Tormentato in patria da un oracolo: niente protezione in Italia

Respinta definitivamente la richiesta presentata da un cittadino nigeriano. L’uomo ha spiegato di essere scappato dal proprio Paese perché, dopo avere rifiutato il ruolo di capo sacerdotale che era del padre, era stato preso di mira – dal vivo e in sogno – da un oracolo. Irrilevante anche il richiamo alla situazione di indigenza da lui vissuta in patria.

Fastidiose, ripetute e poco sopportabili le visite – dal vivo e in sogno – di un potente oracolo, che vuole spingere lo straniero – di origini nigeriane – ad accettare in eredità il ruolo di capo sacerdotale del padre. Il disagio manifestato dall’uomo, fuggito in Italia, non è però sufficiente a dare concretezza alla sua richiesta di protezione. Vittoria definitiva, quindi, per il Ministero dell’Interno. Vittoria non messa in discussione neanche dal richiamo del cittadino nigeriano alla propria indigenza economica nel Paese d’origine Cassazione, ordinanza n. 15569/18, sez. VI Civile, depositata oggi . Persecuzione. Una volta approdato sulla Penisola, lo straniero spiega di essere fuggito dalla Nigeria a causa della situazione venutasi a creare a seguito del suo rifiuto all’idea di ereditare, alla morte del padre, il ruolo di capo sacerdotale della religione tradizionale nel villaggio . Come ulteriore dettaglio, egli racconta di avere iniziato poi a vedere in sonno e anche fisicamente un oracolo che lo tormentava per spingerlo a prendere il posto del padre. La vicenda narrata dall’uomo non convince però le autorità italiane, che ne respingono la domanda di riconoscimento della protezione internazionale . E questa decisione viene ritenuta corretta dai giudici della Corte d’appello, la cui posizione viene ora corroborata dalle valutazioni compiute dai magistrati della Cassazione. In particolare, i Giudici del Palazzaccio evidenziano che le uniche persecuzioni prospettate dallo straniero proverrebbero da un potente oracolo che lo avrebbe tormentato con continue apparizioni , mentre egli non ha neppure accennato ad eventuali possibili ritorsioni da parte degli anziani del villaggio e della comunità religiosa a seguito del suo rifiuto di accettare il ruolo di capo sacerdotale . Irrilevante anche il richiamo fatto dal cittadino nigeriano alla presunta situazione di vulnerabilità che dovrebbe affrontare in patria a causa della sua indigenza economica . Su questo fronte i Giudici della Cassazione ribattono ricordando che per la concessione della richiesta di protezione umanitaria il rimpatrio dovrebbe determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani – anche relativamente alla tutela del diritto di salute – al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità della persona .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 maggio – 13 giugno 2018, n. 15569 Presidente Genovese – Relatore Lamorgese Fatti di causa La Corte d'appello di Ancona, con sentenza del 31 marzo 2017, ha rigettato il ricorso di Ch. Nd., cittadino nigeriano, avverso l'impugnata ordinanza che aveva rigettato la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Egli aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria a causa della situazione venutasi a creare a seguito del rifiuto da lui opposto di ereditare, alla morte del padre, il ruolo di capo sacerdotale della religione tradizionale nel villaggio in cui viveva e di avere poi iniziato a vedere in sonno e poi anche fisicamente un oracolo che lo tormentava. Avverso questa sentenza la parte ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell'interno non si è difeso. Ragioni della decisione Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, 3 e 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007 e omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere escluso l’esistenza nel Paese di provenienza di una situazione di violenza diffusa e incontrollata o non controllabile dalle autorità statali, ai fini della protezione sussidiaria, senza uno specifico accertamento al riguardo che i giudici di merito avrebbero dovuto effettuare anche d'ufficio. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha accertato che il ricorrente non ha mai neanche dedotto di essere stato da qualcuno minacciato di morte o violenza, essendo basato il suo timore che lo avrebbe spinto alla fuga non su effettive persecuzioni o minacce, bensì sulla mera possibilità, da nessuno concretamente e realmente prospettata, e quindi solamente ipotizzata, di subire trattamenti inumani e degradanti da parte della comunità le uniche persecuzioni addotte dal richiedente . proverrebbero dal potente oracolo che lo avrebbe tormentato con continue apparizioni . Egli non ha neppure [accennato] ad eventuali possibili ritorsioni da parte degli anziani del villaggio e della comunità religiosa per il suo rifiuto di accettare il ruolo di capo sacerdotale e neppure a problematiche connesse ai rapporti conflittuali tra cristiani e mussulmani e alle azioni del gruppo terroristico di Boko Haram. Pertanto la Corte, con incensurato apprezzamento di fatto, ha escluso l'esistenza nel Paese di una situazione di violenza generalizzata rilevante ai fini della protezione sussidiaria. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, 5, comma 6, del D.Lgs. 286 del 1998, 34 del D.Lgs. n. 251 del 2007 e omesso esame di fatti decisivi, per non avere esaminato la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione per ragioni umanitarie, tenuto conto della situazione di vulnerabilità in cui egli versava. Con il terzo motivo è denunciata motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su fatti controversi e decisivi per il giudizio, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria nonostante i rischi esistenti nel suo Paese per la sua incolumità. Entrambi i motivi in esame sono infondati. La Corte di merito ha esaminato e rigettato il motivo di gravame concernente il diniego della protezione per ragioni umanitarie, escludendo situazioni di vulnerabilità connesse alla violazione di diritti fondamentali. essendo diretto a censurare - tra l'altro, con un mezzo inadeguato ex art. 360 n. 3 c.p.c. - l'apprezzamento di fatto compiuto dalla Corte di merito che ha escluso una situazione di vulnerabilità connessa alla sua indigenza economica, ai fini della richiesta protezione umanitaria. A quest'ultimo riguardo, non può farsi leva soltanto sulla situazione di integrazione del richiedente la protezione umanitaria nel paese di accoglienza, avendo questa Corte sentenza n. 4455 del 2018 chiarito che tale situazione dev'essere pur sempre comparata a quella del paese di origine, nel senso che, per la concessione della richiesta protezione umanitaria, il rimpatrio dovrebbe determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio dei diritti umani - anche relativamente alla tutela del diritto di salute - al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità della persona, ciò che nella specie è stato escluso con un incensurabile apprezzamento di fatto dei giudici di merito. A tal fine, il ricorrente non ha precisato se e in quale atto processuale abbia specificamente dedotto nel giudizio di merito i denunciati profili di rischio connessi alla situazione politica del Bangladesh. Il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva, né è dovuto il raddoppio del contributo unificato, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.