Niente condanna alle spese giudiziali a favore della controparte vittoriosa in appello, ma contumace in primo grado

Se la controparte è vittoriosa in appello, ma contumace nel primo grado di giudizio, la soccombente non deve pagare le spese giudiziali del primo grado nei suoi confronti. Ciò in quanto il provvedere a favore di quella vittoriosa che non si sia difesa e non abbia sopportato il carico delle spese è situazione assimilabile ad una pronuncia senza che la domanda per come trattata in giudizio lo giustificasse .

Lo ha affermato la Cassazione con sentenza n. 16786/18, depositata il 26 giugno. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, in accoglimento del gravame, rigettava le domande proposte dall’interessata volte ad ottenere la condanna delle controparti al pagamento di quanto dovuto a titolo di canoni e oneri accessori in relazione ad un contratto di locazione. La sentenza di appello è impugnata per cassazione dalla soccombente sulla base di quattro motivi di ricorso. I primi tre motivi sono dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte che, invece, ha accolto parzialmente il quarto motivo di ricorso con il quale parte ricorrente lamenta la violazione di legge in materia di soccombenza e condanna alle spese. Spese giudiziale e parte vittoriosa contumace. In particolare la ricorrente nella prima parte della quarta doglianza si duole del fatto che sia stata disposta condanna alle spese giudiziali a favore della controparte non solo per le spese di appello, ma anche per quelle del giudizio di primo grado, anche se quest’ultima risultava contumace. Per risolvere la questione la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui la statuizione sulle spese giudiziali di primo grado a favore della parte vittoriosa in appello, che, però, nel giudizio di primo grado sia rimasta contumace, integra un’ipotesi nella quale la Corte di Cassazione deve applicare l’art. 382, terzo comma, c.c.c., e dunque cassarla senza rinvio, in quanto, essendo il potere officioso del giudice di statuire sulle spese una necessaria implicazione del potere di pronunciare sulla domanda in maniera tale da assicurare alla parte vittoriosa completa tutela, il provvedere a favore di quella vittoriosa che non si sia difesa e non abbia sopportato il carico delle spese è situazione assimilabile ad una pronuncia senza che la domanda per come trattata in giudizio lo giustificasse . Per questi motivi il Supremo Collegio cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla censura esposta.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 dicembre 2017 – 26 giugno 2018, n. 16786 Presidente Chiarini – Relatore Frasca Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Roma, in accoglimento, per quanto di ragione, degli appelli proposti dalle parti interessate, e in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande proposte da S.C.A. nei confronti di L.C. , A.F. , Z.N. , Lu.Ba. , Ma.La. e Mi.Ma. , e dirette ad ottenere la condanna di queste ultime al pagamento di quanto dalle stesse dovuto a titolo di canoni e oneri accessori in relazione ad un contratto di locazione dedotto in giudizio. A fondamento della decisione di rigetto, la corte d’appello ha rilevato il difetto di legittimazione sostanziale della S. alla proposizione delle domande originariamente avanzate in primo grado, nel presupposto che l’effettiva conclusione del contratto di locazione in esame era risultata avvenuta da parte del coniuge della S. , C.F. , senza alcun richiamo a costei quale eventuale soggetto mandante o rappresentato, con la conseguente insussistenza, in capo alla stessa, della titolarità del rapporto contrattuale dedotto in giudizio. 2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione S.C.A. sulla base di quattro motivi d’impugnazione. 3. Hanno resistito con separati controricorsi L.C. , Z.N. e Lu.Ba. , quest’ultima invocando, in via preliminare, la dichiarazione della nullità della notificazione del ricorso nei confronti di Mi.Ma. e di Ma.La. . 4. A.F. , Ma.La. e Mi.Ma. non svolgevano difese. 5. Fissata la trattazione del ricorso alla pubblica udienza del 27 ottobre 2016, all’esito della discussione e della camera di consiglio, il Collegio, con ordinanza n. 26116 del 19 dicembre 2016, previo rilievo che era accoglibile l’eccezione sollevata da Lu.Ba. in ordine alla nullità della notificazione del ricorso proposto dalla S. nei confronti di Mi.Ma. e di Ma.La. , avendo la ricorrente provveduto alla notificazione del ricorso alle predette parti – contumaci in grado d’appello - nel relativo domicilio eletto presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado , ordinava la rinnovazione della notificazione del ricorso nei confronti di Mi.Ma. e di Laura e rinviava la trattazione a nuovo ruolo. 6. Parte ricorrente ha ottemperato all’ordinanza ed ha proceduto al rinnovo della notificazione, ma la Mi. e la Ma. non hanno svolto attività difensiva tramite controricorso. 7. La trattazione è stata di seguito nuovamente fissata per l’odierna udienza pubblica ed in vista di essa la ricorrente ha depositato memoria. La Mi. e la Ma. hanno depositata memoria difensiva di costituzione . Ragioni della decisione 1. In via preliminare il Collegio rileva che la memoria di costituzione della Mi. e della Me. con un difensore munito di procura rilasciata in calce ad essa è irrituale e non era idonea nemmeno ad abilitare detto difensore a discutere in udienza. Il processo in primo grado, infatti, è iniziato anteriormente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, la quale, con il suo articolo 45, comma 9, lett. a modificò il secondo comma dell’art. 83 introducendo la possibilità di rilascio della procura su una memoria. La norma, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge divenne applicabile solo ai processi introdotti anteriormente a quella data. 2. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in materia di mandato e di gestione di affari art. 360 n. 3 c.p.c., in relaz. artt. 17031708 c.c., 1399 c.c., 2028-2032 c.c. . Il motivo è illustrato a con la deduzione che in tutte le premesse in fatto degli atti processuali del giudizio di merito, sia in primo che in secondo grado, sia negli atti di ufficio che di parte risultava chiaramente individuato, quale presupposto processuale dell’azione intrapresa dalla S. , il contratto di locazione stipulato in data 23.10.2004 ed allegato al n. 1 dell’intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida a mezzo di suo marito rappresentante rif. pag. 2 dell’originale intimazione di sfratto b . con la precisazione che anche la Z. come emergerebbe dalla pagina 1 della sua memoria di costituzione e le altre intimate che si erano costituite in primo grado avevano fatto riferimento al contratto in quei termini e così pure la sentenza di primo grado, là dove aveva fatto riferimento all’agire della S. , a mezzo di suo marito, rappresentante rif. pag. 4 Sent. n. 16211/11 Trib. di Roma , e la sentenza di appello assumendo che la S. ha intimato sfratto di morosità sul presupposto dell’avvenuta stipula, per il tramite del marito del contratto di locazione del 23.10.2004 rif. Pag. 4 della sent. n. 4873/13, della VI Sez. della Corte di Appello di Roma . Dopo queste deduzioni si procede ad ulteriori considerazioni, nelle quali si fa riferimento alla circostanza che nel contratto locativo il marito della S. era stato indicato come proprietario e si dice che in entrambe le decisioni di merito tale elemento avrebbe assunto valore decisivo in evidente ed insuperabile contrasto con le premesse in fatto ed i documenti prodotti e ciò nonostante che nella immediatezza dell’esibizione del contratto fosse stata allegata una procura informale di S.C.A. al marito e successivamente depositata procura notarile , atteso che della prima scrittura il giudice di primo grado ha negato la rilevanza per la sua natura informale e della seconda il Giudice d’Appello ha, invece, sanzionato analoga irrilevanza perché non richiamata contemplatio domini nel più volte citato contratto .Quindi, si asserisce che entrambi tali motivazioni sarebbero profondamente errate in fatto ed in diritto, sia perché è evidente la connessione materiale e giuridica fra la premessa dell’azione giudiziaria intimazione di sfratto per morosità ed i documenti prodotti in giudizio contratto di locazione e procura moglie-marito , sia soprattutto perché una interpretazione e qualificazione giuridica in buona fede dell’intera vicenda induce a rivestire i fatti, così come narrati, documentati e accertati, sotto lo schema giuridico del mandato e/o gestione di affari . Il mandato sarebbe chiaramente ed inequivocabilmente confermato sia dalla procura informale allegata al contratto ed esibita con memoria ex art. 426 c.p.c. in data 14.09.2009 dinanzi al Tribunale di Roma, che dalla procura notarile autenticata”, quest’ultima ritenuta irrilevante dalla corte territoriale con l’anomala motivazione del mancato riferimento nel contratto di locazione come se una semplice omissione in sede atecnica - foglio manoscritto informale e pratico - possa superare il tenore di un atto pubblico e fidefacente. Di seguito si sostiene che, una volta svalutata la qualifica di proprietaria del marito della ricorrente, la corretta qualificazione giuridica dell’attività posta in essere da C.F. per conto e nell’interesse della moglie , andrebbe inquadrata nello schema del mandato e, comunque, della gestione di affari, nel cui contesto l’intero sviluppo della vicenda e del presente procedimento giudiziario rappresenta ratifica ex artt. 1399, 2032 c.c. . Dopo tale affermazione si svolgono considerazioni sula figura della gestione di affari e con la citazione di tre precedenti di questa Corte, cioè di Cass. n. 9629 del 208, Cass. n. 2122 del 1960 e Cass. n. 18441 del 2005. 2.1. Il motivo presenta plurime ragioni di inammissibilità. In primo luogo non contiene una chiara identificazione della motivazione della sentenza impugnata. Si fa riferimento, del resto, alla sentenza di primo grado quanto alla valutazione di rilevanza della procura informale e ci si astiene, peraltro, dal dire come essa era stata valutata dal quel giudice almeno riguardo alla posizione della Lu. , ma, soprattutto come l’abbia valutata il secondo giudice. Riguardo alla procura notarile prodotta in appello ci si limita a dire genericamente la sentenza avrebbe detto che non sarebbe stata richiamata con contemplatio domini nel contratto, ma tale indicazione non individua affatto in modo chiaro la motivazione. Il motivo è, inoltre, non rispettoso dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., atteso che non localizza la citazione per convalida, la memoria di costituzione della Z. e quelle delle altre intimate costituitesi, la c.d. procura informale e nemmeno la memoria del 14 settembre 2009 cui venne allegata, la procura notarile. L’onere di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. imponeva l’esigenza di localizzazione di detti atti in questo giudizio di legittimità ex multis, si vedano già Cass. ord. n. 22303 del 2008 e Cass., Sez. Un., n. 28547 del 2008 adde Cass., Sez. Un. n. 7161 del 2010 e 8077 del 2012 per gli atti processuali si veda Cass., Sez. Un. n. 22726 del 2011, la quale ammette, al fine di esentare dell’onere di produzione di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., che se ne possa indicare la presenza nel fascicolo d’ufficio, il che non è stato fatto . In terzo luogo, il motivo non contiene un’attività assertiva in iure quanto alla denunciata violazione delle norme di diritto indicate, ma si risolve nella prospettazione di una interpretazione dei documenti e degli atti evocati e tale interpretazione - in disparte che la mancanza di localizzazione impedisce di verificarla - si risolve, peraltro, in mere asserzioni inidonee ad integrare l’evidenziazione in iure della sussistenza delle evocate figure del mandato e della gestione di affari. Per il mandato, anzi, il precedente evocato sottolinea la necessità della contemplatio. In quarto luogo, se l’attività illustrativa si confronta con la motivazione della sentenza, si rileva 1a che essa non si è occupata della qualificazione della vicenda della stipula del contratto locativo come negotiorum gestio, il che evidenzia, non essendosi precisato se e dove venne introdotta nel giudizio di merito, che si tratta di una questione nuova, che, supponendo accertamenti di fatto è stata qui introdotta inammissibilmente 1b che essa si è occupata della procura notarile, oltre che reputandone tardiva la produzione in appello, anche assumendo che la contemplatio ad essa correlata nella specie avrebbe dovuto risultare necessariamente dal contratto locativo, perché per la sua stipula era prevista la forma scritta ed all’uopo ha citato Cass. n. 7640 del 2005, il cui principio di diritto è consolidato e nemmeno viene discusso si veda successivamente Cass. n. 3364 del 2010, ex multis . Sicché, il motivo non si correla nemmeno alla motivazione, il che integra una ulteriore ragione di inammissibilità. 4. Con il secondo motivo si prospetta violazione di legge in materia di divieto di proposizione di domande nuove in appello ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., in relaz. all’art. 345, comma 1, c.p.c. . Vi si lamenta che la sentenza impugnata nulla avrebbe detto e, pertanto, avrebbe omesso di pronunciare quanto all’eccezione formulata dall’odierna ricorrente, sia dalla prima difesa e nel ricorso incidentale, sull’inammissibilità di tutte le richieste ex adverso avanzate per la prima volta in appello sulla estensione a tutte le convenute dell’eccezione di difetto di legittimazione attiva proposta ed accolta in primo grado dalla sola Lu. . 4.1. Il motivo - che allude all’eccezione di difetto di legittimazione in senso sostanziale della qui ricorrente, per non essere stato il contratto locativo da lei stipulato, bensì dal marito - è inammissibile per violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., oltre che gradatamente per il disinteresse rispetto alla motivazione della sentenza impugnata. È, poi, per quel che si comprende in ragione di tali insufficienze, anche privo di fondamento. Sotto il primo aspetto parte ricorrente ha omesso di individuare, riproducendone il contenuto direttamente o almeno indirettamente, con individuazione della parte dell’atto corrispondente all’indiretta riproduzione, sia il contenuto dell’originaria eccezione della Lu. , sia e soprattutto quello dell’eccezione prospettata in appello contro quella che ha definito come estensione di detta eccezione. Sotto il secondo aspetto, il motivo trascura che la sentenza si è espressamente occupata dell’estensione dell’eccezione è sufficiente leggere quanto la corte capitolina scrive alle pagine 5-6, nelle quali enuncia argomentazioni che, sebbene implicitamente, sono idonee a spiegare come e perché l’eccezione fosse invocabile ed estensibile alle altre conduttrici. Tanto si osserva non senza che debba evidenziarsi che la sentenza dice che l’eccezione era stata sollevata dalla A. e dalla Z. già in primo grado. 4.2. In fine, si rileva che il motivo pone una questione priva di fondamento, là dove sostiene che l’appello della L. non poteva portare all’estensione del riconoscimento del difetto di legittimazione sostanziale attiva della ricorrente, riconosciuto dal primo giudice a favore della Lu. , ad essa ed alle altre conduttrici. Si rileva, innanzitutto, che l’attività di rilevazione del difetto di titolarità attiva o passiva del rapporto posto a base della domanda si è risolta nella mera constatazione che dal contratto, cioè dalla fattispecie costitutiva del diritto fatto valere, emergeva che l’attrice non era la titolare della posizione di locatrice. Questa constatazione è stata, poi, giustificata anche alla luce delle produzioni documentali. Ora, si deve ricordare che La carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa . Cass., Sez. Un. n. 2951 del 2016, che lo ha affermato unitamente a a quello secondo cui La titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto b ed a quello, secondo cui Le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti . Nel caso di specie, d’altro canto, essendo state le conduttrici evocate - sempre per quello che si comprende, ferma la valutazione negativa dello scarno tenore dell’esposizione del fatto - nella posizione di coconduttrici e, dunque, in una situazione litisconsortile necessaria, essendosi chiesta la risoluzione del contratto comune, la quale - come ha adombrato correttamente la corte di merito - non era pronunciabile inter pauciores a latere conductoribus, l’eccezione formulata expressis verbis da una sola delle conduttrici aveva natura comune alle altre a motivo del carattere del litisconsorzio e, dunque, già il primo giudice avrebbe dovuto darle rilievo per tutte. Tanto a prescindere dalla possibilità che l’eccezione fosse rilevabile d’ufficio sulla base del contratto e ciò per le considerazioni che la corte di merito ha fatto sull’esizialità della mancata contemplazione della ricorrente nel contratto in ragione dell’onere della forma scritta ad substantiam, estensibile pure alla contemplatio della medesima. Il motivo, dunque, sarebbe stato privo di fondamento, avendo la corte di merito dato giusto rilievo, come, del resto traspare dalla motivazione, alle implicazioni della regola litisconsortile necessaria. 5. Con un terzo motivo si denuncia violazione di legge in materia di divieto di ammissione di prova decisiva in appello ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., in relaz. all’art. 345, comma 1, c.p.c. . Il motivo si duole che la corte romana si sia rifiutata di considerare prova decisiva ai fini del suo ingresso in appello la procura notarile cui si è prima accennato e ciò attribuendole carattere di indispensabilità. 5.1. Il motivo è inammissibile, perché la corte di merito ha sì adombrato, ma, peraltro, senza impegnarsi a livello motivazionale, avendo usato l’espressione a prescindere , che l’art. 345 cod. proc. civ. non consentiva di dare ingresso alla produzione, ma ha anche e decisamente rilevato che la procura non poteva assumer rilievo decisivo e dunque rilevanza ai fini del decidere, perché mancava la sua contemplatio nel contratto locativo ed essa era necessaria, trattandosi di contratto soggetto alla forma scritta ad substantiam. 5.2. Questa motivazione non indica perché la forma scritta del contratto locativo si intendesse ad substantiam non si evoca, in particolare, la I. n. 431 del 1998 ma occorreva criticarla e ciò prima ancora di criticare la conseguenza trattane in punto di forma della contemplatio. Il motivo non la critica e nemmeno la critica è stata svolta a proposito del primo motivo, che, peraltro, con esito negativo, ha criticato solo la conseguenza e lo ha fatto inutilmente. 6. Con un quarto motivo si prospetta violazione di legge in materia di soccombenza e condanna alle spese art. 360 n. 3 c.p.c., in relaz. all’art. 91 c.p.c. in relazione alla natura della decisione . Il motivo, con una prima censura, si duole della circostanza che sia stata disposta condanna alle spese giudiziali a favore della L. non solo per le spese di appello, ma anche per quelle del giudizio di primo grado, ancorché in quest’ultimo essa fosse rimasta contumace. 6.1. Questa censura è fondata, atteso che Presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è che la parte, a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute per lo svolgimento dell’attività difensiva correlata alla sua partecipazione in giudizio. Pertanto, la parte vittoriosa nel giudizio di secondo grado non può chiedere la attribuzione delle spese non erogate per la prima fase del giudizio, nella quale essa è rimasta contumace, né il giudice può provvedere alla liquidazione di esse così, ex multis, già Cass. n. 5897 del 1982 . La sentenza impugnata, provvedendo in sede di appello a favore della L. riguardo alle spese concernenti il giudizio di primo grado, che essa non aveva sostenuto, essendo rimasta contumace in quel grado, ha tratto dalla circostanza che la medesima era vittoriosa in appello una conseguenza che, in ossequio al principio di causalità che regola il carico delle spese all’esito del giudizio, non avrebbe potuto trarre. Infatti, la mancata costituzione della L. in primo grado si risolveva in una situazione nella quale la controparte non risultava aver causato a carco della medesima spese per la difesa in quel grado. Ne segue che, ancorché la statuizione sulle spese sia espressione di un potere del giudice officioso e non dipendente da una domanda, dovendosi comunque considerare che essa è effetto automatico della proposizione della domanda giudiziale e dello svolgimento di cui è convenuto della difesa nel giudizio, la statuizione, essendo resa in mancanza del potere del giudice in concreto, è riconducibile alla fattispecie dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ Tale norma, quando allude alla circostanza che l’azione non potesse essere proposta, supponendo che il giudice abbia pronunciato su di essa, si presta, infatti, a ricomprendere pure l’ipotesi in cui abbia pronunciato sull’amminicolo normalmente necessario di essa, che è rappresentato dalla statuizione sulle spese, atteso che esso è pur parte del dover pronunciare sulla domanda, sebbene non a richiesta necessaria della parte che l’azione ha proposto o che all’azione ha reagito. Deve, dunque, essere affermato il principio di diritto secondo cui la statuizione sulle spese giudiziali di primo grado a favore della parte vittoriosa in appello, che, però, nel giudizio di primo grado sia rimasta contumace, integra un’ipotesi nella quale la Corte di Cassazione deve applicare l’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., e, dunque cassarla senza rinvio, in quanto, essendo il potere officioso del giudice di statuire sulle spese una necessaria implicazione del potere di pronunciare sulla domanda in maniera tale da assicurare alla parte vittoriosa completa tutela, il provvedere a favore di quella vittoriosa che non si sia difesa e non abbia sopportato il carico delle spese è situazione assimilabile ad una pronuncia senza che la domanda per come trattata in giudizio lo giustificasse . Siffatta formula decisoria si giustifica a preferenza di quella che potrebbe concretarsi una cassazione della statuizione e, quindi, nel non dar corso a rinvio e pronunciare sul merito la non debenza delle spese di primo grado. 6.2. La sentenza impugnata è dunque cassata senza rinvio a norma dell’art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., quanto alla statuizione attributiva della condanna alle spese di primo grado a favore della L. . 6.3. Con una seconda censura si sostiene che erroneamente sia stata disposta la condanna alle spese per il grado di appello a favore della Lu. , ma l’assunto è privo di pregio l’appello della L. , in ragione della natura litisconsortile necessaria del giudizio rimetteva in gioco anche la statuizione relativa alla Lu. e ciò indipendentemente dall’appello incidentale riguardo ad essa della qui ricorrente di cui si sostiene la tardività, questione su cui non merita soffermarsi e, pertanto, bene la corte ha disposto la condanna alle spese del secondo grado a favore pure della medesima. Con una terza censura parrebbe adombrarsi che le spese sì sarebbero dovute compensare, ma si tratta di censura inammissibile Cass., Sez. Un., n. 14989 del 2005 . 7. Conclusivamente sono dichiarati inammissibili il primo, secondo e terzo motivo. È accolto il quarto limitamento alla censura relativa alla condanna alle spese per il primo grado a favore della L. . È rigettato quanto alle altre censure. La sentenza è cassata senza rinvio quanto alla statuizione di condanna della ricorrente alle spese giudiziali di cui al primo grado a favore della L. . 8. In relazione alla cassazione parziale della sentenza di appello, restano ferme le statuizioni sulle spese riguardo al grado di appello. La ricorrente è condannata alle spese del giudizio di cassazione a favore di ciascuna delle resistenti Lu. e Z. ed esse si liquidano ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. L’accoglimento del quarto motivo quanto alla censura che riguardava la L. giustifica, sia in assenza di riscontri circa l’eventuale rifiuto stragiudiziale della L. di riconoscere che non le era dovuta la condanna alle spese per il primo grado, sia in ragione dell’esito dei primi tre motivi, la compensazione delle spese del giudizio di cassazione fra essa e la ricorrente. Nulla va disposto per le spese riguardo al rapporto processuale fra la ricorrente da un lato e la Mi. e la Ma. dall’altro. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. Ciò, perché il ricorso è stato in parte accolto. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso limitatamente alla censura concernente la condanna alle spese del primo grado a carico della L. . Dichiara inammissibili il primo, secondo e terzo motivo di ricorso e rigetta per il resto il quarto motivo. Cassa senza rinvio la sentenza limitatamente alla sola statuizione di condanna alle spese del primo grado di giudizio a favore della L. . Condanna la ricorrente alla rifusione alla Lu. e alla Z. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore di ognuna in Euro duemilaottocento, di cui duecento per esborsi, oltre le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Compensa le spese del giudizio di cassazione nel rapporto fra la ricorrente e la L. . Nulla per le spese riguardo al rapporto processuale fra ricorrente da un lato e la Mi. e la Ma. dall’altro. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.