L’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo esecutivo

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Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26166/18 depositata il 18 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello di Perugia, pronunciandosi su un ricorso proposto dagli appellanti avverso il Ministero della Giustizia per l’eccessiva durata di un processo di esecuzione immobiliare, durato 16 anni, rigettava la domanda di equa riparazione sulla base dell’ assenza del danno non patrimoniale. I suddetti soggetti ricorono così in Cassazione. L’equa riparazione. La Corte territoriale riteneva che l’eccessiva durata del processo, nel caso in esame, non costituisce per i debitori un danno ma un vantaggio. Sul punto la Suprema Corte ricorda che il debitore esecutato, rimasto inattivo, non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo preordinato all’interesse del creditore, dunque egli è soggetto al potere coattivo del creditore. Infatti la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, dato che questi dall’esito del processo non riceve un danno ingiusto. E spetta al debitore, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, provare l’interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e soddisfare tutti i creditori. Cosa che non è avvenuta nel caso in esame, dato che i debitori esecutati hanno mantenuto una posizione meramente passiva, di attesa della liquidazione dei beni pignorati. per questi motivi gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 maggio 18 ottobre 2018, n. 26166 Presidente Petitti Relatore Federico Esposizione del fatto C.A. e D.A.T. propongono ricorso per cassazione avverso il decreto n. 2593/2016 della Corte d’Appello di Perugia che, pronunciando su un ricorso introdotto dalle parti ex art. 2 l. 89/2001 avverso il Ministero della Giustizia per l’eccessiva durata di un processo di esecuzione immobiliare, durato complessivamente 16 anni, ha rigettato la domanda di equa riparazione sulla base dell’ assenza del danno non patrimoniale, affermando che l’eccessiva durata del processo esecutivo non costituisce solitamente un danno per il debitore che sia rimasto nel possesso dei beni staggiti. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso. In prossimità del’odierna adunanza i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis cpc. Considerato in diritto Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione art. 2 l. 89/2001, artt. 6, 8 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché degli artt. 2056 e 1226 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che l’eccessiva durata del processo non costituisse per i debitori, i quali erano rimasti nel possesso dei beni staggiti per tutta la durata del processo esecutivo, un danno ma un vantaggio. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha infatti evidenziato la carenza di interesse e dunque la mancanza del presupposto per l’indennizzo da irragionevole durata del procedimento, in relazione al protrarsi della procedura esecutiva, in considerazione del mantenimento di detenzione e godimento del bene espropriato in capo ai ricorrenti, quali debitori esecutati. Tale statuizione è conforme a diritto. Il debitore esecutato rimasto inattivo non ha infatti diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicché egli - a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo - è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica Cass. 89 del 7 gennaio 2016 . Questa Corte ha infatti statuito che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poiché egli dall’esito del processo non riceve un danno ingiusto. Pertanto, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, l’esecutato ha l’onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente Cass. 14382 del 09/07/2015 . Orbene nel caso di specie, dallo stesso contenuto del ricorso, non risulta né un ruolo attivo dei debitori, né la circostanza che l’attivo pignorato o pignorabile fosse ab origine tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e di tutti i debiti, risultando, al contrario, che i creditori non sono rimasti integralmente soddisfatti. Non risulta dunque ravvisabile un interesse dei debitori ad una rapida definizione della procedura esecutiva, avendo essi mantenuto una posizione meramente passiva, di attesa della liquidazione dei beni pignorati, non palesando dunque alcuna premura per il suo celere svolgimento, traendo, al contrario, vantaggio, dalla sua eccessiva durata Cass. n. 23630 del 17/10/2013 in relazione alla prolungata detenzione del bene. Il ricorso va dunque respinto ed i ricorrenti vanno condannati in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 900,00 Euro oltre a spese prenotate a debito.