Termine per la richiesta di revocazione della sentenza: alle Sezioni Unite l’interpretazione della disciplina transitoria

Deve essere rimessa al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di investire le Sezioni Unite, la questione attinente l’applicazione della disciplina transitoria di cui alla novella normativa della legge n. 106/2016.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 8717/19, depositata il 20 marzo. La fattispecie. Nel caso in esame la Corte di Cassazione, con sentenza, ha dichiarato improcedibile il ricorso in quanto il ricorrente, a dire della stessa, non aveva provveduto a depositare, nel rispetto dell’art. 369, comma 2, n. 2, codice di rito la copia autentica della sentenza notificata con allegata la relazione di notifica. Contro tale decisione l’interessato ha proposto ricorso per revocazione sostenendo che detto atto era stato depositato nel rispetto delle forme previste dal codice processual-civilistico. Procedimento che è stato radicato dopo il termine semestrale di cui all’art. 391- bis , comma 1, codice di rito. La disciplina transitoria della novella normativa di cui alla legge n. 197/2016. L’art. 391- bis , comma 1, c.p.c. statuisce che la revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento . Il Legislatore, poi, ha precisato che tale termine si applica a tutti i ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione 30 ottobre 2016 nonché a quelli già depositato alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza. La prima interpretazione della Corte. Il Supremo Collegio, chiamato a interpretare la disciplina transitoria, ha asserito in un primo momento che la novella normativa troverebbe applicazione anche a tutti i ricorsi depositati successivamente alla entrata in vigore della Legge di conversione anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione abbia ad oggetto provvedimenti pubblicati anteriormente. Il cambio di orientamento. A tale indirizzo si è contrapposto altro orientamento secondo il quale la novella trova applicazione unicamente ai provvedimenti pubblicati successivamente alla entrata in vigore della riforma nel rispetto dell’art. 12 delle preleggi del codice civile. Il parere della dottrina. Parte della dottrina ha evidenziato che, tenuto conto del dato letterale della disciplina intertemporale, il termine annuale per impugnare per revocazione al sentenza già pendente al 30 ottobre 2017 si trasformerebbe in termine semestrale e, all’uopo, per ovviare a tale gravissima problematica si potrebbe ipotizzare la possibilità di una rimessione in termini per colpa” del legislatore o, in alternativa, sollecitare la proposizione di una questione di incostituzionalità della norma di diritto transitorio. La rimessione al Primo Presidente. Pertanto il Collegio, tenuto conto del contrasto giurisprudenziale e la necessità di offrire una soluzione uniforme su una problematica così delicata, ha ritenuto opportuno rimettere la questione la Primo Presidente per valutare l’opportunità di demandare l’esame alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza interlocutoria 21 -28 marzo 2019, n. 8717 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione C.S. citava in giudizio T.R. chiedendo che il giudice adito, il Tribunale di Firenze, pronunciasse sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., disponendo in suo favore il trasferimento della proprietà di due appartamenti siti in Ancona, e oggetto di un contratto preliminare di compravendita stipulato tra le parti. Assumeva di aver saldato l’intero prezzo convenuto, pari a Lire 250.000.000, di cui Lire 140.000.000 corrisposti all’atto della conclusione del preliminare e per la parte restante mediante assegni di cui produceva fotocopia. Si costituiva in giudizio il convenuto, il quale contestava di aver ricevuto il saldo del prezzo a mezzo dei titoli versati in atti, rilevando come gli assegni, per l’importo di Lire 134.100.000, costituivano la maggior parte dell’acconto ricevuto al momento della stipula del contratto preliminare, il quale era integrato per il residuo con un versamento in contanti di Lire 5.900.000. Il Tribunale deferiva al C. giuramento suppletorio e l’attore all’udienza del 20 maggio 2004 giurava di aver versato il saldo del prezzo con gli assegni prodotti in copia. Precisate le conclusioni, il Tribunale accoglieva la domanda attrice. Proponeva appello il convenuto e, nel contraddittorio con l’attore, vittorioso in primo grado, la Corte di appello di Firenze, con sentenza pubblicata l’11 maggio 2011, dichiarava inammissibile l’appello per violazione del combinato disposto degli artt. 342 e 345 c.p.c Il giudice del gravame rilevava che successivamente alla prestazione del giuramento i procuratori delle parti avevano precisato le conclusioni riportandosi a quelle già rassegnate all’udienza del 29 ottobre 2003 e osservava che dopo detta udienza il difensore dell’appellante aveva depositato una memoria in cui si era limitato a richiedere la sospensione del procedimento ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio penale vertente sulla falsità del giuramento prestato, e a contestare la veridicità delle dichiarazioni rese dal giurante. Ne aveva tratto la conclusione che il proponente l’impugnazione avesse prestato acquiescenza all’ammissione della prova, avendo mancato di sollevare contestazioni a tale riguardo sia all’udienza di precisazione delle conclusioni che nella successiva memoria conclusionale. Aggiungeva la Corte di merito che, anche a voler prescindere dalla rilevata inammissibilità, l’appello si manifestava infondato, dal momento che il giudice di prime cure aveva ritenuto provata la consegna del denaro, ma non adeguatamente dimostrata l’imputazione del versamento, che poteva quindi provarsi mediante il giuramento suppletorio deferito. Contro questa sentenza ricorreva per cassazione T.R. con un’impugnazione affidata a due motivi, cui resisteva con controricorso C.S. . Questa Corte con la sentenza n. 13665 del 5 luglio 2016 dichiarava il ricorso improcedibile, in quanto il ricorrente non aveva provveduto a depositare, in ottemperanza a quanto prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione. Per la revocazione di tale sentenza ha proposto ricorso A.C. , quale erede di T.R. , deceduto in data , sulla base di un motivo. C.S. resiste con controricorso. L’unico articolato motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore di fatto commesso dalla Corte, con la conseguente violazione degli artt. 369 c.p.c., laddove è stata riscontrata l’improcedibilità del ricorso, per l’omessa produzione della copia notificata della sentenza con relativa relata di notificazione. Parte ricorrente rileva che invece alla penultima pagina della copia della sentenza prodotta unitamente al ricorso si rinviene sia l’attestazione di conformità della copia all’originale essendo altresì presente la relata di notifica. Nella proposta del relatore era stata avanzata la conclusione circa l’inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente proposto 20 giugno 2017 , oltre il termine semestrale previsto dall’art. 391-bis c.p.c., comma 1, u.p., così come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, applicabile al caso di specie in virtù della disposizione transitoria di cui al D.L. citato, art. 2. In tal senso si rileva che l’art. 391-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. l , n. 1, introdotto in sede di conversione del citato decreto, ad opera della L. n. 197 del 2016, così recita Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’art. 287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4 , la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli artt. 365 e segg. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d’ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento . Il citato art. 1-bis, comma 2, nel dettare la disciplina transitoria, ha stabilito che Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in Camera di consiglio . La L. n. 197 del 2016, art. 1, comma 2, di conversione del D.L. n. 168 del 2016, ha previsto l’entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale , n. 254 del 29/10/2016, con la conseguenza che la data di entrata in vigore è quella del 30/10/2016. Tornando alla vicenda specie, il ricorso avverso la sentenza di questa Corte di cui A.C. chiede la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, è stato notificato in data 20/06/2017, e depositato nella cancelleria di questa Corte il 4/7/2017, quindi in data successiva a quella di entrata in vigore della legge di modifica dell’art. 391-bis c.p.c. 30/10/2016 . Questa Corte con l’ordinanza n. 13358 del 28/5/20108, chiamata a fornire una prima applicazione alla novella ha ritenuto che la menzionata disposizione di cui all’art. 1 bis, comma 2, in tema di diritto intertemporale sia destinata a trovare applicazione anche al termine de quo, che quindi sdarebbe di sei mesi in relazione a tutti i ricorsi depositati in data successiva all’entrata in vigore della novella, ancorché l’impugnazione concerna provvedimenti pubblicati in data anteriore. A tale soluzione si è però contrapposto un diverso orientamento di questa Corte che con ordinanza del 29/8/2018 n. 21280 ha invece sostenuto che la riduzione del termine per la proposizione del ricorso per la correzione degli errori materiali o per la revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, disposta - in sede di conversione del D.L. n. 168 del 2016 - dalla L. n. 197 del 2016 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 29 ottobre 2016 , si applica solamente ai provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della legge di riforma 30 ottobre 2016 , in applicazione del principio generale posto dall’art. 12 preleggi, non potendosi ravvisare una specifica disciplina transitoria nel citato D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 2, il quale, disponendo che le novità legislative si applichino ai ricorsi per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio , intende riferirsi alle sole norme dettate per la trattazione dei ricorsi e non anche al termine per il deposito degli stessi conf. Cass. n. 2302/2019 . Della questione risulta altresì essersi occupata parte della dottrina che, partendo dalla previsione della norma di diritto intertemporale, ha evidenziato che interpretando la stessa in maniera più rigorosa per le parti, il termine annuale per impugnare per revocazione già pendente al 30 ottobre 2017 data di entrata in vigore della legge di conversione si trasforma ex abrupto in termine semestrale, con possibile immediata scadenza alla medesima data ove il provvedimento da impugnare risulti risalire ad oltre sei mesi da tale data oppure, nella migliore delle ipotesi, con scadenza in un termine improvvisamente più breve di quello previsto dalla disposizione precedentemente in vigore. In tal senso si è rilevato che per ovviare a questo grave inconveniente si potrebbe ipotizzare la concessione della rimessione in termini alla parte decaduta dall’impugnazione per colpa del legislatore, o in alternativa sollecitare la proposizione della questione di incostituzionalità della norma di diritto transitorio, ove non ritenuta diversamente interpretabile, stante il suo univoco tenore letterale, per violazione dell’art. 24 Cost. Nel caso in esame reputa il Collegio che nella giurisprudenza di questa Corte si sia ormai manifestato un contrasto che attiene a questione di carattere processuale, trasversale a tutte le sezioni e che si palesa anche come questione di massima importanza, attesa la ricorrenza del problema, e la necessità di offrire una soluzione uniforme, su questione, come quella relativa ai termini per impugnare, per la quale si impone la certezza applicativa. Reputa quindi il Collegio che sussista l’opportunità di richiedere al Primo Presidente di valutare, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, se disporre che la Corte debba pronunciare al riguardo a Sezioni Unite. P.Q.M. Si rimettono gli atti al Primo Presidente di questa Corte perché valuti l’opportunità di demandare all’esame delle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza - oggetto anche di contrasto interpretativo - indicata in parte motiva. Manda alla Cancelleria di comunicare la presente ordinanza alle parti costituite.