Renitente alla leva, ma non per una questione di coscienza: niente protezione per lo straniero

Respinta la richiesta presentata da un giovane turco, di etnia curda. Decisive le sue dichiarazioni dinanzi alla Commissione territoriale, dichiarazioni da cui è emersa la volontà di non essere coinvolto negli scontri in corso presso i confini della Turchia.

Renitente alla leva così un giovane turco si è presentato in Italia, chiedendo protezione e il riconoscimento dello status di rifugiato. Il mancato riferimento a una obiezione di coscienza dovuta a ragioni morali è però elemento decisivo alla luce di questo dato, difatti, viene respinta la sua domanda Cassazione, ordinanza n. 15673/18, sez. VI civile, depositata oggi . Rifiuto. Elemento centrale nella vicenda è la ragione che ha spinto lo straniero, cittadino turco di origine curda , a dire no al servizio militare, obbligandolo poi, a suo dire, a scappare dal proprio Paese. Su questo punto, in particolare, il giovane spiega, prima in Tribunale e poi in Appello, di essere renitente alla leva in quanto obiettore di coscienza e di correre un grave rischio in caso di rientro in Turchia, il cui ordinamento prevede pene severe per gli obiettori . Questa versione però fa a pugni, osservano i Giudici, con le dichiarazioni rilasciate dal cittadino turco dinanzi alla Commissione territoriale, dichiarazione da cui è emerso che il suo rifiuto di svolgere il servizio militare era dettato non già dall’obiezione di coscienza, bensì unicamente dalla volontà di non essere coinvolto negli scontri in corso presso i confini turchi . In sostanza, non è stato evidenziato alcun riferimento a motivazioni di carattere etico o alla contrarietà all’uso delle armi per ragioni di coscienza , e quindi si può ritenere, secondo i giudici, che le ragioni dell’espatrio siano state di carattere personale ed economico . E questa visione non è scalfita neanche dal richiamo all’ appartenenza all’etnia curda , che non costituisce, di per sé, motivo per ritenere lo straniero obiettore di coscienza . Su identica posizione si attesta anche la Corte di Cassazione, condividendo la valutazione della Corte d’Appello, cioè l’esclusione categorica che la renitenza alla leva del cittadino turco fosse dettata dalla propria obiezione di coscienza o comunque da motivi di appartenenza etnica . In sostanza, mancando questo elemento, cioè ragioni morali alla base del no al servizio militare, è impossibile ritenere concreto il timore di persecuzione manifestato dallo straniero all’ipotesi di un ritorno in Turchia.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 19 aprile – 14 giugno 2018, n. 15673 Presidente Scaldafferri – Relatore Acierno Ragioni della decisione Con sentenza del 01/03/2016 la Corte d'appello di Trieste ha rigettato l'impugnazione proposta da Do. Ok., cittadino turco di etnia curda, avverso la decisione del Tribunale della medesima città che gli aveva negato il riconoscimento del diritto allo status di rifugiato e di protezione sussidiaria. Il richiedente aveva dedotto dinanzi al Tribunale di essere renitente alla leva in quanto obiettore di coscienza e di temere, per tale ragione, di correre un grave rischio in caso di rientro in Turchia, il cui ordinamento prevede pene severe per gli obiettori. La Corte territoriale ha rilevato, a sostegno della decisione, che dinanzi alla Commissione territoriale il sig. Do. aveva dichiarato che il suo rifiuto di svolgere il servizio militare era dettato non già dall'obiezione di coscienza, bensì unicamente dalla volontà di non essere coinvolto negli scontri in corso presso i confini turchi, mentre il mutamento di versione dinanzi al Tribunale era stato dettato da ragioni di convenienza. Dalle dichiarazioni inizialmente rese, infatti, non era emerso alcun riferimento a motivazioni di carattere etico o alla contrarietà all'uso delle armi per motivi di coscienza, dovendo per conseguenza ritenersi che le ragioni dell'espatrio fossero in verità di carattere personale ed economico. D'altra parte, la dedotta appartenenza all'etnia curda non costituisce di per sé stessa motivo per ritenere l'appellante obiettore di coscienza. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione Do. Ok. sulla base di due motivi, accompagnati da memoria. Non svolge difese l'Amministrazione intimata. Con il primo motivo viene contestata la violazione degli artt. 7, comma 2, lett. e e e-bis , D.Lgs. 286/98, nonché vizio di motivazione apparente, sotto il profilo del mancato riconoscimento dello status di rifugiato, perché la Corte d'appello non ha approfondito le ragioni che spinsero il ricorrente a lasciare il proprio Paese, valorizzando apoditticamente la circostanza che l'obiezione di coscienza non fosse stata allegata fin dall'inizio. Svolgere il servizio militare significherebbe per il ricorrente combattere contro il popolo curdo, che in Turchia viene discriminato. Con il secondo motivo viene contestata la violazione degli artt. 2 e 14, D.Lgs. 251/2007, nonché vizio di motivazione apparente, sotto il profilo del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, perché la Corte d'appello ha omesso di considerare le gravi conseguenze che in Turchia discendono dalla renitenza alla leva. Il primo motivo è inammissibile perché generico e parzialmente estraneo alla ratio deridenti. La Corte d'appello ha, con motivazione incensurabile, espresso un giudizio di inattendibilità soggettiva dello straniero in ragione del radicale mutamento di versione tra le dichiarazioni rese dallo stesso in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale, e quelle rese dinanzi al Tribunale. Ha pertanto escluso che la renitenza alla leva fosse dettata dalla propria obiezione di coscienza o comunque da motivi di appartenenza etnica. Tale giudizio sulla credibilità soggettiva non viene specificatamente censurato dal ricorrente, e fa venir meno uno degli elementi costitutivi dello status di rifugiato, rappresentato dal nesso di causalità tra il fondato timore di persecuzione e uno dei motivi previsti dalla Convenzioni di Ginevra del 1951 e dall'art. 8 del D.Lgs. 251/2007. Il secondo motivo, vertente sulla protezione sussidiaria, è manifestamente infondato. Secondo l'accertamento della Corte territoriale, sul punto non specificatamente contestato nel ricorso, il rischio effettivo di danno grave presupposto della protezione sussidiaria secondo la definizione prevista dagli artt. 2, lett. g e 14 del D.Lgs. 251/2007 era stato prospettato dal richiedente unicamente in relazione alla sua qualità di obiettore di coscienza esclusa tale qualità sul piano dell'attendibilità soggettiva, la Corte ha conseguentemente negato il riconoscimento anche dello status di protezione sussidiaria. La memoria depositata, reiterando le argomentazioni svolte nel ricorso, non offre elementi per superare i predetti rilievi. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Non occorre provvedere alle spese processuali in considerazione della mancata attività difensiva della parte intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.