Rilevanza del comportamento dello straniero ai fini dell’autorizzazione alla permanenza per esigenze familiari: la parola alle Sezioni Unite

Lo straniero una volta ottenuta l’autorizzazione specifica, può permanere transitoriamente in Italia per accudire i familiari bisognosi del suo sostegno economico e morale. Tale autorizzazione può essere revocata a fronte di un comportamento del beneficiario incompatibile con le esigenze statuali a tutela di svariati interessi preminenti. Si pone però il problema della rilevanza di tali comportamenti in riferimento al diniego dell’autorizzazione richiesta dallo straniero.

Così ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 29802/18, depositata il 19 novembre. Il diniego. Due coniugi albanesi intenzionati ad accudire i loro figli minori nati in Italia, si rivolgevano al Tribunale territoriale con l’intento di ottenere un’autorizzazione alla permanenza nel territorio italiano. Permesso negato sia in primo che in secondo grado primariamente veniva rilevato che i coniugi non presentavano la necessità della loro permanenza in Italia come transitoria, ma anzi il loro intento era permanere finché i figli non avessero raggiunto la piena autonomia economica ed affettiva. Sussisteva una secondaria ragione ostativa all’accoglimento della domanda al padre era stato revocato il permesso di soggiorno a fronte di un arresto e rinvio a giudizio per lo spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione, ebbene attività incompatibili con il rilascio dell’autorizzazione alla permanenza in Italia. Il padre di famiglia ricorre dunque in Cassazione deducendo la violazione dell’art. 31, comma 3, t.u. imm. sostenendo che suddetta norma prevede il comportamento del familiare del minore quale causa di revoca dell’autorizzazione all’ingresso o soggiorno già concessa, ma non anche quale ragione di diniego di rilascio della stessa . La revoca dell’autorizzazione. Gli Ermellini rilevano che è di preminente importanza capire se il comportamento del familiare incompatibile con la permanenza in Italia possa essere preso in considerazione soltanto ai fini della revoca dell’autorizzazione già concessa – come sostengono i ricorrenti – oppure anche ai fini del diniego dello stesso rilascio dell’autorizzazione richiesta . Tale questione non è mai stata affrontata nella giurisprudenza di legittimità nell’unico precedente presentato, sebbene la questione non fosse stata posta con il ricorso, era stato enunciato il principio di diritto secondo cui era compito del Giudice di merito adito per il rilascio dell’autorizzazione, valutare le esigenze statuali circa la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale e quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore così da esperirne un corretto bilanciamento. Dall’art. 31 in considerazione, rilevano due aspetti che debbano essere posti in rilevo la tutela e lo sviluppo del minore e la permanenza dei familiari volta a migliorare la crescita dello stesso fanciullo, permanenza che debba essere conferita tramite autorizzazione. È dunque necessario sottolineare che la stessa norma prevede la possibilità di revocare l’autorizzazione concessa, qualora emergano gravi motivi incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I comportamenti incompatibili . Pertanto, alla luce delle esigenze da tutelare, è necessario capire se i comportamenti incompatibili” considerati dall’art. 31 suddetto e realizzati dal richiedente, siano rilevanti anche ai fini di negare il rilascio dell’autorizzazione in questione. Tuttavia la norma appare generica in quando non sembra dar rilievo ai precedenti del soggetto interessato, bensì all’attività incompatibile con la permanenza in Italia la nozione di incompatibilità risulta inoltre priva di contorni precisi e definiti idonei a condurre a un’esauriente valutazione giudiziale. Data la massima importanza della questione prospettata e priva di una soluzione soddisfacente, la Suprema Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza interlocutoria 11 maggio – 19 novembre 2018, n. 29802 Presidente Genovese – Relatore De Chiara Fatti di causa 1. La Corte d’appello di L’Aquila ha respinto il reclamo dei coniugi sig.ri S.D. e B. , di nazionalità albanese, avverso la decisione del Tribunale per i minorenni di rigetto della loro richiesta di autorizzazione alla permanenza in Italia al fine di accudire i figli minori A. , nato in omissis , e N. , nata in omissis , ai sensi dell’art. 31, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 t.u. imm. . La Corte ha osservato che la legge, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità Cass. Sez. U. 21799/2010 , prevede il rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi in presenza di situazioni, pregiudizievoli per lo sviluppo psicofisico del minore, che, pur non avendo carattere emergenziale o eccezionale, tuttavia non siano di lunga o indeterminabile durata e non siano caratterizzate da tendenziale stabilità. I reclamanti, invece, non presentavano la necessità della loro permanenza in Italia come transitoria, ma anzi la rappresentavano esplicitamente come destinata ad esaurirsi solo quando i figli avranno raggiunto la piena autonomia economica ed affettiva. Sussisteva, inoltre, quanto al padre, una ulteriore ragione ostativa all’accoglimento della domanda, costituita dall’arresto e rinvio a giudizio per spaccio di sostanze stupefacenti ed estorsione, che aveva determinato la revoca del permesso di soggiorno il comportamento rivelato da tali precedenti era qualificabile come attività incompatibile con la permanenza in Italia, idonea a giustificare, ai sensi del secondo periodo del comma 3 dell’art. 31, cit., la revoca dell’autorizzazione e quindi, a maggior ragione, il mancato rilascio della stessa. 2. I sig.ri S. hanno proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui non ha resistito il Procuratore Generale presso la Corte d’appello. Il ricorso, chiamato in camera di consiglio davanti alla Sesta Sezione di questa Corte, è stato dal Collegio rimesso alla pubblica udienza davanti a questa Sezione per difetto dei presupposti per la trattazione camerale. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 31, comma 3, t.u. imm., si censura il diniego dell’autorizzazione a causa del comportamento del sig. S. , osservando che la predetta norma prevede il comportamento del familiare del minore quale causa di revoca dell’autorizzazione all’ingresso o soggiorno già concessa, ma non anche quale ragione di diniego di rilascio della stessa, e si ribadisce la necessità della presenza in Italia dei ricorrenti al fine di prevenire danni allo sviluppo psicofisico dei figli minori, richiamando, tra l’altro, la giurisprudenza di questa Corte in particolare le ordinanze 15191/2015 e 24476/2015 che valorizza a tal fine la circostanza che si tratti di minori in età prescolare come la figlia dei ricorrenti . 2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del diritto all’unità familiare sancito dal titolo IV del t.u. imm., in recepimento della direttiva 2003/86/CE, e dall’art. 8 CEDU. 3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 19 t.u. imm., in relazione agli artt. 9 e ss. della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, e violazione del divieto espulsione dei minori e del diritto all’unità familiare. 4. Con il quarto motivo si denuncia nuovamente violazione dell’art. 31 t.u. imm. e carenza e illogicità della motivazione, per avere la Corte d’appello omesso completamente di effettuare una valutazione prognostica riguardante il pericolo di danno grave e irreparabile per lo sviluppo psico-fisico dei minori. 5. Il primo motivo di ricorso pone, come si è visto, in primo luogo la questione se il comportamento del familiare incompatibile con la permanenza in Italia possa essere preso in considerazione soltanto ai fini della revoca dell’autorizzazione già concessa – come sostengono i ricorrenti - oppure anche ai fini del diniego dello stesso rilascio dell’autorizzazione richiesta. Sinora tale questione non è stata affrontata nella giurisprudenza di questa Corte. L’unico precedente - la sentenza 4 giugno 2018, n. 14238 deliberata nella camera di consiglio del 17 gennaio 2018 - presuppone la seconda soluzione, senza tuttavia motivare, poiché la questione non era stata posta con il ricorso, ed enuncia il principio di diritto secondo cui è compito del giudice di merito - adito per il rilascio dell’autorizzazione - operare un attento bilanciamento tra le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale e quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria. La soluzione favorevole all’attribuzione di rilevanza del comportamento del familiare anche in sede di rilascio dell’autorizzazione, tuttavia, non sembra essere quella immediatamente suggerita dalla lettera invocata dai ricorrenti della disposizione di cui all’art. 31, comma 3, t.u. imm. che si trascrive per comodità Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia . Contro di essa, invero, milita non soltanto il riferimento alla sola revoca e non anche al diniego dell’autorizzazione, quale sanzione dell’attività incompatibile del familiare, ma anche l’espressa previsione che l’autorizzazione può essere rilasciata anche in deroga alle altre disposizioni del testo unico, comprese evidentemente quelle, come gli artt. 4, comma 3, e 5, commi 5 e 5 bis, che precludono il rilascio del permesso di soggiorno in favore di soggetti con precedenti penali ostativi o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Inoltre la disposizione in esame non sembra dare rilievo ai precedenti del soggetto interessato, bensì all’attività incompatibile con la permanenza in Italia sembra, cioè, porre a base della decisione sfavorevole al familiare non una prognosi, bensì un comportamento in atto al momento della decisione, del quale viene predicata non la pericolosità, bensì la incompatibilità con la permanenza in Italia. Incompatibilità della quale, peraltro, non sono meglio definiti i contorni. Si tratta di aspetti problematici che alimentano l’incertezza dell’interpretazione, ponendo dunque, ad avviso del Collegio, una complessa questione di massima, che assume particolare importanza anche per la sua collocazione al delicato incrocio tra interessi di fondamentale rilievo per l’ordinamento, quali la protezione dei minori e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Si ritiene pertanto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 cod. proc. civ P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.