Quando l’onere probatorio cessa di essere “diabolico”

La necessità di dimostrare mediante la c.d. probatio diabolica la proprietà del bene rivendicato risalendo fino ad un acquisto a titolo originario, così come previsto per l’azione di cui all’art. 948 c.c., conosce una profonda attenuazione nel caso in cui il bene conteso tra il possessore e colui che asserisce esserne il proprietario provenga da un dante causa comune.

È quanto si legge nell’ordinanza n. 5648/19 della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata il 26 febbraio. Il caso. O.Z. e D.G. agivano avverso P.S. per rivendicare la proprietà di un vano ad uso ripostiglio situato all’interno di un edificio, appartenuto originariamente ad un unico soggetto e poi venduto separatamente a più acquirenti. Il Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 836/2007 rigettava la domanda per la mancata dimostrazione, da parte degli attori – sui quali incombe l’onere probatorio – della titolarità del diritto vantato sul bene mediante acquisto a titolo originario. I soccombenti attori, quindi, impugnavano la summenzionata decisione. La Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 1729/2017, riformando la statuizione di prime cure, accoglieva la domanda di rivendicazione ordinando a P.S. la consegna del vano. Avverso la sentenza de qua , P.S. propone ricorso per cassazione lamentando, con un unico motivo di ricorso, la falsa applicazione dell’art. 948 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c In particolare per la ricorrente la Corte d’Appello di Bologna avrebbe errato nel ritenere sufficiente ad assolvere l’onere probatorio di O.Z. e D.G. la sola produzione dell’atto d’acquisto dall’unico dante causa, ossia la società costruttrice dell’edificio, trascurando invece le diverse risultanze catastali. La Cassazione rigetta il ricorso. L’onere probatorio nell’azione di rivendicazione. Il codice civile prevede, all’interno della categoria delle azioni a difesa della proprietà c.d. azioni petitorie , l’azione di rivendicazione o rei vindicatio , art. 948 c.c Attraverso suddetta azione, di natura reale ed imprescrittibile, colui che assume essere proprietario di un bene posseduto o detenuto da altri mira ad ottenere da un lato, l’accertamento ed il riconoscimento giudiziale del suo diritto di proprietà su quel determinato bene, e dall’altro, la condanna di chi lo possiede ovvero detiene, alla sua restituzione. Sotto il profilo probatorio, in conformità alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., l’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà. In particolare, nel caso in cui l’acquisto sia a titolo originario, gli sarà sufficiente fornire la prova di tale titolo si pensi, a mero titolo esemplificativo, all’acquisto ad usucapionem . Più complesso appare essere, invece, l’onere probatorio nell’ipotesi di acquisto a titolo derivativo si parla, infatti, di probatio diabolica proprio per sottolinearne la difficoltà. All’attore, ad onor del vero, non basterà la produzione del suo titolo d’acquisto in quanto, ad esempio, l’alienante potrebbe non essere stato il proprietario del bene e, quindi, soggetto legittimo a trasferirne la titolarità , ma dovrà altresì fornire la prova del titolo di acquisto dei precedenti proprietari, fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario. La disciplina probatoria qui brevemente esaminata conosce, tuttavia, un importante temperamento di matrice giurisprudenziale. Deroga alla probatio diabolica nella rei vindicatio. È indirizzo consolidato all’interno della giurisprudenza di legittimità quello in virtù del quale la regola generale secondo la quale chi agisce ai sensi dell’art. 948 c.c. è onerato a provare la titolarità sub specie proprietà della cosa rivendicata risalendo, attraverso i precedenti danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, trovi un’eccezione laddove il convenuto riconosca che il bene rivendicato apparteneva ad una determinata persona. In questa ipotesi, risulta sufficiente che l’attore-rivendicante fornisca la prova del passaggio della proprietà da quella determinata persona fino a lui, anche trascurando le risultanze catastali ed ipotecarie, trattandosi di forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale ex multis Cass., sez. II, 14/12/2016 n. 25793 . Ove quindi, come nel di specie, si agisce per rivendicare la proprietà esclusiva di un bene facente parte di un edificio, appartenuto originariamente ad un unico soggetto e poi venduto separatamente a più acquirenti, l’onere probatorio è profondamente attenuato, risultando assolto mediante produzione del titolo di acquisto e dalla dimostrazione dell’appartenenza del bene allo stesso dante causa del convenuto. Sulla scorta di tali argomentazioni la Sesta Sezione della Corta di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 27 settembre 2018 – 26 febbraio 2019, n. 5648 Presidente D’Ascola – Relatore Besso Marcheis Ritenuto che 1. Il Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza n. 836/2007 rigettava la domanda dei coniugi Z.O. e G.D. di rivendicazione di un vano ad uso ripostiglio proposta nei confronti di S.P. . In particolare, riteneva il Tribunale che i due attori non avessero adempiuto all’onere probatorio, su di loro incombente, consistente nella dimostrazione della titolarita’ del diritto vantato sul bene mediante acquisto a titolo originario. 2. Avverso tale decisione proponevano appello gli odierni controricorrenti. La Corte d’appello di Bologna, sezione 1 civile, con sentenza n. 1729 del 26/7/2017, in riforma della decisione impugnata, accoglieva la domanda di rivendicazione, ordinando a Paola S. la consegna del vano. 3. Contro la sentenza ricorre in cassazione S.P. . Resistono con controricorso Z.O. e G.D. . Considerato che 1. Con l’unico motivo di ricorso si contesta falsa applicazione dell’art. 948 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la Corte d’appello ha errato nel ritenere assolto l’onere della prova necessario a fondare l’azione di rivendicazione con la produzione dell’atto di acquisto delle parti dall’unico dante causa, la societa’ costruttrice dell’edificio, trascurando, al contrario, le diverse risultanze catastali. Il motivo e’ infondato. La Corte d’appello ha affermato che la necessita’ di dimostrare con la c.d. probatio diabolica la proprieta’ del bene rivendicato, propria dell’azione di rivendicazione, trova un’eccezione nel caso in cui il bene conteso tra il possessore e colui che asserisce esserne il proprietario provenga da un dante causa comune ove - come nel caso di specie - si intenda agire per rivendicare la proprieta’ esclusiva di un bene facente parte di un edificio, appartenuto originariamente a un unico soggetto e poi venduto separatamente a piu’ acquirenti, e’ sufficiente provare la validita’ del proprio titolo d’acquisto e l’appartenenza del bene allo stesso dante causa del convenuto. La Corte ha cosi’ applicato l’orientamento di questa Corte secondo cui nell’azione di rivendicazione il rigore della prova della proprieta’ e’ attenuato se il convenuto riconosca che il bene rivendicato apparteneva un tempo ad una determinata persona, essendo sufficiente in tal caso che il rivendicante dimostri, mediante gli occorrenti atti d’acquisto, il passaggio della proprieta’ da quella determinata persona fino a lui al fine di tale dimostrazione non e’ necessaria, ne’ sufficiente, la prova della continuita’ delle risultanze catastali e ipotecarie, trattandosi di forme di pubblicita’ prive di effetti costitutivi sulla titolarita’ del diritto dominicale Cass., sez. 2, 14/12/2016, n. 25793 . 2. Il ricorso va quindi rigettato. La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali 15% e accessori di legge. Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.