La Cassazione ricorda all’avvocato l’importanza dello standard di redazione del ricorso

Nel dichiarare inammissibile un ricorso redatto mediante il mero inserimento ingiustificato di porzioni degli atti processuali di merito scannerizzate e riprodotte senza alcuna intestazione o, quantomeno, rielaborazione sintetica, gli Ermellini ribadiscono la necessità per l’avvocato di assicurare uno standard di redazione degli atti tramite il quale sottoporre alla Corte, nel modo più chiaro possibile, la vicenda processuale e le ragioni dell’assistito.

Sul tema la sentenza n. 6324/19, depositata dalla Corte di Cassazione il 5 marzo. La vicenda. Una banca, in qualità di terza pignorata, proponeva opposizione all’esecuzione, deducendo di aver già pagato l’intera somma fissata dall’ordinanza di assegnazione mediante assegno circolare tempestivamente inviato alla creditrice. Il Giudice di Pace rigettava la domanda ritenendo che la banca opponente avesse abusivamente frazionato il credito. Il Tribunale ribaltava però la decisione. La vicenda è dunque giunta all’attenzione della Corte di Cassazione su ricorso della creditrice. Redazione del ricorso. Gli Ermellini ritengono necessario sottolineare, in via preliminare, che la parte ricorrente non ha riportato in modo comprensibili la sequenza dei fatti di causa rilevanti, avendo semplicemente riprodotto gli atti mediante scannerizzazione accompagnati da una laconica quanto incompleta esposizione di alcune circostanze. Il ricorso risulta infatti inammissibile ex art. 366, comma 1, c.p.c. in quanto il gravame non consente alla Suprema Corte l’idonea comprensione della complessiva vicenda processuale. La norma richiamata richiede infatti un’esposizione che garantisce alla S.C. una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso . In caso contrario, laddove dunque mancasse una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali, della soluzione accolta dai giudici di merito e dell’errore pretesamente commesso da essi, si addosserebbe ai Giudici di Piazza Cavour il compito di sceverare da una pluralità di elementi sottoposti al suo esame senza un ordine logico, quelli ritenuti rilevanti dallo stesso soggetto ricorrente ai fini del decidere . In altre parole, la valutazione di inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno standard di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dall’avvocato e come detto presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale e le ragioni dell’assistito . In conclusione, sottolineando la mancanza di comprensibilità dei motivi nemmeno astrattamente riassumibili in assenza del resto della sentenza impugnata, la S.C. dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 gennaio – 5 marzo 2019, n. 6324 Presidente Vivaldi – Relatore Porreca Fatti di causa Con atto di precetto notificato il 21 dicembre 2010 l’avvocato T.G. intimava a Intesa San Paolo s.p.a. il pagamento di un importo stabilito da un’ordinanza di assegnazione depositata il 4 febbraio 2003 all’esito di un processo di esecuzione in cui la banca era stata terza pignorata. L’ordinanza di assegnazione era notificata unitamente al precetto. Avverso la procedura esecutiva successivamente incardinata nelle forme del pignoramento presso terzi, l’istituto di credito proponeva opposizione all’esecuzione deducendo, in particolare, di aver pagato l’intera sorte assegnata nell’ordinanza inviando, tramite posta, nei dieci giorni indicati nel precetto, un assegno circolare dapprima restituito ex art. 1181 c.c., e poi nuovamente inoltrato alla creditrice che, ciò nondimeno, aveva proceduto alle vie coattive. Disposta la sospensione dell’esecuzione, la causa era riassunta nel merito dalla creditrice secondo cui l’istituto debitore aveva pagato una somma diversa da quella intimata, e in specie non aveva saldato interessi, spese di notifica e registrazione dell’ordinanza. Il giudice di pace, davanti al quale resisteva la banca, rigettava l’opposizione ritenendo abusivamente frazionato il credito azionato. Appellava in via principale T.G. deducendo la carenza di prova della tempestività del primo invio dell’assegno, la tardività del secondo invio dell’assegno oltre i 20 giorni dalla notifica del precetto, e l’insufficienza del pagamento in particolare quanto agli interessi maturati dopo il deposito dell’ordinanza. Appellava in via incidentale la banca contestando l’immotivata compensazione delle spese da parte del giudice di pace. Il tribunale rigettava l’appello principale quindi ritenendo la condotta della banca conforme a buona fede e correttezza, e viceversa idoneo il pagamento complessivamente offerto. Avverso questa decisione ricorre per cassazione T.G. affidandosi a cinque motivi. Resiste con controricorso Intesa San Paolo. In calce al ricorso la ricorrente ha formulato domanda di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, assumendo che le sezioni semplici abbiano deciso in modo difforme in ordine alla possibilità per l’esecutante di notificare l’ordinanza di assegnazione unitamente all’atto di precetto con la medesima istanza, la parte ha chiesto la pronuncia delle Sezioni Unite in merito a una seconda questione in ordine alla quale ipotizza un contrasto giurisprudenziale, ovvero sulla possibilità di estendere analogicamente il termine dilatorio previsto dall’art. 477 c.p.c., alla fattispecie processuale della notifica al terzo pignorato di un’ordinanza di assegnazione unitamente al precetto, anche laddove il provvedimento ex art. 553 c.p.c., non contenga un termine dilatorio in favore del terzo pignorato di dieci o venti giorni. Le parti avevano presentato memorie prima che il processo fosse rinviato alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria 17 maggio 2018 n. 17948. Successivamente a tale rinvio, parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria. Le ragioni della decisione Come già chiarito da questa Corte in fattispecie sovrapponibile Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754 è preliminare, e decisivo, il rilievo per cui la ricorrente non riporta in maniera comprensibile la sequenza dei fatti di causa rilevanti, in quanto il testo del ricorso, nella parte riservata alla esposizione sommaria del fatto, consta della parziale riproduzione scannerizzata di atti, oltre che di una laconica quanto incompleta esposizione di alcune circostanze del giudizio di primo e di secondo grado. Il ricorso non riporta affatto, né con completezza e neppure nella pur consentita formula riassuntiva, le ragioni della decisione di primo grado e, soprattutto, le ragioni della decisione di appello, limitandosi ad affermare che il proprio appello è stato respinto per poi passare direttamente alla esposizione e illustrazione dei propri motivi di ricorso per cassazione. A loro volta, la lettura dei motivi, costruiti anch’essi con riproduzione scannerizzata di atti a volte a tratti illeggibili pag. 12 del ricorso , non consente la piena comprensione degli stessi, e attraverso di essi delle vicende processuali, senza attingere all’esterno del ricorso, ovvero alla sentenza d’appello o al controricorso. L’intero ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il che esime dal dover esaminare, e perfino dal dover in questa sede riportare, o meglio ricostruire, il contenuto dei motivi di ricorso, in quanto a questo scopo si dovrebbe come detto attingere aliunde . Il gravame non consente cioè alla Corte, violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’idonea comprensione della complessiva vicenda processuale cfr. Cass., Sez. U., nn. 16628 del 2009 e 5698 del 2012 . Il requisito in parola consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata Cass. Sez. U. n. 11653 del 2006 per una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, v. recentemente Cass. n. 21396 del 2018 . In mancanza di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali, della sintetica quanto puntuale esposizione della soluzione accolta dai giudici di merito, nonché, in questo quadro, di una chiara illustrazione dell’errore pretesamente commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, viene addossato a questa Corte il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi sottoposti al suo esame senza un ordine logico, quelli ritenuti rilevanti dallo stesso soggetto ricorrente ai fini del decidere v. recentemente Cass. n. 13312 del 2018, che ha puntualizzato che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere un’esposizione dei fatti di causa tale da far chiaramente risultare le posizioni processuali spiegate dalle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati causa petendi e petitum , nonché degli argomenti dei, giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente. Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado . La valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un formalismo fine a sé stesso, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno standard di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dall’avvocato e come detto presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale e le ragioni dell’assistito, così come le questioni sottoposte all’attenzione della Corte nel ricorso per cassazione cui si sia giunti. Neppure è possibile nel caso di specie, al fine di evitare una pronuncia d’inammissibilità del ricorso, recuperare in maniera sufficientemente chiara la necessaria esposizione dei fatti di causa attraverso la lettura dei motivi Cass. n. 17036 del 2018 evidenzia come non sia necessario che tale esposizione costituisca parte a sé stante del ricorso, essendo sufficiente che essa risulti, chiaramente, dal contesto dell’atto, anche attraverso lo svolgimento dei motivi . Il ricorso odierno, come anticipato, presenta, pure all’interno della trattazione riservata all’esposizione dei motivi, l’inserimento non giustificato di svariate porzioni, scannerizzate e riprodotte, degli atti processuali del giudizio di merito, peraltro spesso non per esteso e privi d’intestazione e riproduzione integrale nonché di rielaborazione sintetica, da parte della ricorrente, e di una chiara individuazione della rilevanza dei passi riprodotti nell’economia delle tesi esposte, di volta in volta, dalla stessa, il che rende, nella sua integralità, non adeguatamente decifrabile il mezzo processuale. Gli stessi motivi non sono autonomamente comprensibili, e non sarebbero stati neppure astrattamente riassumibili senza l’ausilio fornito dal testo della sentenza, al quale tuttavia non si può attingere per esaminare e decidere il ricorso se quest’ultimo non sia in grado di fornire autonomamente la chiave di comprensione del processo e della motivazione fatta propria dalla sentenza impugnata, per poi muovere alla stessa una critica ragionata ed ancorata ai motivi articolati. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. La descritta inammissibilità manifesta del ricorso esclude ogni opportunità di una pronuncia ex art. 363 c.p.c., pure sollecitata dalla parte ricorrente. Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti ratione temporis per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.100,00 oltre 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.