Leale collaborazione: il concetto giuridico più disapplicato da cittadini, avvocati e magistrati

La legge è uguale per tutti ecco perché questa grande sconosciuta”, la leale collaborazione, impernia di sé i comportamenti di ogni cittadino. E le Sezioni Unite ne offrono un esempio pratico.

Sul tema le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 19873/18, depositata il 26 luglio. Il caso. Accadeva che il Sostituto Procuratore Generale presso una Corte di Appello veniva incolpato di illecito disciplinare con due capi di imputazione. Innanzitutto, per aver tenuto, nell'esercizio delle sue funzioni -mancando al corrispondente dovere un comportamento gravemente scorretto nei confronti dell'Avvocato Generale presso la Corte di Cassazione, impegnato nella ricognizione del settore di competenza del magistrato incolpato e del suo corretto funzionamento. Difatti, il Sostituto Procuratore Generale aveva risposto in modo evasivo e con tono polemico ed irridente ad una nota del predetto Avvocato Generale, con la quale quest’ultimo chiedeva dettagliate notizie sul funzionamento ed andamento del settore medesimo. Questo atteggiamento irriverente proprio non veniva preso di buon grado. Inoltre, veniva accusato di aver commesso illecito disciplinare per avere adottato -nell'esercizio delle sue funzioni provvedimenti indebiti sulla base di grave ed inescusabile negligenza, costituiti da indebite nomine seguite da consequenziali indebiti decreti di liquidazione dei compensi di consulenti tecnici nell'ambito di due procedure di demolizione. La assoluzione contenuta nella decisione del CSM. Sulle incolpazioni la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura si era pronunciata con la assoluzione del Sostituto Procuratore da entrambe le incolpazioni ascrittegli, per essere rimasti esclusi gli addebiti. In particolare, con riferimento al primo addebito lo stesso veniva escluso per la ritenuta esaustività della risposta fornita dall'incolpato al superiore gerarchico. Osservava il CSM che, anche alla luce della effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione oggetto della richiesta di informazioni non poteva non ritenersi esaustiva la risposta. Tanto in quanto quelle procedure erano state stabilite ed attuate dallo stesso ufficio che aveva chiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione. Di conseguenza –secondo il CSM il Sostituto Procuratore che era stato chiamato a rispondere del proprio operato, nella propria risposta, comprese le parti soltanto negative” del riscontro, aveva adeguato il contenuto ed il tono alle proprie esigenze difensive. Invece, con riferimento al secondo addebito, il CSM ne escludeva la configurazione sull'assunto secondo cui il magistrato non poteva fare altro che liquidare i compensi dei consulenti tecnici nominati. In particolare, esaustiva veniva considerata, ai fini di una compiuta risposta al quesito relativo ai soggetti beneficiari della liquidazione dei compensi, la produzione da parte dell'incolpato dei provvedimenti di liquidazione concernenti le suddette procedure, non essendovi spazi per legittimare il mancato pagamento dei compensi alle ditte formalmente incaricate, pur in presenza di un subappalto. Diversamente –conclude il Consiglio Superiore della Magistratura sarebbe stato ipotizzabile un indebito arricchimento dell'amministrazione. Ma il Procuratore Generale contro questa sentenza ricorreva presso la Corte di Cassazione chiedendone l'annullamento. In particolare, egli contestava il fatto che la assoluzione dal primo capo di incolpazione pronunciata dalla sezione disciplinare del CSM era avvenuta sulla base di una ricostruzione dei fatti non corrispondente a quanto era accaduto. Nello specifico, rilevava che l'Avvocato Generale aveva chiesto al magistrato incolpato non notizie sui protocolli riguardanti le procedure di demolizione, in linea generale dunque bensì, specifiche notizie relative a determinate procedure e con riferimento alla posizione di due società che in esse avevano operato senza essere quelle originariamente incaricate delle demolizioni. Lo scopo evidente della richiesta, quindi, era quella di sapere se tali società avessero o meno una autorizzazione della Procura Generale per svolgere la loro opera, se questo fosse accaduto in altri casi ed a favore di chi fossero stati liquidati i compensi per le demolizioni. Alla luce della manifesta natura di questi punti qualificanti della richiesta, il magistrato si era limitato a dare una irriguardosa risposta negativa”. Di ciò –ed anche di altro il CSM avrebbe dovuto tenere conto. L’esistenza dell’illecito disciplinare ed il rinvio operato dalla Cassazione. La Suprema Corte, dopo lo studio dei fatti, degli atti e delle ragioni delle parti, accoglieva il ricorso, individuando nel comportamento tenuto dal magistrato incolpato un illecito disciplinare, e rinviando la ‘nuova’ decisione al CSM con le seguenti motivazioni. Gli Ermellini evidenziano che tutti i magistrati -e per quel che qui interessa quelli in servizio presso gli uffici di Procura sono chiamati a svolgere le proprie funzioni improntando il proprio comportamento con i superiori, i colleghi ed il personale dell'ufficio in cui lavorano al canone di leale collaborazione. Ebbene, nella presente vicenda, le reticenze ed il tono stizzito delle risposte fornite dal magistrato alle specifiche domande rivoltegli dall'Avvocato Generale sulla organizzazione dell'ufficio demolizioni e sulla posizione delle suddette due ditte in alcune procedure, non appaiono conformi a tale canone. Infatti, anche l'effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione stabilite ed attuate dallo stesso ufficio che aveva richiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione, non poteva portare a considerare esaustive risposte che tali non erano e non sono . Circostanza che non può che qualificare tale condotta effettuata in violazione del suddetto canone di leale collaborazione. Inoltre, a differenza di quanto si legge nella sentenza impugnata, risposte di tal genere non possono mai considerarsi giustificate da eventuali esigenze difensive” dell'interessato, visto che seppure -in astratto e soggettivamente questi riteneva di essere stato chiamato a rendere conto del proprio operato, tuttavia, dal punto di vista oggettivo -che è quello che conta all'epoca non era stata intrapresa alcuna iniziativa disciplinare da parte dell'Avvocato Generale, il quale si era limitato a chiedere delle puntuali informazioni, che non gli sono state fornite. In altri termini il comportamento del magistrato non può considerarsi pienamente in linea con un ipotetico esercizio del diritto di difesa perché tale diritto non è certamente configurabile rispetto alla nota inviatagli dal suo superiore, trattandosi di dare riscontro ad una informativa del tutto autonoma rispetto alle iniziative assunte successivamente in via disciplinare.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 5 giugno – 26 luglio 2018, n. 19873 Presidente Cappabianca – Relatore Tria Esposizione del fatto 1. Il dottor R.U. , quale Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Napoli assegnato al settore demolizioni , è stato incolpato dei seguenti illeciti disciplinari a illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lettera d , del d.lgs. n. 109 del 2006 per avere, nell’esercizio delle sue funzioni, mancando al corrispondente dovere, tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti dell’Avvocato Generale, impegnato nella ricognizione del suddetto settore e del suo corretto funzionamento, rispondendo in modo evasivo, con tono polemico e irridente ad una nota in data 8 luglio 2016 dell’Avvocato Generale con la quale si chiedevano dettagliate notizie sul funzionamento del settore medesimo, con particolare riferimento, al ruolo delle società COSMA e SO.GE.RI. - diverse dai soggetti ufficialmente incaricati delle demolizioni - nell’ambito di due specificate procedure RESA Registro Esecuzione Sentenze Abbattimenti all’epoca oggetto di verifica da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord che poi aveva trasmesso gli atti per competenza alla Procura della Repubblica di Roma nonché di chiarire a chi fossero stati liquidati i compensi per le demolizioni eseguite nell’ambito di certe procedure, onde stabilirne i reali esecutori primo addebito b illecito disciplinare di cui all’art. 2, lettera ff , del d.lgs. n. 109 del 2006, per avere, nell’esercizio delle sue funzioni, adottato provvedimenti indebiti sulla base di grave e inescusabile negligenza, costituiti da indebite nomine seguite da indebiti decreti di liquidazione dei compensi di consulenti tecnici nell’ambito di due procedure di demolizione secondo addebito . 2. Sulle incolpazioni la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura s’è pronunciata con sentenza n. 1 del 2018, depositata l’8 gennaio 2018, con la quale ha assolto il R. da entrambe le incolpazioni ascrittegli per essere rimasti esclusi gli addebiti. 3. In sintesi a il primo addebito è stato escluso per la ritenuta esaustività della risposta fornita dall’incolpato al superiore gerarchico, anche alla luce della effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione stabilite e attuate dallo stesso Ufficio che aveva chiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione. Si è aggiunto che, di conseguenza, con la nota dell’8 luglio 2016 di fatto il dottor R. era stato chiamato rispondere del proprio operato, sicché le proprie esigenze difensive giustificavano il contenuto e il tono delle risposte, comprese quelle soltanto negative , le quali peraltro sono state considerate esaustive , in quanto era pacifico che le società COSMA e SO.GE.RI non fossero state incaricate delle demolizioni in oggetto e che il concetto di subappalto fosse estraneo all’incarico conferito dall’Autorità Giudiziaria b il secondo addebito è stato escluso, sull’assunto secondo cui il magistrato non poteva fare altro che liquidare i compensi ai consulenti tecnici nominati. In particolare, esaustiva è stata considerata, ai fini di una compiuta risposta al quesito relativo ai soggetti beneficiari delle liquidazioni dei compensi, la produzione da parte dell’incolpato dei provvedimenti di liquidazione concernenti le suddette procedure, non essendovi spazi per legittimare il mancato pagamento dei compensi alle ditte formalmente incaricate, pur in presenza di un subappalto, essendo altrimenti ipotizzabile un indebito arricchimento dell’Amministrazione. 3. Contro la suddetta sentenza ricorre il Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione chiedendone l’annullamento per due motivi 4. Resiste, con controricorso, il dott. R.U. , mentre il Ministro della Giustizia resta intimato. Ragioni della decisione 1 - Sintesi delle censure. 1. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si denunciano, rispettivamente 1.1. inosservanza ed erronea interpretazione delle norme del codice di procedura penale che disciplinano la nomina dei consulenti tecnici da parte del Pubblico ministero, per quanto concerne l’esclusione del secondo capo di incolpazione art. 359 cod. proc. pen. - primo motivo 1.2. vizio di motivazione, come mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento all’esclusione del primo capo di incolpazione - secondo motivo. 2. Nel primo motivo si sottolinea come le ragioni esposte nella sentenza a sostegno dell’esclusione dell’addebito rappresentano una deviazione dai principi del processo penale in base ai quali il consulente tecnico del PM non è un qualsiasi fornitore di servizi privatistici - che sono quelli evocati nella sentenza attraverso il richiamo della figura del subappalto - infatti si tratta di un pubblico ufficiale incaricato dell’esercizio di una funzione ausiliaria dell’ambito dell’esercizio della giurisdizione . Ne deriva che negli uffici - così come alla Procura Generale di Napoli all’epoca dei fatti - sono previste, con varie modalità, delle elencazioni dei professionisti nominabili come consulenti, per requisiti tecnici e giuridici in primo luogo incensuratezza e assenza di situazioni di conflitto di interessi , sicché viola clamorosamente la legge un comportamento, come quello posto in essere dall’incolpato, consistente nell’accettare la sostituzione di fatto del consulente tecnico nominato con altro qualunque soggetto neppure conosciuto e poi oltretutto considerare doverosa la liquidazione del compenso al consulente nominato, che però non ha svolto alcuna attività, paventando incredibilmente l’eventuale indebito arricchimento dell’Amministrazione Giudiziaria, come si afferma nella sentenza impugnata. 3. Con il secondo motivo si rileva che l’assoluzione dal primo capo di incolpazione è stata pronunciata dalla Sezione disciplinare del CSM sulla base di una ricostruzione dei fatti che non corrisponde a quanto è accaduto. Infatti, l’Avvocato Generale con la richiamata nota in data 8 luglio 2016 aveva chiesto al dottor R. non notizie sui protocolli riguardanti le procedure di demolizione, ma specifiche notizie relative alle procedure RESA Registro Esecuzione Sentenze Abbattimenti n. 14/2007 e n. 87/2012 con riferimento alla posizione di due società rispettivamente COSMA srl e SO.GE.RI. srl - che avevano operato in esse senza essere quelle originariamente incaricate delle demolizioni. Poiché all’epoca tali procedure erano oggetto di verifica da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord che poi aveva trasmesso gli atti per competenza alla Procura della Repubblica di Roma , l’Avvocato Generale voleva precise informazioni al riguardo, intendendo sapere se comunque tali società avessero o meno un’autorizzazione della Procura Generale per svolgere la loro opera, se questo fosse accaduto in altri casi e a favore di chi fossero stati liquidati i compensi per le demolizioni. Il dottor R. su questi punti qualificanti della nota si è limitato a dare risposta negativa . In questa situazione, la Sezione Disciplinare, anziché considerare tale risposta irriguardosa - perché reticente - ha ritenuto tutte le risposte comunque esaustive , visto che era pacifico che le società COSMA e SO.GE.RI non fossero state incaricate . II - Esame delle censure. 3. Il ricorso è da accogliere, nei limiti di seguito esposti. 4. Il primo motivo va respinto, ma la relativa motivazione deve essere puntualizzata. 4.1. In particolare, dall’accertamento dei fatti quale risulta dalla sentenza impugnata - e non è specificamente contestato, sul punto, nel ricorso - si evince, nell’ambito delle due procedure RESA in argomento, il ruolo delle società COSMA srl e SO.GE.RI. srl non incaricate delle demolizioni è stato marginale e accessorio essendo stato appurato che esse si trovavano nei cantieri soltanto per svolgere l’attività di trasporto dei rifiuti prodotti dai cantieri stessi e non per effettuare l’attività di demolizione formalmente affidata ad altre società. In particolare, nella sentenza impugnata v. p. 11 si precisa che lo stesso Avvocato Generale aveva evidenziato che la società COSMA poi divenuta SO.GE.RI per la ditta incaricata delle demolizioni avrebbe soltanto effettuato il trasporto dei rifiuti prodotti dal cantiere. Questo porta ad escludere che possa essere addebitato all’incolpato di avere, sulla base di grave e inescusabile negligenza, adottato nell’esercizio delle proprie funzioni, provvedimenti indebiti, costituiti da indebite nomine seguite da indebiti decreti di liquidazione dei compensi di consulenti tecnici nell’ambito di due procedure di demolizione, come indicato nel secondo capo di incolpazione, visto che non risulta provato che vi sia stata una vera e propria sostituzione per l’attività di demolizione delle società affidatarie con quelle rinvenute nei cantieri e tanto meno che tale sostituzione sia stata scientemente accettata dal R. . Pertanto, nella situazione data, non si poteva fare altro che pagare le ditte che erano state incaricate delle demolizioni, come si afferma nella sentenza impugnata. 4.2. Va, tuttavia, rilevato che a questa esatta conclusione nella sentenza si perviene con una motivazione nella quale si afferma che non vi erano spazi per legittimare il mancato pagamento dei compensi alle ditte formalmente incaricate, pur in presenza di un subappalto, essendo altrimenti ipotizzabile un indebito arricchimento dell’Amministrazione. Ebbene, come sottolineato anche dal ricorrente, il richiamo della disciplina del trasferimento d’azienda e del subappalto - e di un ipotetico indebito arricchimento dell’Amministrazione - è del tutto improprio con riferimento alla peculiare figura del consulente tecnico del pubblico ministero, che a differenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti private, chiamati a svolgere un ruolo di ausilio alla difesa e quindi equiparati al difensore, quanto a funzioni e garanzie - ripete dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva i relativi connotati Cass pen. SU 27 giugno 2013, n. 43384 e SU 25 settembre 2014, n. 51824 Corte cost., sentenza n. 163 del 2014 . In particolare, con consolidata giurisprudenza, è stato affermato che tra il consulente tecnico del pubblico ministero e l’Amministrazione della Giustizia si configura un rapporto di servizio, atteso che tale consulente è abilitato a svolgere un’attività del P.M., che questi potrebbe compiere direttamente se avesse le specifiche competenze necessarie e, pertanto, pur se nei limiti posti dalla norma che ne prevede la nomina art. 359 cod. proc. pen. , il consulente del P.M. concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria e può anche essere chiamato a rispondere della sua attività dinanzi alla Corte dei conti Cass. civ. SU 30 dicembre 2011, n. 30786 SU 28 dicembre 2017, n. 31107 . 4.3. Ne consegue che, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., la motivazione relativa al secondo capo di incolpazione deve essere corretta nel senso di ritenere la relativa assoluzione come derivante dalla indimostrata sussistenza, nei fatti, della violazione dei principi che, nell’ambito del processo penale, regolano la nomina e le funzioni della particolare figura del consulente del P.M. per non essere emersa la sussistenza di una illegittima sostituzione del consulente formalmente nominato cioè delle società incaricate delle demolizioni in oggetto . 5. Il secondo motivo deve, invece, essere accolto. 5.1. Tutti i magistrati - e, per quel che qui interessa, quelli in servizio presso gli Uffici di Procura - sono chiamati a svolgere le proprie funzioni improntando il loro comportamento con i superiori, colleghi e il personale dell’Ufficio in cui lavorano al canone di leale collaborazione vedi, da ultimo art. 2, Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura - delibera CSM del 16 novembre 2017 . 5.2. Ebbene, nella presente vicenda, le reticenze e il tono stizzito ed irridente delle risposte fornite dal dott. R. alle specifiche domande rivoltegli dall’Avvocato generale sull’organizzazione dell’Ufficio demolizioni e sulla posizione delle ditte COSMA e SO.GE.RI. in due procedure non appaiono conformi a tale canone, in quanto a l’effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione stabilite e attuate dallo stesso Ufficio che aveva chiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione non può portare a considerare esaustive risposte che tali non sono, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, e che, quindi, non possono che essere qualificate come effettuate in contrasto con il suddetto canone di leale collaborazione b né - a differenza di quanto si legge nella sentenza impugnata - simili risposte possono considerarsi giustificate da eventuali esigenze difensive v. p. 10 della sentenza dell’interessato, visto che seppure -in astratto e soggettivamente - questi riteneva di essere stato chiamato a rendere conto del proprio operato , tuttavia dal punto di vista oggettivo - che è quello che conta - non era stata all’epoca intrapresa alcuna iniziativa del genere da parte dell’Avvocato generale, il quale si era limitato a chiedere delle puntuali informazioni, che non gli sono state fornite. 5.3. In particolare, il comportamento del R. - che oggettivamente si è tradotto nel non dare all’Avvocato Generale le informazioni richieste nella nota in oggetto, adempimento cui egli era tenuto, a prescindere dalla ipotizzata notorietà della situazione dell’Ufficio e delle procedure, in base al canone di leale collaborazione - non può certamente considerarsi pienamente in linea con un ipotetico esercizio del diritto di difesa - come si afferma nella sentenza impugnata, con motivazione poco convincente - in quanto tale diritto non è certamente configura bile rispetto alla nota inviatagli dal suo superiore, trattandosi di dare riscontro ad una informativa del tutto autonoma rispetto alle iniziative assunte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nord. 5.4. I suindicati vizi di motivazione portano all’accoglimento del secondo motivo di ricorso. III – Conclusioni. 6. Alla luce delle suddette considerazioni, il primo motivo del ricorso va respinto con le suesposte precisazioni e il secondo deve essere accolto. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, la quale, in diversa composizione, procederà al riesame e, quindi, deciderà, adeguandosi ai principi e criteri dianzi enunciati con particolare riguardo a quelli sub 5.1., 5.2., 5.3. . P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo nei termini indicati in motivazione cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura in diversa composizione.