Il frazionamento del credito preteso per l’attività di prestazione d’opera svolta

Quando distinti crediti maturati da un soggetto sono iscrivibili nello stesso ambito oggettivo e fondati su un unico rapporto di durata, il frazionamento del credito è ammesso solo se risulti in capo al creditore un interesse valutabile oggettivamente alla tutela processuale frazionata.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 6296/19, depositata il 4 marzo. Il caso. Il Tribunale, adito in secondo grado, accoglieva l’eccezione proposta da una compagnia di assicurazioni e dichiarava l’improponibilità della domanda avanzata da un professionista per il frazionamento del credito preteso con riferimento all’attività di prestazione d’opera svolta, poiché rilevava la sussistenza dell’abuso del processo per frazionamento della pretesa creditoria in più procedimenti dal contenuto identico, anche in presenza di un unico rapporto professionale. Il professionista, avverso la sentenza di secondo grado, ricorre per cassazione. Il frazionamento del credito. Interviene la Suprema Corte ribadendo un indirizzo ormai consolidato in giurisprudenza di legittimità secondo cui, quando distinti crediti maturati da un soggetto non possono scriversi nello stesso ambito oggettivo e fondati su un unico rapporto di durata, il frazionamento del credito è ammesso solo se risulti in capo al creditore un interesse valutabile oggettivamente alla tutela processuale frazionata. Nel caso in esame risulta che l’unico rapporto di collaborazione professionale si sia protratto con la compagnia assicuratrice per molti anni ed inoltre non risulta esserci un apprezzabile interesse del ricorrente alla proposizione di distinte azioni giudiziali. Per tali ragioni, il Collegio rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 14 novembre 2018 – 4 marzo 2019, n. 6296 Presidente D’Ascola - Relatore Federico Ritenuto in fatto 1 II Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 2701/2017, in riforma delle statuizioni di primo grado, ha accolto l’eccezione proposta da Groupama Ass.ni s.p.a., dichiarando l’improponibilità della domanda avanzata da I.G. per frazionamento del credito preteso con riferimento all’ attività di prestazione d’opera svolta. 2 In particolare, il Tribunale ha rilevato la sussistenza dell’abuso del processo per frazionamento delle pretesa creditoria in una pluralità di procedimenti dal contenuto identico, pur in presenza di un unico rapporto professionale. Avverso tale sentenza ricorre, con tre motivi, I.G. . Resiste con controricorso la Groupama Ass.ni s.p.a. Il relatore ha proposto il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. In prossimità dell’odierna adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto Con il primo motivo la parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la Corte territoriale ritenuto ammissibile, l’appello proposto dalla odierna resistente. Il motivo è infondato. Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado. Cass. SS.UU. 27199/2017 . Nel caso di specie, come ritenuto, con apprezzamento adeguato dal Tribunale, il gravame della Groupama Assicurazioni contiene una chiara esposizione dei fatti e l’enunciazione di specifici motivi di impugnazione consistenti in critiche sufficientemente precise avverso la sentenza di primo grado, onde non sussiste la dedotta violazione dell’art. 342 c.p.c Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2275 c.c., dell’art. 88 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale dichiarato l’improponibilità della domanda, in virtù del frazionamento dell’unico credito. Il motivo è infondato. Il Tribunale ha deciso in conformità all’indirizzo espresso dalle sezioni unite di questa Corte secondo cui, quando distinti crediti maturati da un soggetto sono inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo e fondati su un unico rapporto di durata, il frazionamento del credito è ammesso soltanto se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata Cass. Ss.Uu. 4090/2017 . Nel caso di specie risulta che l’unico rapporto di collaborazione professionale si sia protratto con la compagnia assicuratrice per diversi anni considerato poi che la stessa linea difensiva adottata dalla convenuta e odierna resistente, improntata sulla improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito, presupponesse logicamente proprio la contestazione dell’esistenza di un interesse meritevole di tutela a tale modalità di esercizio del diritto di azione Cass. 24698/2018 , nel ricorso in esame non risulta prospettato alcun apprezzabile interesse del ricorrente alla proposizione di distinte azioni giudiziali. È infatti irrilevante il fatto che i sinistri e le relative prestazioni professionali fossero soggetti a diverso decorso del termine prescrizionale, essendo sufficiente ai fini interruttivi un qualsiasi atto di costituzione in mora, o la circostanza, genericamente dedotta, dell’esistenza di un accordo scritto solo per alcuni incarichi e non per altri si osserva, in contrario, la modesta entità dei diversi crediti separatamente azionati dal ricorrente e la identità della questione prospettata, avente ad oggetto l’applicabilità della tariffa dei periti industriali per la determinazione del proprio compenso professionale. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. nonchè del D.M. n. 55 del 2014 artt. 2 e 4 e dei parametri di cui alla allegata tabella A in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il giudice d’appello erroneamente liquidato l’ammontare delle spese di lite. Il motivo è infondato. In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica standard del valore della prestazione professionale pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi nel caso di specie, alla luce del valore della causa di 768,00 Euro e dello scaglione applicabile fino a 1.000,00 Euro , non risulta essersi verificato uno scostamento apprezzabile dai parametri medi ex D.M. n. 55 del 2014, atteso che l’importo liquidato risulta di poco superiore ai valori medi ed ampiamente entro i valori massimi dello scaglione, sia con riferimento al primo grado, davanti al giudice di pace, che del grado successivo innanzi al tribunale. Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese, che liquida in complessivi 600,00 Euro, di cui 100,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.