La revoca del gratuito patrocinio disposta dalla sentenza di merito non passata in giudicato

In tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, la revoca di suddetto beneficio per la temerarietà della lite può essere disposta a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione di merito che abbia accertato la condotta abusiva della parte.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29462/18 depositata il 15 novembre. Un immobile, uno sfratto. La proprietaria di un immobile accordava un contratto di locazione con un certo soggetto che successivamente si rilevava moroso nel pagamento del canone, inadempimento che giungeva innanzi al Tribunale di Milano il conduttore ammesso al gratuito patrocinio, veniva condannato al pagamento dei canoni arretrati e al rilascio dell’immobile occupato. La condanna veniva confermata anche dalla Corte d’Appello in seguito adita dal conduttore, la quale ne revocava altresì l’ammissione al gratuito patrocinio rilevando che il conduttore stesso aveva proposto l’impugnazione con colpa grave, omettendo di ponderare con una maggior consapevolezza l’infondatezza delle sue argomentazioni alla luce delle ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado. Il conduttore ricorrendo in Cassazione deduce la falsa applicazione delle norme riguardanti il beneficio del gratuito patrocinio, revoca disposta per dipiù sulle risultanze di una sentenza non passata in giudicato, ovvero contestando le decisioni assunte alla base della condanna di fratto per morosità. Revoca al gratuito patrocinio. Gli Ermellini evidenziano preliminarmente che la revoca dell’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio per la temerarietà della lite può essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che abbia accertato la condotta processuale abusiva, atteso che l’autorità della sentenza di primo grado, qual è desumibile dall’art. 337 c.p.p., giustifica l’adozione di un provvedimento che si fondi sull’accertamento dei fatti come operato della stessa . È necessario sottolineare che la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza emessa dalla Corte del riesame, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 d. P.R. n. 115/2002 . In conclusione, la Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 4 luglio – 15 novembre 2018, numero 29462 Presidente A. Genovese– Relatore Caiazzo Rilevato che Con citazione notificata il 12.1.07 la ALER intimò lo sfratto per morosità nei confronti di F.F.B. per il rilascio di un immobile sito in l’intimato s’oppose eccependo l’insussistenza della morosità e la falsità ideologica o materiale della situazione contabile dell’ente intimante al 30.6.07 e di una dichiarazione dell’ufficiale rogante circa la morosità del conduttore, proponendo altresì domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento del canone e delle spese e la condanna della controparte al risarcimento dei danni. Disposto il rilascio dell’immobile locato con ordinanza, con riserva delle eccezioni del convenuto, con sentenza del 21.5.09 il Tribunale dichiarò risolto il contratto di locazione ad uso abitativo per inadempimento della parte intimata, rigettando le domande riconvenzionali proposte dal F. e dalla parte interventrice Onlus Movimento per la Giustizia Robin Hood . L’intimato e il terzo interventore proposero appello che la Corte d’appello di Milano ha rigettato argomentando che la querela di falso proposta in via incidentale, riguardante la situazione contabile della parte locatrice, era stata dichiarata correttamente inammissibile perché non rilevante, essendo incontestata la morosità, peraltro emergente da plurimi elementi di prova era applicabile la normativa sopravvenuta in ordine alla determinazione del canone di locazione ex legge regionale numero 91 del 1983 art. 28 di cui l’intimato non aveva dimostrato l’errata applicazione il F. non aveva diritto al riscatto dell’immobile locato, come dimostravano i documenti prodotti l’appello incidentale era infondato non essendo stato provato il danno da responsabilità aggravata dell’appellante era da revocare, ex art. 136 d.P.R. numero 115/02, l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato a favore del F. per aver quest’ultimo proposto l’impugnazione con colpa grave, non avendo ponderato con una maggiore consapevolezza l’infondatezza delle sue argomentazioni, alla luce delle ragioni poste a sostegno della sentenza di primo grado. Il Movimento per la Giustizia Robin Hood e F.F.B. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a - due motivi. Si è costituita l’Alert con controricorso. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato che Con il primo motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 136 del d.P.R. numero 115/02, art. 11 disp. prel. c.c., artt. 948, 1337, 2043, 2697, 2932, c.c., 112, 15, 132, 184, 221, c.p.c., nonché delle leggi nnumero 60/63 e 457/78, e dell’art. 28 l.r. numero 91/83. Al riguardo, i ricorrenti hanno lamentato la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, contestando la motivazione della sentenza impugnata in ordine all’erronea negata ammissione dei mezzi istruttori e della querela di falso. Con il secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 50bis e quater, 70, 158, 161, 210, 213, 221 ss., 355, 658 e 666, c.p.c., nonché degli artt. 5, 55 e 79 della legge numero 392/78, avendo la Corte d’appello esaminato documenti prodotti dalla controparte e disconosciuti, violando le norme sull’intervento del Pubblico Ministero cui non era stato comunicato l’avviso della pendenza della querela di falso che avrebbe imposto anche la riunione del giudizio in questione con quello incidentale introdotto dalla stessa querela e la devoluzione della competenza al collegio . Inoltre, è stata dedotta l’omessa motivazione in ordine alla domanda nuova dell’intimante volta a richiedere lo sfratto per morosità anche in ordine alle spese e agli oneri accessori. Il primo motivo è inammissibile. Occorre premettete che la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio è stata disposta da una sentenza non passata in giudicato. Ora, al riguardo, va rilevato che in tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, la revoca dell’ammissione al beneficio per la temerarietà della lite può essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che abbia accertato la condotta processuale abusiva, atteso che l’autorità della sentenza di primo grado, qual è desumibile dall’art. 337 c.p.c., giustifica adozione di un provvedimento che si fondi sull’accertamento dei fatti come operato nella stessa, e considerato che, ove si negasse la possibilità di adottare immediatamente un provvedimento di revoca a fronte di domande avanzate con mala fede o colpa grave conclamate, sarebbe consentito alla parte di reiterare la condotta abusiva in sede di impugnazione, continuando a beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, con possibilità pressoché nulle di recupero delle spese anticipate a tale titolo Cass., ord. numero 29144/17 . Premesso ciò, come rilevato dal Pubblico Ministero, l’impugnazione della pronuncia sulla revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio va proposta in conformità dell’art. 170 del d.P.R. numero 115/02, in conformità dell’orientamento di questa Corte a tenore del quale la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anziché con separato decreto, come previsto dall’art. 136 del d.P.R. numero 115 del 2002, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 della stesso d.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del d.P.R. Cass., numero 29228/17 numero 3028/18 . Pertanto, nel caso concreto, l’impugnazione proposta dal ricorrente, senza l’osservanza del citato art. 170, è inammissibile. Il secondo motivo è parimenti inammissibile in quanto formulato attraverso una serie di censure, processuali e sostanziali, esposte confusamente e in maniera tale da non cogliere la ratio decidendi. Al riguardo, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito Cass., numero 19959/14 ord. numero 11603/18 . Nella fattispecie, come detto, parte ricorrente ha invocato una serie di violazioni di norme, sostanziali e processuali, esprimendo in maniera non chiara varie doglianze inestricabilmente tra loro connesse peraltro, il riferimento alla novità della domanda dell’intimante afferente alla morosità per spese, e non solo per canoni, come si sarebbe desunto dall’atto introduttivo del giudizio, è del tutto irrilevante atteso che la Corte territoriale ha comunque scrutinato la morosità del conduttore per mancato pagamento dei canoni. Infine, il collegio ritiene che sussistano i presupposti della responsabilità aggravata in capo ai ricorrenti, a norma dell’art. 96, 3 comma, c.p.c., per aver agito con colpa grave, proponendo un ricorso fondato su argomentazioni palesemente inammissibili, avendo già la Corte d’appello evidenziato che l’appello era stato proposto con colpa grave per non aver gli appellanti ponderato, con maggiore consapevolezza, l’infondatezza delle argomentazioni dedotte a sostegno delle proprie ragioni, come affermata in primo grado. Invero, il ricorso è stato fondato su due motivi ritenuti inammissibili, relativi a censure in parte già formulate nell’atto d’appello, che il giudice di secondo grado aveva considerato frutto di una certa superficialità. In proposito, secondo un orientamento di questa Corte, la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave e può essere pronunciata d’ufficio Cass., numero 19285/16 ord. numero 21570/12 numero 4925/13 . In base ad altro orientamento, invece, la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta - con finalità deflattive del contenzioso - alla repressione dell’abuso dello strumento processuale la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di abuso del processo , quale l’aver agito o resistito pretestuosamente Cass., numero 27623/17 . Nel caso concreto, emerge con chiarezza una condotta di abuso del diritto d’impugnazione, caratterizzata da colpa grave dei ricorrenti, consistita nel mancato impiego della doverosa diligenza e accuratezza nel reiterare il gravame, pur in ordine a ragioni già formulate nell’atto d’appello, peraltro espressa attraverso motivi inammissibili. Invero, ai fini della condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., è stato affermato che costituisce abuso del diritto all’impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, giacché ripetitivi di quanto già confutato dal giudice d’appello, ovvero perché assolutamente irrilevanti o generici, o, comunque, non rapportati all’effettivo contenuto della sentenza impugnata Cass., numero 19286/16 . È evidente, dunque, che pur tenendo conto dell’orientamento più estensivo, che non ritiene la colpa grave elemento costitutivo della responsabilità aggravata in questione, sarebbe comunque da applicare la sanzione pecuniaria contemplata dall’art. 96, 3 comma, c.p.c., sussistendo una palese pretestuosità dell’impugnazione. Per quanto esposto, i ricorrenti vanno condannati al pagamento della somma di Euro 2000,00 determinata equitativamente come per legge, a favore della controparte. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controcorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, la maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge. Condanna altresì i ricorrenti, in solido, al pagamento della somma di Euro 2000,00 a favore della parte controricorrente, a norma dell’art. 96, comma 3, c.p.c