Mancato rilascio del permesso di soggiorno allo straniero sfruttato: è una questione di giurisdizione ordinaria

L’impugnazione del provvedimento di diniego da parte del questore al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore del cittadino straniero vittima di uno sfruttamento lavorativo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 30757/18, depositata il 28 novembre. La vicenda. Un cittadino senegalese chiedeva l’accertamento del proprio diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, sostenendo di essere stato oggetto di un grave sfruttamento lavorativo. Il Tribunale accoglieva l’eccezione del Ministero dell’Interno, che eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, poiché sosteneva che la controversia dovesse esser decisa dal giudice amministrativo. Anche la Corte d’Appello, adita in secondo grado, confermava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. Avverso tale decisione, lo straniero ricorre per cassazione. La giurisdizione. Già da tempo la Suprema Corte ha sottolineato che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dato che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo da ricomprendere tra i diritti umanitari costituzionalmente garantiti dalla nostra Carta fondamentale e dalla CEDU, pertanto non degradabile ad interesse legittimo. Sulla base di ciò gli Ermellini accolgono il ricorso del cittadino senegalese affermando che, in tema di immigrazione, l’impugnazione del provvedimento di diniego del questore al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari in favore dello straniero coinvolto in uno sfruttamento lavorativo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, dato che il parere del procuratore della Repubblica, cui è condizionato il rilascio del permesso da parte del questore, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica ed esaurisce la propria rilevanza all’interno del procedimento amministrativo, non vincolando l’autorità giurisdizionale .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 6 – 28 novembre 2018, numero 30757 Presidente Mammone – Relatore Rubino Fatti di causa Il cittadino senegalese M.B.T. ha chiesto l’accertamento del proprio diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari a norma degli artt. 5 e 22, comma 12-quater, del t.u. sull’immigrazione. A sostegno della richiesta ha esposto di essere stato oggetto di grave sfruttamento lavorativo, di aver presentato denuncia e di aver manifestato la volontà di cooperare nel processo penale a carico del proprio datore di lavoro, col quale aveva interrotto ogni rapporto. L’adito Tribunale di Lecce, accogliendo l’eccezione del Ministero dell’interno, il quale aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sostenendo che la controversia dovesse essere devoluta alla cognizione di quello amministrativo, ha ritenuto che la situazione soggettiva azionata in giudizio abbia consistenza d’interesse legittimo, al cospetto della discrezionalità del pubblico ministero nel rendere il parere favorevole richiesto per il rilascio del permesso in questione parere, che nel caso in esame mancava. La Corte d’appello ha rigettato il successivo appello e ha confermato la sussistenza in materia della giurisdizione del giudice amministrativo ha ribadito che, ai fini del rilascio del permesso in questione, la valutazione dell’Amministrazione è discrezionale, dovendo riguardare caso per caso la contestualità delle condizioni della denuncia e della cooperazione dello straniero nel procedimento penale. Contro la sentenza numero 656/2017 della Corte d’Appello di Lecce propone ricorso M.B.T. per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi e illustra con memoria. Il Ministero non ha svolto attività difensiva in questa sede. Ragioni della decisione 1.- Coi due motivi di ricorso, che vanno esaminati insieme, perché concernenti la medesima censura, il ricorrente lamenta per distinti profili, ex art. 360, 1 comma, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 22, comma 12-quater, del d.lgs. numero 286/08 e, nel farlo, implicitamente, ma inequivocabilmente evoca la questione di giurisdizione sulla quale si sono pronunciati i giudici di merito. Sostiene, per un verso, che l’attività del pubblico ministero sia meramente ricognitiva dei presupposti già stabiliti dalla legge, i quali sostanziano la situazione di diritto soggettivo dello straniero a ottenere il rilascio del permesso di soggiorno e, per altro verso, che debba essere esclusa, in virtù del rapporto tra l’art. 5, 6 comma e l’art. 22, comma 12-quater, del testo unico sull’immigrazione, non dissimile da quello tra la prima norma e l’art. 19 del medesimo decreto, qualsivoglia discrezionalità della pubblica amministrazione, la quale deve soltanto accertare l’esistenza delle circostanze di fatto indicate dal legislatore. 2.- La censura complessivamente proposta è fondata. Queste Sezioni unite hanno da tempo stabilito a partire da Cass. 19 maggio 2009, numero 11535, fino, da ultimo, a ord. 28 febbraio 2017, numero 5059 che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sull’impugnazione del provvedimento del questore di diniego del permesso di soggiorno per motivi umanitari, richiesto ex art. 5, 6 comma, del d.lgs. numero 286 del 1998, in quanto al questore non è più attribuita alcuna discrezionalità valutativa in ordine all’adozione dei provvedimenti riguardanti i permessi umanitari. E ciò in base alla considerazione che la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali garantiti dagli art. 2 cost. e 3 della convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e, pertanto, non degradabile ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo all’autorità amministrativa è richiesto soltanto l’accertamento dei presupposti di fatto legittimanti la protezione umanitaria, nell’esercizio di una mera discrezionalità tecnica, poiché il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato al legislatore. 3.- Alle medesime conclusioni si deve pervenire anche con riguardo alla speciale forma di permesso di soggiorno introdotta nel nostro ordinamento dal d.lgs. 16 luglio 2012, numero 109, che ha attuato la direttiva numero 2009/52/CE sulle norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare in termini, Cass., ord. 27 aprile 2018, numero 10291 . La misura colma una lacuna normativa in materia di lavoro irregolare dello straniero in Italia e si connota per la sua vocazione premiale, giacché si applica in favore del cittadino straniero che, trovandosi in una situazione di particolare sfruttamento lavorativo, abbia presentato denuncia contro il proprio datore di lavoro e cooperi nel procedimento penale instaurato a suo carico. 3.1.- L’art. 2, lettera i della direttiva numero 2009/52/CE ravvisa lo sfruttamento nelle condizioni lavorative, incluse quelle risultanti da discriminazione di genere e di altro tipo, in cui vi è una palese sproporzione rispetto alle condizioni di impiego dei lavoratori assunti legalmente, che incide, ad esempio, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana . Dal canto suo, il comma 12-quater dell’art. 22 del d.lgs. numero 286/98 stabilisce che il titolo di soggiorno in questione è rilasciato, ai sensi dell’articolo 5, comma 6 , dal questore su proposta o con il parere favorevole del procuratore della Repubblica . 3.2.- Il legislatore ha dunque istituito tra l’art. 5, 6 comma e l’art. 22, comma 12-quater, del d.lgs. numero 286/98 una relazione, che va qualificata come rapporto di genere a specie da un canto, la condizione di sfruttamento identifica uno dei possibili seri motivi di carattere umanitario contemplati dal 6 comma dell’art. 5 e, dall’altro, la fattispecie più recente si arricchisce degli elementi ulteriori e specializzanti, a vocazione premiale, della denuncia e della cooperazione nel procedimento penale. 3.2.- Anche il procedimento volto al rilascio di questo titolo di soggiorno configura allora, al pari di quello delineato in via generale dall’art. 5, 6 comma, e contrariamente a quanto sostenuto dal giudice d’appello, attività vincolata e non già esercizio di potere discrezionale. In generale, il questore non ha il potere di verificare l’esistenza dei presupposti sostanziali, ossia dei seri motivi di carattere umanitario richiesti dalla legge, la valutazione dei quali è affidata in via esclusiva, in quella fase, alle Commissioni territoriali egli ha soltanto il compito di accertare l’eventuale esistenza di altre condizioni ostative, se normativamente imposte. 3.2.1.- In particolare, nel caso in questione, nell’ambito del procedimento amministrativo che conduce al riconoscimento o al diniego del permesso del quale si discute da parte del questore, al pubblico ministero è affidata la valutazione della sussistenza dei requisiti previsti dal legislatore. 3.3.- Questa valutazione, che si traduce nella ricognizione della sussistenza dei presupposti previsti dal legislatore tuttavia, è destinata a esaurire la propria efficacia all’interno del procedimento amministrativo, perché è atto necessario sì, ma di un procedimento amministrativo che pur sempre esprime, in base al modello generale, esercizio di attività vincolata sicché essa si risolve nell’esercizio di discrezionalità tecnica, ricognitiva della sussistenza dei presupposti determinati dalla legge. 3.4.- Ciò spoglia di rilievo la mancanza del parere, perché non ne resta inciso l’ambito della cognizione del giudice ordinario, il quale è pur sempre tenuto alla verifica, integrale e senza subordinazione alcuna alla valutazione svolta in sede amministrativa, dell’esistenza dei requisiti per il riconoscimento del titolo di soggiorno. Si è d’altronde anche avuta occasione di puntualizzare che sinanche la nullità del provvedimento amministrativo di diniego reso dalla commissione territoriale sarebbe del tutto irrilevante, poiché la natura di diritto soggettivo al riconoscimento della protezione umanitaria impone che il procedimento giurisdizionale giunga alla decisione sulla spettanza, o non, del diritto stesso, senza potersi limitare al mero annullamento del diniego amministrativo Cass. 22 marzo 2017, numero 7385 3 settembre 2014, numero 18632 . 4.- Significativa conferma della devoluzione al giudice ordinario delle controversie in questione emerge poi dall’art. 1, 3 co., lett. a , del d.l. 4 ottobre 2018, numero 113, che le attribuisce alla cognizione delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, istituite presso i tribunali ordinari del luogo dove hanno sede le Corti d’appello dal d.l. 17 febbraio 2017, numero 220, convertito dalla legge 13 aprile 2017, numero 46. 5.- In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio anche per le spese alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto In tema d’immigrazione, l’opposizione avverso il diniego del questore al rilascio del permesso di soggiorno previsto dall’art. 22, comma 12-quater del d.lgs. numero 286 del 1998 in favore del cittadino straniero vittima di sfruttamento lavorativo appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, che procederà con cognizione piena a verificare la sussistenza dei relativi presupposti, atteso che il parere dal procuratore della Repubblica, cui è condizionato il rilascio del permesso da parte del questore, costituisce esercizio di discrezionalità tecnica ed esaurisce la propria rilevanza all’interno del procedimento amministrativo, non vincolando l’autorità giurisdizionale . P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Lecce in diversa composizione.