Vita più dignitosa nel Paese d’accoglienza: elemento insufficiente per ottenere protezione

Respinta la richiesta di un giovane senegalese. Impossibile parlare di vulnerabilità”, secondo i Giudici, richiamando solo le precarie condizioni di vita presenti nel Paese d’origine.

Inutile il richiamo fatto dallo straniero alla differente qualità di vita – soprattutto sul fronte dei diritti umani – tra il Paese di provenienza e l’Italia. Questo dato, ossia la possibilità di avere una vita dignitosa nel Belpaese, non è sufficiente perché lo Stato debba concedergli accoglienza e protezione Corte di Cassazione, ordinanza n. 32213/18, depositata oggi . Protezione. Protagonista della storia è un giovane cittadino di origini senegalesi che, una volta approdato in Italia, si è visto negare ogni possibile forma di protezione. E il ‘no’ delle autorità statali alla domanda dello straniero è stato ritenuto legittimo anche dai Giudici, sia in Tribunale che in Corte d’Appello. In particolare, in secondo grado, viene affrontato il tema della protezione umanitaria , e i Giudici specificano che il cittadino senegalese non ha legami affettivi o familiari tali da integrare un motivo che ne giustifichi la permanenza in Italia e, per giunta, è giovane gode di buona salute, né risulta avere reperito in Italia occupazioni lavorative che gli consentano di provvedere al proprio mantenimento . Condizioni. La valutazione della Corte d’Appello viene duramente contestata dal legale dello straniero. E più precisamente l’avvocato evidenzia la vulnerabilità del proprio cliente, ponendo in evidenza che da un giudizio comparativo tra la realtà italiana e quella del Paese di provenienza emerge un’effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa . Questa chiave di lettura sul fronte della tutela degli immigrati viene però respinta dai Giudici della Cassazione, i quali tengono a precisare che non si può parlare di situazione di vulnerabilità dello straniero solo alla luce della fortissima sproporzione tra le condizioni di vita presenti nel Paese di partenza e quelle correnti nel Paese di accoglienza .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 12 luglio – 12 dicembre 2018, n. 32213 Presidente Scaldaferri – Relatore Dolmetta Fatto e diritto Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata. 1.- Il cittadino senegalese signor Ab. Di. Ha presentato domanda di protezione internazionale davanti la Commissione Territoriale di Torino sezione di Genova , che non la ha riconosciuta in alcuna forma. Non diversamente ha ritenuto l'ordinanza resa, su ricorso del richiedente, dal Tribunale di Genova in data 14 giugno 2016. Avverso l'ordinanza ha proposto appello il cittadino senegalese, che ne ha chiesto la riforma con l'accoglimento della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della domanda di protezione sussidiaria ovvero, e in ulteriore subordine, l'accoglimento della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. 2.- Con sentenza depositata il 18 settembre 2017, la Corte di Appello di Genova ha respinto l'appello. Ha in particolare osservato la Corte territoriale che il cittadino senegalese si è limitato a riferire di essere fuggito dal suo paese alla fine del 2013 perché i genitori di bambini rimasti vittima di un incidente nella falegnameria in cui egli lavorava lo minacciavano , senza dedurre alcuna forma di persecuzione, di rischi, né di fatti discriminatori . Ha altresì aggiunto che la situazione generale del Senegal non è tale da arrivare al livello previsto dall'art. 14 D.Lgs. n. 251/2014 . Con riferimento al tema della protezione umanitaria, la sentenza ha escluso che ne ricorrano i presupposti, rilevando che il ricorrente non ha legami effettivi o familiari tali da integrare un motivo umanitario che ne giustifichi la permanenza in Italia, è giovane e gode buona salute, né risulta avere reperito in Italia occupazioni lavorative che gli consentano di provvedere al proprio mantenimento pure sottolineando che, comunque, in relazione a tali condizioni personali dell'appellante le statuizioni impugnate sono divenute incontrovertibili, non essendo stato il contrario dedotto come motivo di appello . 3.- Avverso questa sentenza ricorre ora Ab. Di. con ricorso affidato a un motivo di cassazione. Resiste il Ministero dell'Interno con controricorso. 4.- Il motivo proposto denunzia violazione dell'art. 2 Cost. e art. 11 del Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966 ratificato con legge n. 881/1977 , violazione dell'art. 8 CEDU in relazione in particolare all'art. 5 comma 6 T.U. Immigrazione, violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8 comma 3 d.lgs. n. 25/2008, dell'art. 32 D.Lgs. n. 25/2008, violazione dell'art. 19 T.U. Immigrazione . Nel merito, il motivo censura la sentenza impugnata in relazione a quanto questa ha stabilito in punto di protezione umanitaria. Ad avviso del ricorrente, la sentenza ha errato nel ritenere che i presupposti della protezione umanitaria siano esclusivamente avere dei legami affettivi o famigliari in Italia ovvero godere di buona salute . Per contro, le situazioni di vulnerabilità, che danno luogo al riconoscimento in discorso, costituiscono un catalogo aperto e possono ricomprendere tanto situazione soggettive, quanto situazione oggettive. Segnalato inoltre che il ricorrente ha compiuto un pregevole percorso di integrazione socio-lavorativa corsi in italiano, servizi di volontariato, stage presso una pizzeria, corso di boxe , il motivo sottolinea che, secondo quanto divisato dalla recente sentenza di questa Corte, 23 febbraio 2018, n. 4455, i seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui - all'esito di un giudizio comparativo tra la realtà italiana e quella del paese di provenienza - risulti un'effettiva e incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa . 5.- Il Collegio ritiene che, in disparte il D.L. n. 113/018, il motivo di ricorso non possa essere accolto. La citata sentenza di Cass. n. 4455/2018, se ha sottolineato il carattere aperto dei motivi di accoglienza e protezione umanitaria, ha pure rimarcato che il riscontro di un'effettiva situazione di vulnerabilità non può non partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell'indagine è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una effettiva deprivazione dei diritti umani che ne abbia giustificato l'allontanamento . Non può pertanto condividersi l'opzione interpretativa proposta dal ricorrente, che in buona sostanza va a concentrare la situazione di vulnerabilità, di cui la protezione in discorso, nella sussistenza di una fortissima sproporzione tra le condizioni di vita presenti nel paese di partenza e quelle correnti nel paese di accoglienza. D'altra parte, nel rimarcare il positivo percorso integrativo poste in essere nel periodo di permanenza in Italia, il ricorrente trascura di prendere in considerazione la preclusione operatasi nel precedente grado di giudizio e sottolineata dalla Corte territoriale. 6.- Il Collegio ritiene di compensare, in ragione dei tratti proposti dalla fattispecie concreta, le spese del giudizio di legittimità. Essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non è dovuta alcuna integrazione del contributo unificato. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.