La compensazione opera solo se le reciproche ragioni creditorie sono accertate in via definitiva

In tema di compensazione dei crediti, se è controversa l’esistenza del controcredito opposto in compensazione nell’ambito del medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, il giudice non può pronunciare la compensazione.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19450/18, depositata il 20 luglio. Il caso. Un avvocato proponeva azione revocatoria nei confronti di una S.r.l. e della società avente causa di questa. La Corte d’Appello, in riforma della pronuncia di prime cure, accoglieva l’azione revocatoria ritenendo provata in capo all’avvocato la condizione di creditore della società in base a decreto ingiuntivo emesso per il mancato pagamento dei compensi ed ormai definitivo. Riteneva però il giudice di non poter riconoscere la compensazione volta ad elidere la qualità di debitore dell’avvocato ed operante tra il suo credito ed il maggior controcredito vantato dalla società nei suoi confronti. Avverso tale pronuncia la società avente causa della creditrice deducendo la violazione dell’art. 2301 c.c. in relazione agli artt. 1241, 1242 e 1243 c.c. non avendo la Corte territoriale considerato che all’avvocato, attore in revocatoria, la sua debitrice opponeva un controcredito compensabile, seppur non ancora definitivamente accertato. Compensazione. La giurisprudenza SS.UU. sentenza n. 23225/16 ha già avuto modo di affermare che, in tema di compensazione dei crediti, se è controversa l’esistenza del controcredito opposto in compensazione nell’ambito del medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, il giudice non può pronunciare la compensazione, nemmeno in via giudiziale. l’art. 1243, comma 2, c.c. presuppone infatti l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere e non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio pendente. Correttamente dunque la Corte territoriale ha escluso che la condizione di creditore dell’avvocato attore potesse venir meno in ragione della futura e possibile compensazione del credito, tuttora oggetto di accertamento in separato giudizio. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e pone a carico della ricorrente le spese di lite sostenute dal controricorrente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 19 giugno – 20 luglio 2018, n. 19450 Presidente Amendola – Relatore Rubino Fatto e diritto Rilevato che 1. La Leonardo 2008 s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione contro L.N.D. e Fresia tre C s.r.l., avverso la sentenza n. 129/2017 della Corte di Appello di Milano. 2. Il solo L. resiste con controricorso 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati agli avvocati delle parti. 4. C’è memoria di parte ricorrente. Considerato che 1. Il Collegio, tenuto conto anche di quanto esposto nella memoria, condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta infondatezza del ricorso. 2. L’azione revocatoria proposta dall’avv. L. nei confronti della Fresia Tre C s.r.l. e della società avente causa da questa, Leonardo 2008 s.r.l., rigettata in primo grado, veniva accolta in appello, in quanto la Corte d’appello riteneva provata in capo al L. la condizione di creditore della società convenuta, sulla base del decreto ingiuntivo ormai definitivo da questi ottenuto per il mancato pagamento di prestazioni professionali, mentre riteneva che non potesse operarsi la compensazione, atta ad elidere la qualità di debitore dell’appellante, tra quel credito, definitivo, e il maggior controcredito vantato nei suoi confronti dalla società venditrice, in quanto lo stesso era ancora sub iudice . Con il motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2301 c.c. in relazione agli artt. 1241, 1242 e 1243 c.c., non avendo la corte d’appello tenuto conto che al credito del L. , attore in revocatoria, la sua debitrice opponeva un controcredito con lo stesso compensabile ma non ancora definitivamente accertato. Il motivo appare infondato, in quanto la corte d’appello appare aver fatto corretta applicazione del principio di diritto di recente affermato dalla Sezioni Unite, secondo il quale In tema di compensazione dei crediti, se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest’ultima, ex art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, resta pertanto esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, ed è parimenti preclusa l’invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall’art. 295 c.p.c. o dall’art. 337, comma 2, c.p.c, in considerazione della prevalenza della disciplina speciale dell’art. 1243 c.c Cass. n. 23225 del 2016 . Pertanto, la corte d’appello correttamente ha ritenuto che la condizione definitivamente accertata di creditore in capo al L. non potesse venir meno in ragione della possibile, futura compensazione del credito dello stesso con il controcredito vantato, e tuttora oggetto di accertamento in altro giudizio, dalla società debitrice ed alienante del bene immobile nei suoi confronti, non operando immediatamente la compensazione. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese di lite sostenute dal controricorrente e le liquida in complessivi Euro 6.000,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.