Sanzioni amministrative: il termine di contestazione decorre dall'accertamento e non dalla percezione del fatto

Il termine di 90 giorni previsto per la contestazione della violazione comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie, l’attività amministrativa volta a verificare tutti gli elementi dell’infrazione.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16286/18, depositata il 20 giugno, precisando che l’accertamento non coincide, quindi, con la generica ed approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare, secondo le modalità previste dall’art. 13, l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione e richiede la valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi dell’infrazione e la fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e da acquisire piena conoscenza della condotta illecita ed a valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione. La vicenda. Il Garante per la protezione dei dati, a seguito della segnalazione di un paziente, emetteva in data 24 gennaio 2013 un’ordinanza ingiunzione contestando a una Casa di Cura che i medici della stessa di aver comunicato al medico di base del paziente, che aveva richiesto di effettuare la diagnosi per l’infezione da HIV, l’esito dell’indagine sul virus in violazione del divieto di comunicazione a persone diverse dall’interessato ai sensi dell’art. 5 l. n. 135/1990. I tempi di contestazione dell’accertamento. La Casa di Cura proponeva ricorso avverso l’ordinanza-ingiunzione innanzi al Tribunale di Padova che accoglieva l’opposizione e annullava il provvedimento del Garante. Il Tribunale riteneva fondata l’eccezione di decadenza sollevata dalla Casa di cura circa il fatto che la contestazione di infrazione amministrativa era stata notificata trascorso il termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 l. n. 689/1981. Ricorreva quindi in Cassazione il Garante per la protezione dei dati personali in particolare lamentando la violazione di legge in relazione al suddetto art. 14, comma 1, l. n. 689/1981 nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza sollevata dalla società opponente, sul rilievo che emerge in via documentale circa il fatto che la contestazione di infrazione amministrativa è stata notificata a distanza di circa quattro mesi dall’accertamento. La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo del Garante richiamando la costante giurisprudenza circa il riferimento l’accertamento e non alla data di commissione della violazione. L’accertamento non coincide con la generica ed approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione. Occorre infatti tenere presente che il procedimento di accertamento della violazione è finalizzato a consentire all’amministrazione di avere piena contezza degli estremi, oggettivi e soggettivi della condotta realizzata, nonché della sua ricomprensione nella fattispecie astratta prevista dalla norma sanzionatoria. La correttezza e completezza dell’accertamento rispondono pertanto all’interesse pubblico connaturato alla funzione svolta dall’ente accertatore, ma anche a quello dello stesso autore della condotta al fine di un’adeguata ponderazione della sua eventuale responsabilità. A tali esigenze si contrappone quella dell’ipotizzato autore della condotta di vedere concluso l’accertamento in tempi brevi e occorre quindi effettuare una valutazione di ragionevolezza dei tempi impiegati per l’accertamento al fine di ritenerne la complessiva congruità o meno rispetto alla duplice esigenza sopra individuata. In definitiva, in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, il termine di 90 giorni, previsto dall’art. 14 l. n. 689/1981 per la notifica degli estremi della violazione, decorre dal compimento dell’attività di verifica della sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 11 aprile – 20 giugno 2018, n. 16286 Presidente Lombardo – Relatore Dongiacomo Fatti di causa Il Garante per la protezione dei dati personali, a seguito della segnalazione di un paziente, con ordinanza-ingiunzione del 24/1/2013, n. 28, ha contestato alla Casa di Cura Abano Terme Polispecialistica e Termale s.p.a. che i medici della stessa, al fine di effettuare la diagnosi per l’infezione da HIV, richiesta da un paziente che si era a tale fine recato presso la struttura sanitaria, avevano richiesto al medico di base, che aveva prescritto le analisi, alcune informazioni sanitarie, mettendo, così, il medico in condizione di comprenderne l’esito, in tal modo comunicando a terzi, e cioè al medico di base del paziente, dati riferiti ad indagini sul virus HIV ritenute dal garante non comunicabili a persone diverse dall’interessato, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 135 del 1990, e, sul fondamento di tali fatti, ha irrogato alla predetta società la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 60.000,00. La Casa di Cura Abano Terme Polispecialistica e Termale s.p.a. ha proposto opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione. Il tribunale di Padova, con sentenza dell’1/10/2015, ha accolto l’opposizione ed ha, per l’effetto, annullato l’ordinanza-ingiunzione opposta. Il tribunale, in particolare, ha respinto l’eccezione di giudicato sollevata dal Garante in relazione alla sentenza pronunciata dallo stesso tribunale in data 2/5/2011, divenuta definitiva, rilevando che con il presente procedimento Casa di Cura non ha chiesto un riesame del provvedimento del Garante del 27-5-2010 oggetto della sentenza citata, ma ha anzi basato le proprie domande sul contenuto della sentenza il provvedimento del Garante del 27 maggio 2010, considerato dal Garante stesso come atto presupposto della contestazione del 22-6-2010 sulla scorta della quale l’Amministrazione notificava l’ordinanza ingiunzione, risulta, per effetto della statuizione giudiziaria, parzialmente annullato avendo il Tribunale di Padova, nella sentenza citata, accolto parzialmente la domanda, ritenendo legittimo il trattamento dei dati personali, compresa la comunicazione a terzi, ove effettuato in presenza di consenso informato dell’interessato anche se avente ad oggetto gli accertamenti diagnostici per infezione da HIV , per cui, ha concluso il tribunale, il Garante avrebbe dovuto, al più, procedere ad una nuova contestazione, non potendo emettere, come ha fatto, ordinanza-ingiunzione fondata su un provvedimento in ordine al quale si era formata una statuizione giudiziaria contraria passata in giudicato . Ciò detto, il tribunale ha ritenuto assorbente l’eccezione di decadenza sollevata dalla società opponente emerge in via documentale la circostanza che la contestazione di infrazione amministrativa è stata notificata solo il 9-7-2010 quando l’accertamento era stato completato già in data 11-3-2010, giorno in cui il Garante ha ricevuto la documentazione richiesta a Casa di Cura per acquisire ogni elemento utile per valutare la fattispecie , tale circostanza è rimasta incontestata, nulla avendo il Garante eccepito sul punto in memoria di costituzione ed, in ogni caso, tale data è stata indicata dal Garante stesso nel provvedimento in data 11-6-2010 , per cui il termine di 90 giorni previsto dall’art. 14 L. n. 689/1981 risulta decorso , con la conseguenza, ha concluso il tribunale, che, trattandosi di termine di decadenza, l’ingiunzione irrogata dall’Amministrazione è invalida e dovesse essere, quindi, annullata. Il Garante per la protezione dei dati personali, con ricorso notificato il 23/12/2015, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata. La Casa di Cura Abano Terme Polispecialistica e Termale s.p.a. ha resistito con controricorso notificato in data 10/2/2016 ed ha depositato memoria. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando il travisamento della prova e l’omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti nonché la nullità della sentenza impugnata, a norma dell’art. 360 n. 4 e n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha respinto l’eccezione di giudicato, sollevata dal Garante, in relazione alla sentenza del tribunale di Padova del 2011, sul rilievo che tale sentenza avrebbe parzialmente accolto la domanda, ritenendo legittimo il trattamento dei dati personali. In realtà, ha osservato il ricorrente, la sentenza in questione ha accertato l’illegittimità della comunicazione dei dati relativi agli accertamenti diagnostici a persona diversa dall’interessato, in difetto di consenso, ed ha, quindi, rigettato il ricorso proposto avverso il provvedimento emesso dal Garante in data 27/5/2010, in tal modo precludendo il riesame, in fatto e in diritto, nel presente giudizio, della medesima questione, che costituisce il presupposto logico dell’ordinanza-ingiunzione ivi impugnata. Il tribunale, quindi, ha aggiunto il ricorrente, ha completamente ignorato un fatto, consistente nell’accertamento dell’illegittimità del trattamento dei dati e nel rigetto del ricorso ad opera della sentenza del 2011, travisando la prova dell’esistenza di un giudicato favorevole al Garante che, ove debitamente esaminato, avrebbe condotto ad una statuizione opposta. 2.Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione di legge in relazione all’art. 14, comma 1, della l. n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza sollevata dalla società opponente, sul rilievo che emerge in via documentale la circostanza che la contestazione di infrazione amministrativa è stata notificata solo il 9/7/2010, quando l’accertamento era stato completato già in data 11/3/2010, giorno in cui il Garante ha ricevuto la documentazione richiesta a Casa di Cura per acquisire ogni elemento utile per valutare la fattispecie, con il conseguente decorso del termine di novanta giorni previsto dall’art. 14 della l. n. 689 del 1981, laddove, ha osservato il ricorrente, il termine previsto dall’art. 14, comma 2, cit. è collegato all’esito del procedimento di accertamento e non può, quindi, coincidere con il momento della mera acquisizione degli elementi di fatto necessari all’accertamento. Nel caso di specie, ha aggiunto il ricorrente, il Garante, come già dedotto nel giudizio di merito, ha completato gli accertamenti istruttori in data 27/5/2010 e, sulla base delle risultanze degli accertamenti effettuati in ordine agli elementi di fatto e di diritto acquisiti, ha contestato alla società la violazione amministrativa con verbale del 22/6/2010, vale a dire nel rispetto del termine di novanta giorni dall’esito del procedimento di accertamento. Il tribunale, ha osservato ancora il ricorrente, avrebbe dovuto valutare la legittimità della durata del procedimento di accertamento alla luce della complessità delle indagini. 3.Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza sollevata dalla società opponente, così omettendo di esaminare il fatto decisivo consistito nell’esistenza di un momento finale accertativo, e cioè il provvedimento del 27/5/2010, il quale è cronologicamente successivo rispetto al momento di acquisizione degli elementi istruttori da parte del Garante, terminata nel marzo del 2010, oltre che oggetto di discussione tra le parti e decisivo perché, se esaminato, avrebbe indotto il tribunale a far coincidere il dies a quo del termine di decadenza con la data del 27/5/2010. 4. Il secondo motivo è fondato, con assorbimento degli altri. Ed infatti, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’art. 14 della l. n. 689 del 1981, facendo riferimento all’accertamento e non alla data di commissione della violazione, dev’essere interpretato nel senso che il termine di novanta giorni, ivi previsto, comincia a decorrere dal momento in cui è compiuta o si sarebbe dovuta compiere, anche in relazione alla complessità o meno della fattispecie, l’attività amministrativa volta a verificare tutti gli elementi dell’infrazione. L’accertamento non coincide, quindi, con la generica ed approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento delle indagini necessarie per riscontrare, secondo le modalità previste dall’art. 13, l’esistenza di tutti gli elementi dell’infrazione e richiede la valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi dell’infrazione e la fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita ed a valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione Cass. n. 26734 del 2011 Cass. n. 25836 del 2011 . Al fine di comprendere la portata di tali affermazioni, occorre tener presente che il procedimento di accertamento della violazione è finalizzato a consentire all’amministrazione di avere piena contezza degli estremi, oggettivi e soggettivi, della condotta realizzata, nonché della sua ricomprensione nella fattispecie astratta prevista dalla norma sanzionatoria. La correttezza e completezza dell’accertamento rispondono, quindi, sia all’interesse pubblico connaturato alla funzione pubblica svolta dall’ente accertatore, sia all’interesse dello stesso autore della condotta al fine di un’adeguata ponderazione della sua eventuale responsabilità. A tale esigenza si contrappone, peraltro, quella dell’ipotizzato autore della condotta di vedere concluso l’accertamento in tempi brevi, sia per definire la propria posizione incerta sia per poter eventualmente apprestare una pronta ed adeguata difesa. Nel contemperamento di tali esigenze, quindi, occorre effettuare una valutazione di ragionevolezza dei tempi impiegati per l’accertamento, al fine di ritenerne la complessiva congruità o meno rispetto alla duplice esigenza sopra individuata. In tale ambito, assumono rilievo tutte le complesse attività finalizzate all’accertamento, tra cui rientrano non solo gli atti di indagine effettuati, ma anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi già acquisiti, onde ritenerne l’incidenza e la sufficienza ai fini della completa disamina di tutti gli aspetti della fattispecie Cass. n. 7681 del 2014, in motiv. . In definitiva, in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’infrazione, il termine di novanta giorni, previsto dall’art. 14 della l. n. 689 cit. per la notifica degli estremi della violazione, decorre dal compimento dell’attività di verifica della sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettiva dell’illecito, dovendosi considerare anche il tempo necessario all’amministrazione per valutare e ponderare adeguatamente gli elementi acquisiti e gli atti preliminari. Nel caso di specie, il tribunale, come detto, ha ritenuto che il termine di decorrenza di novanta giorni fosse decorso sul rilievo, da un lato, che la contestazione di infrazione amministrativa è stata notificata solo il 9-7-2010 e, dall’altro lato, che l’accertamento era stato completato già in data 11-3-2010, giorno in cui il Garante ha incontestatamente ricevuto la documentazione richiesta a Casa di Cura per acquisire ogni elemento utile per valutare la fattispecie , trascurando, però, in tal modo, di considerare il tempo ulteriore, inevitabilmente necessario, per la ponderata ed adeguata valutazione da parte del Garante proprio dei documenti trasmessi dalla società opponente, e stabilire, ma solo all’esito di tale valutazione, ed avendo riguardo a tutte le circostanze del caso, il momento in cui ragionevolmente la valutazione degli elementi così acquisiti avrebbe potuto essere tradotta in accertamento e dal quale, quindi, far decorrere il termine per la contestazione. Compete, invero, al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per l’accertamento, in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato Cass. n. 13862 del 2002 Cass. n. 1081 del 2007 . La necessità di ulteriori indagini, ai fini dell’accertamento dell’illecito amministrativo, comporta, infatti, che il giudice di merito, pur nell’assenza di limiti temporali predeterminati, verifichi, in relazione alle circostanze del caso concreto, se tali indagini siano state effettuate entro un temine congruo ed il relativo giudizio, conseguendo ad un apprezzamento di fatto, è sindacabile, in sede di legittimità, solo sotto il profilo del vizio di motivazione Cass. n. 2363 del 2005 Cass. n. 9456 del 2004 . 5. La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata, con rinvio al tribunale di Padova che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente procedimento. P.Q.M. La Corte così provvede accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbiti gli altri cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Padova in diversa composizione anche ai fini delle spese del presente procedimento.