L’impresa che effettua lavori sulla strada deve garantire la sicurezza della circolazione fino alla chiusura del cantiere

L’illecito amministrativo previsto dall’art. 21 c.d.s. a carico dell’impresa che, svolgendo lavori o depositando materiali su aree destinate alla circolazione o alla sosta di veicoli e pedoni, non adotti gli accorgimenti necessari per la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale, non ha natura permanente.

Sul tema l’ordinanza della Suprema Corte n. 18842/18, depositata il 16 luglio. I fatti. Una S.r.l. impugnava dinanzi al Giudice di Pace il verbale di contestazione elevato dalla Polizia Municipale per violazione dell’art. 21, commi 2 e 4, c.d.s In particolare veniva contestato alla società, che aveva eseguito dei lavori su una proprietà privata con interessamento di parte del suolo pubblico un viale alberato ed un’aiuola , di non aver correttamente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi cosa che aveva comportato un abbassamento del terreno vegetale dell’aiuola con compromissione della stabilità del tratto stradale e conseguente danneggiamento di una vettura lì posteggiata. Il Giudice di Pace accoglieva il ricorso annullando il verbale in quanto, essendo il cantiere orami chiuso, non poteva applicarsi l’art. 21 c.d.s Il Comune proponeva appello avverso la sentenza che veniva quindi ribaltata dal Tribunale che confermava l’iniziale sanzione emessa dall’ente locale affermando che questo aveva dimostrato la permanenza della responsabilità della società per due anni dopo la chiusura del cantiere. La S.r.l. propone ricorso per la cassazione della pronuncia. Sanzione amministrativa. Il Tribunale, in sede di gravame, ha ritenuto applicabile la norma citata anche dopo la chiusura del cantiere posto che la società aveva spontaneamente garantito la corretta esecuzione dei lavori per due anni dopo la conclusione degli stessi. La Società ricorrente censura sul punto la sentenza impugnata invocando la violazione o falsa applicazione dell’art. 21, commi 2 e 4 cit La norma citata prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per chi nell’esecuzioni di lavori o nel deposito di materiali sulle aree destinate alla circolazione o alla sosta di veicoli e pedoni non adotti tutti gli accorgimenti necessari per la sicurezza l’efficienza della circolazione sia di giorno che di notte. Il motivo trova condivisione da parte dei Supremi Giudici che sottolineano come la condotta sanzionata dalla norma non integri un illecito di carattere permanente e dunque l’illecito viene a cessare con la conclusione dell’opera. La disposizione in parola e la condotta da essa sanzionata prescinde dunque la eventuali obblighi di carattere privatistico che intercorrono eventualmente tra esecutore dei lavori e P.A In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio al Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 febbraio – 16 luglio 2018, numero 18842 Presidente Petitti – Relatore Bellini Fatti di causa Con ricorso depositato in data 9.5.2008 la B. IMPIANTI s.r.l. impugnava avanti al Giudice di Pace di Ancona il verbale di contestazione numero 213680 del 10.3.2008, elevato dalla Polizia Municipale di Ancona per violazione dell’art. 21, commi 2 e 4 del Codice della Strada. La società ricorrente deduceva che nei mesi di gennaio e febbraio 2008, al termine di lavori di scavo effettuati presso un condominio sito in omissis , che avevano interessato anche parte del suolo pubblico e il viale alberato, aveva proceduto al ripristino dello stato dei luoghi mediante riempimento degli scavi con materiale inerte stabilizzato regolarmente compattato, con unica eccezione nel tratto relativo a un’aiuola posta a lato del suddetto viale in cui, stante l’impossibilità di sostituire il terreno naturale con quello ghiaioso, era stato riposizionato terreno vegetale come in origine. Nei giorni seguenti il manto stradale non subiva avvallamenti. Solo a seguito di abbondanti precipitazioni, verificatesi in nel periodo immediatamente successivo ai lavori e che avevano provocato numerosi smottamenti in vari punti della città, il terreno vegetale dell’aiuola sopra citata subiva un abbassamento che comprometteva lo stabilizzato posto nello scavo per un tratto di 20-30 cm, determinando il danneggiamento di un’autovettura parcheggiata e l’intervento della Polizia Municipale di Ancona. La B. Impianti s.r.l., considerata l’avvenuta adozione di tutti gli accorgimenti necessari, concludeva chiedendo l’annullamento del verbale di contestazione ritenuto illegittimo. Si costituiva il COMUNE di ANCONA, che chiedeva il rigetto del ricorso e veniva espletata prova per testi. Con sentenza numero 1031/09, del 2.11.2009, il Giudice di Pace accoglieva il ricorso annullando il verbale e condannando il Comune di Ancona al pagamento delle spese di lite. Il Giudice di Pace riteneva che l’art. 21 del C.d.S. non poteva applicarsi al caso di specie in quanto il cantiere non era più aperto. Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il Comune di Ancona, che, oltre all’accoglimento dello stesso, chiedeva che venisse dichiarata la legittimità del verbale di contestazione con contestuale condanna della società appellata. Il Comune di Ancona asseriva, a sostegno dell’appello, che il Giudice aveva violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall’art. 112 c.p.c. e non aveva valutato le risultanze istruttorie. Si costituiva in giudizio la B. Impianti s.r.l., che deduceva come il Giudice di prima istanza avesse ritenuto di accogliere il ricorso sulla base dell’avvenuta adozione da parte della ditta di tutti gli accorgimenti opportuni a garantire la sicurezza della circolazione, come prescritto dal Codice della Strada, nonché sulla base del fatto che al momento della contravvenzione non risultasse aperto alcun cantiere. L’appellata chiedeva, dunque, il rigetto dell’appello con condanna del Comune di Ancona al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c Con sentenza numero 1164/13, depositata in data 19.8.2013, il Tribunale di Ancona accoglieva l’appello e, respinta l’opposizione, confermava la sanzione impugnata, affermando che il Comune aveva provato che la ditta si era tenuta responsabile per due anni dopo la chiusura del cantiere e che era suo onere, in caso di forti piogge, di avvertire il Comune della necessità di chiudere temporaneamente il sito. Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso la B. Impianti s.r.l., in persona del legale rappresentante ing. B.L. , il quale si è costituito anche in proprio, in base a quattro motivi, cui ha resistito il Comune di Ancona con controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1.1. - Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 numero 3 violazione del principio chiesto-pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. . Sostengono i ricorrenti che il Tribunale di Ancona - pur premettendo che la opposizione a sanzione amministrativa investe il Giudice di tutti gli aspetti della legittimità della sanzione stessa - abbia erroneamente ritenuto che e l’inapplicabilità delle norme poste a base dell’impugnato verbale di contestazione, a cagione del fatto che, nella specie, il cantiere non era più aperto affermata dal giudice di pace a sostegno dell’accoglimento dell’opposizione , in realtà non fosse il motivo di opposizione proposto dall’ing. B. e dalla B. Impianti per cui ha soggiunto il Tribunale bene avrebbe dedotto l’appellante che nel caso di specie sussistesse una non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sentenza impugnata, pag. 2 . 1.2. - Il motivo è fondato. 1.3. - La sentenza impugnata pag. 1 espone che, in data 10.3.2008, a seguito del danneggiamento di un’autovettura parcheggiata su un tratto di strada interessata dagli scavi eseguiti dalla società ricorrente, la polizia municipale di Ancona aveva redatto il verbale oggetto di impugnazione, con il quale aveva contestato al legale rappresentante della società medesima la violazione dell’art. 21, commi 2 e 4, del Codice della strada, in quanto si accertava che i lavori di scavo, regolarmente autorizzati, effettuati su aree destinate alla circolazione dei veicoli, venivano eseguiti senza dare i dovuti accorgimenti di sicurezza della circolazione cfr. l’identico contenuto del verbale, trascritto a pagg. 2 e 3 del controricorso, in cui si altresì si precisa che, a causa dell’intensa pioggia verificatasi nei giorni precedenti, lo scavo subiva un abbassamento di circa 10-15 cm rispetto al piano della carreggiata e la ghiaia veniva cosparsa sulla sede stradale nell’area limitrofa allo scavo. È imposto l’obbligo di ripristino, a spese dell’autore della trasgressione, dell’opera realizzata . I commi 2 e 4 dell’art. 21 C.d.S., di cui si contesta la violazione dispongono che Chiunque esegue lavori o deposita materiali sulle aree destinate alla circolazione o alla sosta di veicoli e di pedoni deve adottare gli accorgimenti necessari per la sicurezza e la fluidità della circolazione e mantenerli in perfetta efficienza sia di giorno che di notte. Deve provvedere a rendere visibile, sia di giorno che di notte, il personale addetto ai lavori esposto al traffico dei veicoli comma 2 e che Chiunque viola le disposizioni del presente articolo, quelle del regolamento, ovvero le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma all’epoca stabilita da Euro 742 a Euro 2970 comma 4 . 1.4. - Ciò premesso, si rileva che costituisce principio consolidato quello secondo cui, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formulazione letterale adottata dalla parte Cass. numero 26159 del 2014 numero 21087 del 2015 , dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto, non essendo condizionato dalla mera formula adottata dalla parte Cass. numero 5442 del 2006 numero 27428 del 2005 . L’interpretazione della domanda giudiziale costituisce, dunque, operazione riservata al giudice del merito Cass. sez. unumero numero 4617 del 2011 , il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata avuto riguardo all’intero contesto dell’atto e senza che ne risulti alterato il senso letterale Cass. numero 22893 del 2008 . E ciò, salvo quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, numero 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, numero 4 Cass. sez. unumero numero 8077 del 2012 . Il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto e comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il Giudice renda la pronuncia richiesta in base a una ricostruzione dei fatti di causa - alla stregua delle risultanze istruttorie - autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante Cass. sez. unumero numero 9147 del 2009 . 1.5. - Nel caso di specie, se da un lato, va escluso che il Giudice di Pace abbia introdotto un tema di indagine autonomo rispetto a quello prospettato dalla società ricorrente, giacché il tema relativo alla effettuazione a regola d’arte dei lavori de quibus e della riconducibilità dell’evento a un fatto naturale, intervenuto successivamente al compimento dei lavori circostanze queste esplicitamente dedotte dai ricorrenti a sostegno della proposta opposizione , presuppone logicamente e non implausibilmente che al momento dei fatti fosse intervenuta la chiusura del cantiere. Sicché non vale attribuire al giudice di primo grado la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Dall’altro lato, va ritenuto che non solo in riferimento alla affermazione del Tribunale in ordine alla ritenuta fondatezza della contestazione dell’appellante circa la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato nella decisione di primo grado sia stato proprio il giudice d’appello ad ampliare indebitamente il thema decidendum, deducendo come il Comune avesse dimostrato che la ditta si era tenuta responsabile spontaneamente per due anni dopo la chiusura del cantiere . In tal modo, il giudice d’appello ha supportato la propria decisione supponendo l’esistenza di un rapporto tra la garanzia per i lavori ed il petitum e la causa petendi azionati nell’opposizione, estraneo alla specifica contestazione della violazione del C.d.S. attribuita all’opponente. 2. - Con il terzo motivo, da esaminarsi prima del secondo per pregiudizialità logico-giuridica , i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 numero 3 violazione art. 21, comma 2 del Codice della Strada , in quanto il Giudice di appello ha ritenuto applicabile, alla fattispecie, la norma di cui all’art. 21 comma 2 del C.d.S., considerandola operativa suo dire anche dopo la conclusione dei lavori, soltanto perché la società aveva spontaneamente garantito la corretta esecuzione dei lavori rimanendo obbligata, nei confronti del Comune, per due anni dalla conclusione dei medesimi. 2.1. - Il motivo è fondato. 2.2. - L’assunto del giudice di appello è errato e viola l’art. 21, comma 2, del C.d.S. infatti, come correttamente rilevato dal Giudice di Pace, la condotta sanzionata da tale norma non integra un illecito di carattere permanente, sicché la sussistenza di essa viene a cessare con la conclusione dell’opera Cass. numero 8665 del 2006, secondo cui, appunto, La condotta sanzionata dall’art. 21, primo comma, c.d.s., che vieta di eseguire, senza autorizzazione, opere o depositi sulle strade e sulle loro pertinenze, consistendo nel fatto stesso della esecuzione dell’opera, con conseguente mantenimento sulla strada e sulle sue pertinenze di un cantiere con impiego di operai e mezzi, non integra un illecito di carattere permanente, sicché la sussistenza di esso viene a cessare con la conclusione dell’opera . Orbene, se è vero che tale principio è da questa Corte riferito in quella specie alla condotta di cui al comma 1 del citato art. 21 C.d.S., è del pari fuori dubbio che esso valga indiscutibilmente anche rispetto agli obblighi previsti dal successivo comma 2, giacché entrambe le norme sono legate dalla medesima ratio, diretta a salvaguardare la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale durante l’esecuzione di lavori ovvero il deposito materiali sulle aree destinate al transito o alla sosta di veicoli e di pedoni. La condotta sanzionata dal C.d.S. ai sensi dei commi 2 e 4 dell’art. 21 prescinde, dunque, da eventuali obblighi di carattere privatistico che dovessero intercorrere tra esecutore dei lavori e pubblica amministrazione. Di conseguenza, il Giudice di appello ha male interpretato la norma, ritenendo che la condotta possa essere integrata, anziché dall’esecuzione di lavori sulla rete stradale durante l’apertura di un cantiere, dall’assunzione di un obbligo di garanzia nei confronti della PA, dopo la conclusione dell’opera. 3. - I motivi primo e terzo devono, pertanto, essere accolti, con assorbimento del secondo motivo - con il quale i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 numero 3 . violazione art. 345 c.p.c. , in quanto la sentenza impugnata fonda la decisione di accoglimento dell’appello su una prova costituita prodotta dal Comune solo in grado di appello, secondo cui la ditta si era tenuta responsabile per due anni dopo la chiusura del cantiere - e del quarto motivo - con il quale i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 360 numero 3 violazione art. 96 c.p.c. e norme sulla legittimazione passiva in ordine alla condanna alle spese di lite , contestando la condanna alle spese di Lorenzo B. , in quanto il medesimo non sarebbe mai stato parte in proprio del giudizio di merito. La sentenza impugnata va cassata e rinviata al Tribunale di Ancona, nella persona di altro magistrato, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, con assorbimento del secondo e del quarto. Cassa e rinvia al Tribunale di Ancona, nella persona di altro magistrato, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.