art. 3 bis D.Lgs. n. 109 cit., semplicemente enunciata in coda ai precedenti motivi, l'incolpato rimproverava alla Sezione Disciplinare di avere, senza idonea spiegazione, ritenuto di non scarsa rilevanza i fatti contestati in particolare, era lamentato che la Sezione Disciplinare non avesse adeguatamente chiarito perché la sua immagine di magistrato sarebbe stata inficiata” dolendosi, a riguardo, l'incolpato, di aver soltanto manifestato il proprio dissenso, rispetto al provvedimento del Tribunale di Sorveglianza escludendo, quindi, che si fosse verificata una qualsiasi lesione di immagine. 3.1. Il motivo è infondato anche in disparte la preliminare considerazione che, pur formulato con riferimento a violazione di legge, il motivo censura soltanto l'accertamento della Sezione Disciplinare circa la non scarsa rilevanza del comportamento dell'incolpato vale, a riguardo, agevolmente in contrario osservare che l'apprezzamento della gravità della condotta è stato, invece, dalla Sezione Disciplinare, logicamente ricavato attraverso la dimostrazione dei fatti contestati fatti che, per la loro gravità erano stati obiettivamente in grado di compromettere l'immagine di magistrato dell'incolpato presso l'ambiente penitenziario, come anche confermato dalla importante reazione della direttrice della casa circondariale. 4. Nulla sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.