Illecito disciplinare dei magistrati: l’abolitio criminis non si applica retroattivamente

La depenalizzazione del fatto-reato non incide retroattivamente sugli illeciti disciplinari dei magistrati, rientrando questi nell’alveo degli illeciti amministrativi. La irretroattività della abolitio criminis è coerente con la diversità dei beni protetti dalla norma penale e dalla norma disciplinare giacché, quest’ultima, pur di fronte alla depenalizzazione del fatto continua a tutelare il bene dell’immagine del magistrato.

Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 22407/18 depositata il 13 settembre. La vicenda processuale. Un magistrato, sostituto procuratore generale presso la Corte d’Appello di Bologna, chiedeva alla Sezione disciplinare del CSM la revoca della sentenza disciplinare, già passata in giudicato, con cui gli era stata inflitta la sanzione dell’ammonimento per il reato di ingiuria commesso ai danni di un vigile urbano. Rivolgeva siffatta domanda giacché il reato di ingiuria era stato penalizzato con successivo d. lgs. n. 7/2016. La Sezione disciplinare respingeva il ricorso rilevando che la depenalizzazione non incide retroattivamente sugli illeciti disciplinari, rientrando questi nell’alveo degli illeciti amministrativi. La decisione della Corte di Cassazione. Il ricorrente nel proprio atto censura la violazione dell’art. 2 c.p., in combinato disposto con l’art. 673 c.p.p., sostenendo la retroattività dell’abolitio criminis anche in tema disciplinare, in virtù dell’equiparazione tra procedimento disciplinare e procedimento penale inoltre, nella fattispecie in esame, sarebbe venuto meno il reato che è stato l’elemento costitutivo dell’inflizione disciplinare. Le Sezioni Unite rigettano il ricorso perché infondato. Gli Ermellini spiegano che più volte l’organo di nomofilachia si è espresso nel ritenere non applicabile il principio del favor rei dell’abolitio criminis all’illecito disciplinare dei magistrati. La coerenza di questa impostazione è imperniata su una triplice argomentazione. Primo la retroattività della abolitio criminis è stata esclusa da Cass. Sez. Un. 10/08/2012, n. 14374 anche per quanto riguarda gli illeciti disciplinari degli avvocati il principio di retroattività non è desumibile dall’art. 32- bis , comma 2, d. lgs. n. 109/2006 che non stabilisce un sistema normativo omologo a quello dell’art. 2 c.p., così come stabilito dal giudice di nomofilachia con sentenza 24/06/2010, n. 15314 . Secondo i rilievi del ricorrente non colgono nel segno neanche quanto al richiamo della Cass. Sez. Un. 18/04/2011, n. 8806 che aveva stabilito, come l'originaria contestazione ex art. 18 r.d.lg. n. 511 del 1946, costituita dalla violazione del dovere di riserbo, correttezza e rispetto per un collega magistrato, ricadeva nella previsione di cui all'art. 2, comma 1, lett. d, del d. lg. n. 109 del 2006 che prevede, quale autonoma e separata ipotesi, quella dei comportamenti gravemente scorretti nei confronti di altri magistrati. In questa decisione è possibile cogliere una doppia ratio dedicendi a la irretroattività della abolito criminis in materia di illeciti disciplinari b la insussistenza – nel caso vagliato - di una abolito criminis il secondo piano di indagine è stato pregiudiziale, con rigetto del ricorso perché inammissibile, senza dunque alcuna pronuncia di merito illuminante è il passo motivazionale secondo cui in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di modifica della norma che individua la condotta disciplinarmente rilevante, per accertare se ricorra una ipotesi di abolitio criminis è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di illecito, ovvero, non incidendo sulla struttura dello stesso, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. Terzo. Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui l’abolitio riguardi non direttamente la fattispecie di illecito disciplinare, bensì il reato cui essa presuppone. Qui va applicato il principio tempus regit actum occorre in altri termini avere come punto di riferimento la norma vigente alla data di commissione del fatto tale impostazione è coerente con la diversità dei beni protetti dalla norma penale e dalla norma disciplinare. In conclusione. Tranciante sul punto in discussione è la seguente riflessione conclusiva. La depenalizzazione incide sulla norma penale perché valuta quello specifico fatto come non più meritevole di quel tipo di tutela la norma disciplinare nulla ha a che vedere con questo profilo poiché – anche a fronte della depenalizzazione del fatto – continua a tutelare il bene dell’immagine del magistrato, non toccato da quella nuova valutazione”.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 19 dicembre 2017 – 13 settembre 2018, numero 22407 Presidente Rordorf – Relatore De Chiara Fatti di causa 1. Il dott. B.P.F. , sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Bologna, chiese alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. penumero , la revoca della sentenza disciplinare 17 aprile 2015 passata in giudicato a seguito del rigetto del ricorso per cassazione con sentenza di queste Sezioni unite 22 settembre 2016, numero 18564 , con cui gli era stata inflitta la sanzione dell’ammonimento per l’illecito previsto dall’art. 4, lett. d , d.lgs. 23 febbraio 2006, numero 109 in relazione al reato di ingiuria commesso ai danni di un vigile urbano, essendo stato tale reato depenalizzato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, numero 7. La Sezione disciplinare ha respinto il ricorso sul rilievo che la depenalizzazione di un reato non ha incidenza retroattiva sulle fattispecie di illecito disciplinare, essendo tale illecito riconducibile al genus degli illeciti amministrativi, onde non trova applicazione il principio di retroattività dell’abolitio criminis, di cui all’art. 2 cod. penumero . Il dott. B. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, illustrati anche con memoria. L’Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria di costituzione per il Ministero della Giustizia. Ragioni della decisione Va preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità della memoria di costituzione dell’Avvocatura dello Stato, sollevata dal difensore del ricorrente nella discussione orale. La presentazione di una memoria, infatti, è una delle modalità con cui può costituirsi e svolgere le proprie difese il Ministro, che non ha l’onere di presentare un controricorso poiché l’introduzione del giudizio di cassazione avverso i provvedimenti della Sezione disciplinare del CSM è regolata dalle norme del processo penale, non di quello civile Cass. Sez. U. 31/07/2007, numero 16873 05/10/2007, numero 20844 12/06/2017, numero 14550 . 2. Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 2 cod. penumero e dell’art. 673 cod. proc. penumero , si sostiene che l’abolitio criminis opera retroattivamente anche in materia disciplinare, attesa la tendenziale assimilazione del procedimento disciplinare al procedimento penale, anche in funzione delle garanzie di difesa dell’incolpato, e che comunque essa opera retroattivamente allorché, come nella specie, l’abolitio non riguardi direttamente la fattispecie di illecito disciplinare, bensì la fattispecie penale richiamata da quest’ultima e che ne è pertanto elemento costitutivo. 2.1. Il motivo è infondato. Queste Sezioni unite hanno già avuto occasione di chiarire che, essendo l’illecito disciplinare dei magistrati riconducibile al genus degli illeciti amministrativi, non trova applicazione il principio del favor rei, così come sancito dall’art. 2 cod. penumero , in forza del quale, in deroga al principio tempus regit actum, l’eventuale abolitio criminis opera retroattivamente né tale principio è desumibile dalla norma transitoria contenuta nell’art. 32 bis, comma 2, d.lgs. numero 109 del 2006, il quale non prevede un sistema di regole omologo all’art. 2 cod. penumero , valido sia per la riforma della fattispecie dell’illecito sia per le modifiche del trattamento sanzionatorio, ma si limita a stabilire, per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. numero 109, cit., l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 18 r.d.lgs. numero 511 del 1946 se più favorevoli sentenza 24/06/2010, numero 15314 per ragioni analoghe la retroattività dell’abolitio criminis è stata poi esclusa da Cass. Sez. U. 10/08/2012, numero 14374 anche quanto agli illeciti disciplinari degli avvocati . Né è esatto il rilievo del ricorrente secondo cui tale precedente sarebbe stato poi superato da Cass. Sez. U. 18/04/2011, numero 8806. Quest’ultima, infatti, individuata nell’ordinanza impugnata della Sezione disciplinare del CSM una doppia ratio decidendi - ossia la irretroattività della abolitio criminis in materia di illeciti disciplinari e la insussistenza, nella specie, di una abolitio criminis - ha ritenuto pregiudiziale l’esame della seconda ratio, disattendendo quindi la relativa censura e dichiarando conseguentemente inammissibile quella rivolta alla prima, sul merito della quale non si è perciò pronunciata. Né, infine, vi è ragione di escludere l’applicazione della regola della irretroattività allorché l’abolitio riguardi non direttamente la fattispecie di illecito disciplinare, bensì il reato cui essa fa riferimento, come nel caso dell’art. 4, lett. d , d.lgs. numero 109 del 2006. Il principio generale di irretroattività della legge tempus regit actum , infatti, regola anche la qualificazione del comportamento come illecito penale rientrante nella fattispecie disciplinare, nel senso che anche a tali fini qualificatori occorre avere riferimento, in materia disciplinare, alla norma vigente alla data della commissione del fatto. Ciò è coerente, del resto, con la considerazione della diversità dei beni protetti dalla norma penale e dalla norma disciplinare di cui all’art. 4, lett. d , d.lgs. numero 109, cit., che la richiama la depenalizzazione, invero, incide sul bene protetto dalla norma penale, che viene valutato come non più meritevole di quel tipo di tutela, mentre la norma disciplinare tutela il bene dell’immagine del magistrato, non toccato da quella nuova valutazione. 3. Con il secondo motivo si denuncia la mancanza o contraddittorietà e illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, per aver omesso la puntuale valutazione - pur sollecitata dall’istante - della giurisprudenza di legittimità contrastante con la tesi invece accolta dal giudice disciplinare. 3.1. Il motivo è infondato quale denuncia di difetto assoluto di motivazione, atteso che l’ordinanza impugnata è compiutamente motivata. Esso è inoltre inammissibile quale denuncia di mero vizio di motivazione, atteso che quest’ultimo riguarda l’accertamento dei fatti, che qui non sono invece in discussione. 4. In conclusione il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese processuali, liquidate come in dispositivo, in favore del Ministero della Giustizia. Poiché dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, non trova applicazione l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, I. numero 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese processuali, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. numero 196 del 2003.