Sospensione feriale dei termini: si applica il principio tempus regit actum, a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio

La riduzione della durata del periodo di sospensione feriale - che attualmente decorre dal 1° al 31 agosto di ogni anno, ai sensi dell'art. 1 l. n. 741/1969, nel testo modificato dall'art. 16, comma 1, d.l. n. 132/14, convertito con modificazioni dalla l. n. 162/2014 - è immediatamente applicabile con decorrenza dall'anno 2015, in forza dell'art. 16, comma 1, dello stesso d.l., a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio tempus regit actum.

Il caso. Avverso una sentenza del 2014 emessa dal Tribunale di Udine, veniva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Appello di Trieste. Durante un’udienza nel maggio del 2016, a seguito della dichiarazione del difensore dell’appellante veniva dichiarata l’interruzione del giudizio, conseguente al decesso della parte. Nel settembre dello stesso anno la difesa dell’appellata chiedeva che venisse dichiarata l’estinzione del giudizio, non essendo stato riassunto nei termini. Fissata la comparizione delle parti, alla successiva udienza di dicembre la Corte territoriale, preso atto che non era stato notificato il decreto di fissazione di udienza agli eredi della parte deceduta, riservava la causa in decisione e, successivamente, con la sentenza emessa nel gennaio 2017, dichiarava estinto il giudizio. Avverso la pronuncia del giudice bolognese proponeva ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi, l’unica erede del defunto. La controparte resisteva in giudizio con controricorso ed eccepiva l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che non fosse stata documentata dalla ricorrente la qualità di erede dell’originaria parte appellante. Motivi di impugnazione. L’attrice, con il primo motivo di ricorso riteneva che al procedimento in esame dovesse trovare applicazione il termine di 46 giorni previsto originariamente per la sospensione feriale e non quello di 31 giorni previsto dalla novella del d.l. n. 132/14. Riteneva, quindi, che, quando l’appellata aveva presentato l’istanza di estinzione del giudizio di appello, il termine trimestrale per la riassunzione del giudizio doveva ritenersi non ancora decorso. Pertanto, doveva essere attribuita a tale istanza il valore di atto valido e idoneo a consentire la riattivazione del processo interrotto. Con il secondo motivo, sosteneva che la decisione della Corte di Appello fosse stata adottata senza la sua partecipazione al giudizio riassunto, in violazione del principio del contraddittorio. La Suprema Corte di Cassazione esamina congiuntamente i motivi di ricorso, perché connessi, e li dichiara privi di fondamento. Osservazioni della Corte di Cassazione. I Supremi Giudici della legittimità, preliminarmente, disattendono l’eccezione sollevata dalla controricorrente e affermano che, anche se la dichiarazione di successione presentata dall’erede non comprova questa sua qualità, trattandosi di un documento avente mero rilievo fiscale, dalla stessa emerge l’esistenza di un rapporto di parentela con il de cuius che legittima l’acquisto della qualità di chiamata all’eredità. Pertanto, è la stessa proposizione del ricorso per Cassazione che vale a porre in essere un atto di accettazione dell’eredità. I Giudici, quindi, ritengono dimostrata la qualità di erede in capo alla ricorrente. Poi affermano che, alla data di presentazione dell’istanza di estinzione del giudizio di appello settembre 2016 , da parte dell’appellata, il termine di legge per la riassunzione era ormai maturato, senza che nessuna parte si fosse tempestivamente attivata. I Supremi giudici, richiamandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimità in merito all’applicazione delle modifiche di legge in tema di sospensione feriale dei termini, ha ribadito che la riduzione della durata del periodo di sospensione feriale - che attualmente decorre dal 1 al 31 agosto di ogni anno, ai sensi dell'art. 1 l. n. 741/69, nel testo modificato dall'art. 16, comma 1, d.l. n. 132/14, convertito con modificazioni dalla l. n. 162/14 - è immediatamente applicabile con decorrenza dall'anno 2015, in forza dell'art. 16, comma 1, dello stesso d.l., a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio tempus regit actum . Conclusione. I Giudici della Sesta Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il ricorso e condannano la ricorrente a rimborsare le spese in favore della controricorrente. Danno atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 ottobre 2018 – 17 gennaio 2019, n. 1240 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Nel corso del giudizio di appello proposto dinanzi alla Corte d’Appello di Trieste avverso la sentenza del Tribunale di Udine n. 1083/2014, all’udienza del 10/5/2016, a seguito di dichiarazione del difensore dell’appellante, era dichiarata l’interruzione del giudizio in conseguenza del decesso di N.G. . Con istanza depositata in data 19 settembre 2016, la difesa dell’appellata N.L. chiedeva dichiararsi l’estinzione del giudizio per la mancata riassunzione nei termini. Fissata la comparizione delle parti, alla successiva udienza del 13 dicembre 2016, la Corte d’Appello di Trieste, preso atto della mancata notificazione del decreto di fissazione d’udienza agli eredi della parte deceduta, riservava la causa in decisione, e con sentenza n. 54 del 24/1/2017, dichiarava l’estinzione del giudizio. A tal fine rilevava che per effetto della L. n. 69 del 2009, il termine per la riassunzione del giudizio interrotto era stato ridotto a tre mesi, per i giudizi introdotti in data successiva al 4 luglio 2009. La novella trovava quindi applicazione al processo in esame, che era stato introdotto in primo grado nel settembre del 2010. Una volta esclusa la possibilità di applicare alla fattispecie le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 34, trattandosi di norma destinata a regolare il processo amministrativo, ne derivava che anche d’ufficio la Corte distrettuale doveva dichiarare l’estinzione del giudizio, per la mancata riassunzione nel termine di legge. F.G. , quale unica erede del defunto N.G. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di due motivi. N.L. ha resistito con controricorso. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della controricorrente sul presupposto che non sia stata documentata dalla ricorrente la qualità di erede della originaria parte appellante. Ed, invero, ancorché la denuncia di successione che è stata prodotta dalla F. non comprovi la qualità di erede, trattandosi di atto avente mera rilevanza fiscale la cui presentazione non implica il compimento di un atto di accettazione tacita dell’eredità, va osservato che dalla dichiarazione emerge anche l’attestazione del rapporto di parentela con il de cuius legittimante l’acquisto della qualità di chiamata all’eredità rapporto di parentela che la stessa controricorrente non contesta , di modo che è la stessa proposizione del presente ricorso che vale a porre in essere un atto di accettazione dell’eredità, consentendo quindi di ritenere dimostrata la qualità di erede in capo alla F. . Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 305 e 302 c.p.c., nonché del D.L. n. 132 del 2014. Sostiene la ricorrente che, ferma restando l’applicabilità alla fattispecie della novellata previsione dell’art. 305 c.p.c., essendo stato il giudizio introdotto in primo grado in epoca successiva all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, tuttavia la riduzione della sospensione feriale dei termini a far data dal 2015, così come disposta dal D.L. n. 132 del 2014, conv. nella L. n. 162 del 2014, in assenza di norme di diritto intertemporale, non poteva trovare applicazione per i processi già pendenti alla data della sua entrata in vigore. Pertanto al procedimento in esame risulta ancora applicabile il termine di 46 giorni previsto originariamente per la sospensione feriale, con la conseguenza che allorquando l’appellata in data 19 settembre 2016 ebbe a presentare una istanza irrituale di estinzione al giudice di appello, il termine trimestrale per la riassunzione non era ancora decorso, dovendosi quindi attribuire a tale istanza il valore di valido atto idoneo a consentire la riattivazione del processo interrotto, ai sensi dell’art. 302 c.p.c Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., e dell’art. 101 c.p.c Si sostiene che la decisione della Corte d’Appello sarebbe stata adottata in assenza della sua partecipazione al giudizio riassunto, in violazione del principio del contraddittorio, impedendole quindi di poter sollevare le questioni che oggi si vede costretta a proporre con il primo motivo di ricorso. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono del tutto privi di fondamento. Ed, invero, deve ribadirsi che, indipendentemente dalla possibilità di attribuire all’istanza di parte appellata del 19 settembre 2016 la valenza di atto di riassunzione ovvero di prosecuzione del giudizio interrotto contrastando peraltro tale assunto con il tenore dell’atto stesso finalizzato unicamente a sollecitare l’esercizio del dovere, ormai officioso, del giudice di dichiarare l’estinzione del processo una volta decorso il termine previsto per la riassunzione ex art. 305 c.p.c. , a tale data era ormai maturato il termine di legge senza che nessuna delle parti si fosse tempestivamente attivata. L’assunto di parte ricorrente è che ai fini del calcolo del termine de quo debba tenersi conto non già di un periodo di sospensione feriale di soli trentuno giorni, quale scaturente a seguito della novella di cui al D.L. n. 132 del 2014, ed a partire dell’anno solare 2015 , ma del più ampio termine di 46 giorni, che in passato regolava tale ipotesi, ma trattasi di assunto che contrasta con la ormai pacifica giurisprudenza di questa Corte, in punto di applicazione delle modifiche legali in tema di sospensione feriale dei termini. In tal senso si è affermato che la riduzione della durata del periodo di sospensione feriale - attualmente decorrente dal 1 al 31 agosto di ogni anno ai sensi della L. n. 741 del 1969, art. 1, nel testo modificato dal D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, conv. con modif. dalla L. n. 162 del 2014, - è immediatamente applicabile con decorrenza dall’anno 2015, in forza dello stesso D.L., art. 16, comma 1, a nulla rilevando la data di introduzione del giudizio, in attuazione, peraltro, del principio tempus regit actum così Cass. n. 20866/2017 conf. Cass. n. 11758/2017 Cass. n. 21674/2017 che ha altresì precisato che, nell’ipotesi in cui venga accertata, per effetto di detta norma, la tardiva proposizione del ricorso per cassazione, non è ammissibile un’istanza di rimessione in termini, atteso che l’applicazione di una novella non può mai integrare un errore scusabile . La rilevata insussistenza della dedotta violazione delle disposizioni normative di cui al primo motivo di ricorso, rende evidente anche l’infondatezza del secondo motivo, occorrendo altresì rilevare che è la stessa previsione della dichiarazione d’ufficio dell’estinzione, in caso di mancata riassunzione nel termine, ad escludere la necessità che tale provvedimento debba essere preceduto dalla riattivazione del contraddittorio nei confronti del successore della parte colpita dall’evento interruttivo, rilevando unicamente l’inerzia delle parti protrattasi oltre il termine di legge. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – L. di stabilità 2013 , che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.