Limiti di velocità: cartello batte codice

In presenza della segnalazione stradale del limite di velocità, il riscontro delle caratteristiche della strada ed il relativo onere della prova non consentono all’automobilista di classificare una strada extraurbana come principale o secondaria al fine dell’individuazione di un diverso – e superiore – limite massimo di velocità.

Così la Suprema Corte con l’ordinanza n. 21939/18, depositata il 10 settembre. Il fatto. Un automobilista proponeva opposizione al verbale di contestazione per la violazione dell’art. 142 cod. strada Limiti di velocità elevatogli per aver superato il limite massimo di 90 km/h previsto sulla strada che stava percorrendo. Il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione, ma il Tribunale ribaltava la decisione. La questione giunge dunque all’attenzione della Suprema Corte. Cartelli. L’automobilista si duole per vizio di ultrapetizione per aver il giudice di seconde cure accolto il gravame del Comune sulla base del dovere dell’utente della strada di attenersi alla segnaletica che richiama le norme del codice della strada, mentre l’Ente locale fondava il suo ricorso sull’assunto per cui graverebbe all’opponente l’onere della prova circa la classificazione della strada. Secondo la consolidata giurisprudenza, gli enti proprietari delle strade hanno la facoltà discrezionale di fissare, con apposita segnalazione, i limiti di velocità minimi e massimi anche in difformità rispetto a quelli fissati in via generale dall’art. 142 c.d.s., facoltà che risponde alla considerazione dello stato dei luoghi e che deve comunque contenersi entro i limiti massimi di cui al primo comma della norma citata. L’esercizio di tale facoltà discrezionale non può essere sindacato in sede giurisdizionale. Nel tratto di strada percorso dal ricorrente era espressamente segnalato un limite di velocità di 90 km/h con appositi cartelli di inizio e fine, elemento immediatamente percepibile che impone la percorrenza della strada ad una velocità inferiore a quella generalmente prevista. Il ricorrente non ha inoltre censurato l’elemento della presenza dei cartelli, limitandosi ad invocare la qualificazione della natura della strada al fine di individuare un superiore limite massimo di velocità. La pronuncia impugnata risulta dunque immune da censure avendo correttamente motivato la decisione sulla presenza della segnaletica stradale del limite di velocità che rende irrilevante il riscontro delle caratteristiche e della natura della strada. La Corte rigetta perciò il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 1 febbraio – 10 settembre 2018, n. 21939 Presidente D’Ascola – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione B.L. proponeva opposizione avverso verbale di contestazione relativo a violazione dell’art. 142 del Codice della Strada per avere transitato in Comune di Soriano del Cimino località omissis alla velocità di Km/h 107,35 superando il limite massimo ivi previsto di Km/h 90. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune, il Giudice di pace di Viterbo accoglieva l’opposizione. In virtù di rituale impugnazione interposta dall’ente locale, il Tribunale di Viterbo, nell’accogliere il gravame, respingeva l’opposizione. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il B. sulla base di tre motivi. Il Comune è rimasto intimato. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5 , c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore del ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato anche memoria illustrativa. Atteso che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. per essere il tribunale incorso nel vizio di ultrapetizione dal momento che il primo giudice aveva accertato il difetto di prova da parte del Comune quanto alla legittimità della classificazione della strada ed il Comune appellante aveva censurato siffatto argomento, assumendo che gravava sull’appellato l’onere della prova, oltre ad eccepire la incompetenza del giudice civile a pronunciarsi circa il provvedimento emesso dall’Anas sulla natura della strada, mentre l’impugnazione sarebbe stata accolta per tutt’altro ragionamento, quale l’immanente dovere dell’utente della strada di attenersi alle prescrizioni del Codice della strada richiamate dalla segnaletica. La censura è priva di pregio. Premesso che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, gli enti proprietari delle strade hanno facoltà discrezionale di fissare, provvedendo alla relativa segnalazione, limiti di velocità minimi e massimi diversi da quelli fissati con carattere generale dall’art. 142 cod. strada in riferimento a determinate strade o tratti di strada ed in considerazione dello stato dei luoghi, purché entro i limiti massimi di velocità dettati dal medesimo art. 142, primo comma, e l’esercizio di tale facoltà discrezionale non è sindacabile in sede giurisdizionale Cass. 12 giugno 2007 n. 13698 Cass. Sez. Un. 13 marzo 2012 n. 3936 . Dal testo dell’art. 142, comma 1, cod. strada emerge con chiarezza che la struttura della sede stradale è la precondizione per l’aumento o la diminuzione del limite massimo espresso chilometri orari, ma che questo è rimesso alla prudente valutazione dell’ente proprietario, essendo in gioco la sicurezza della circolazione e la tutela della vita umana. Nella specie, in cui il ricorrente viaggiava a velocità di 107,35 chilometri orari, il giudice dell’impugnazione ha accertato che si trattava di tratto stradale per il quale era espressamente segnalato un limite di velocità di 90 chilometri orari, in ciò contraddistinta dagli appositi segnali di inizio e fine, che, in effetti, rappresentano, al di là di una improponibile valutazione tecnica - che sarebbe quanto meno inopportuno rimettere all’utente della strada - l’unico elemento, di immediata percezione, idoneo ad autorizzare la percorrenza della stessa ad una velocità meno elevata rispetto a eluda massima imposta in via generale. Il ricorrente, nel lamentare la erronea valutazione delle caratteristiche della strada da lui percorsa in occasione della contestazione di eccesso di velocità, non ha fitto alcun riferimento alla precisa statuizione della presenza di adeguata segnaletica verticale relativa al limite di velocità consentito nella strada in questione in altri termini, ha riconosciuto, nello stesso ricorso, di non aver eccepito il difetto di segnali relativi all’inizio e alla fine della strada. Il ricorrente sarebbe stato tenuto, in sede di opposizione, ad eccepire l’erroneità del dato della presenza di detti cartelli, allo scopo di contrastare la contestazione relativa al superamento del limite massimo di velocità consentito, piuttosto che censurare la natura della strada onde farne discendere i limiti di velocità nell’ambito di quelli vigenti in via generale con per le caratteristiche della strada in questione. Risulta, pertanto, logicamente motivata, oltre che rispettosa del dato normativo, la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che, in presenza della segnalazione del limite di velocità, il riscontro delle caratteristiche della strada e del relativo onere di prova, non vale a consentire all’utente della strada una classificazione della strada extraurbana come principale o secondaria. Ne consegue la infondatezza del profilo della censura relativo al vizio di ultrapetizione, assumendo la rilevanza della sola presenza delle caratteristiche della sede stradale, che di converso sono irrilevanti per quanto appena chiarito, nonché di quello concernente il mancato riconoscimento, nella specie, di una ipotesi di errore incolpevole, vertendo l’invocato errore su di una valutazione - quella relativa alla presenza delle caratteristiche qualificanti la strada principale - che non è ammissibile, come già precisato, che sia rimessa all’utente della strada con il secondo motivo il ricorrente, nel reiterare la doglianza di violazione e di falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta il mancato pronunciamento del giudice del gravame sulla questione della natura della strada in questione e la legittimità del limite di velocità imposto su detto tratto. Anche detta doglianza non si profila fondata poiché non spiega - alla luce dell’orientamento sopra illustrato con riferimento alle facoltà discrezionali degli entri proprietari delle strade di fissare limiti di velocità diversi da quelli previsti dall’art. 142 codice della strada di cui al primo mezzo - per quali ragioni l’Amministrazione pubblica sarebbe incorsa in eccesso di potere, peraltro neanche dedotto. In altri termini, avrebbe dovuto chiarire perché la valutazione tecnica della p.a. fosse affetta da vizi, come la eventuale irregolarità della segnaletica di divieto documentata dal verbale di contestazione, onde dedurne la falsa applicazione della normativa in materia di circolazione stradale, circostanza che nella specie non è stata neanche allegata - infine il terzo motivo di ricorso, con il quale vengono sottoposte a critica le argomentazioni del giudice di primo grado, che poi imputa anche alla sentenza di appello, per non avere svolto accertamenti istruttori circa la natura della strada, oltre a contenere altro profilo di censura relativo all’assenza di cartelli, è inammissibile sotto entrambe le prospettazioni. In primo luogo, richiamate le argomentazioni esposte con riguardo al secondo motivo di ricorso, non può ravvisarsi la giurisdizione del giudice ordinario in materia di impugnazione del provvedimento di classificazione delle strade, spettando le relative controversie al giudice amministrativo. Ne consegue che in questa sede può essere posta solo una questione di disapplicazione ai sensi dell’art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, cui si può fare ricorso solo in presenza di prova - che avrebbe dovuto essere fornita dall’opponente - di specifiche illegittimità, non venendo in rilievo l’assenza in radice del potere dell’autorità che ha emanato l’atto a disciplinare la viabilità della strada, per quanto sopra detto v. primo motivo . In altri termini, non degli effetti del provvedimento che ha disposto i limiti di velocità si tratta, bensì di stabilire se si fosse o meno davvero verificata la situazione da cui la legge fa scaturire quelle conseguenze. Per siffatte ragioni non è ammissibile la c.t.u., come richiesta, che appare meramente esplorativa, una volta accertato -come espressamente affermato dal giudice del gravame - che il limite di velocità violato risultava ritualmente segnalato. Infine è nuovo l’ulteriore profilo di censura relativo all’assenza di cartelli, in ordine al quale il ricorrente non esplicita neppure dove e quando, in precedenza, la doglianza abbia trovato ingresso nelle precedenti fasi del processo. Nella sostanza, quindi, quella posta col motivo qui in esame, costituisce - allo stato degli atti - questione nuova non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio o comunque, da ritenere come tale, in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione. Infatti i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio Cass. 30 marzo 2007 n. 7981 ed, ancora e più di recente, Cass. 9 luglio 2013 n. 17041 . In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nessuna pronuncia sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.