Rito del lavoro-locatizio: il termine lungo per impugnare decorre dalla pronuncia in udienza

Nelle materie in cui trova applicazione il rito del lavoro, il dies a quo di decorrenza del termine c.d. lungo di decadenza per la proposizione della impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c. con riferimento alla pubblicazione della sentenza, deve essere individuato alla stessa data della udienza in cui è stato definito il giudizio, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, con conseguente conoscenza legale del provvedimento, ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., per le parti presenti o che avrebbero dovuto comparire alla udienza.

La Sez. III civile della Cassazione ordinanza n. 14724/18, depositata il 7 giugno , ha fatto chiarezza con una decisione innovativa su un tema molto delicato, relativo alla decorrenza del termine lungo per impugnare, in tutte quelle materie in cui trova applicazione il rito del lavoro, allorquando alla discussione della causa segua la lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni della decisione. Poco importa, in tali casi e a tali fini, il successivo deposito della sentenza. Il caso. In una controversia in materia di locazione di immobili urbani, la decisione era stata assunta in udienza, così come previsto dall’art. 429 c.p.c., applicabile al rito locatizio in virtù dell’esplicito richiamo ad opera dell’art. 447- bis c.p.c Tuttavia parrebbe, dalla lettura della decisione in commento, a causa di un disguido tecnico con la Consolle , la decisione veniva depositata in Cancelleria successivamente all’udienza di discussione. Proposto appello, la Corte territoriale ne dichiarava la tardività, perché ormai maturato il termine lungo per l’impugnazione conteggiato a decorrere dalla data in cui si era celebrata l’udienza di discussione della causa con lettura del dispositivo e delle ragioni a sostegno della decisione. Per cui, la tesi dell’appellante, secondo cui, in questo caso, il termine decorreva dal successivo deposito in Cancelleria e in tale ipotesi l’appello sarebbe risultato essere tempestivamente proposto , andava rigettata, avendo il disposto dell’art. 430 c.p.c. una portata ormai residuale e comunque non rilevante a tali fini. Il rapporto tra art. 429 c.p.c. e 281-sexies c.p.c. si deve partire da una interpretazione costituzionalmente orientata. Anzitutto gli Ermellini precisano che l’individuazione del contenuto precettivo delle norme processuali, tanto più nel caso in cui venga in questione l’applicazione di norme da cui derivino effetti decadenziali sui poteri del difensore, richiedono un’interpretazione costituzionalmente orientata alla attuazione dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 Cost., in modo da assicurare alle parti un processo giusto” e contenuto in una ragionevole durata” ex art. 111 Cost., dovendo quindi ripudiarsi, ove confliggente con lo scopo predetto, una interpretazione fondata su una lettura ed una mera applicazione formalistica delle norme processuali. Il principio di strumentalità delle norme processuali e l’interpretazione sistematica. La Suprema Corte avverte altresì che la ricerca del contenuto precettivo della norma introdotta con la riforma legislativa del 2008 che ha appunto inciso sul tenore dell’art. 429, comma 1, c.p.c. , non può prescindere dal parametro fondamentale costituito dal principio di strumentalità che informa tutte le norme processuali, in quanto applicative di regole formali che non esauriscono in sé il contenuto di senso, ma che lo sostanziano soltanto in funzione dello specifico scopo cui sono preordinate le condotte prescritte alle parti ed al giudice. Con la conseguenza che, non disvelando immediatamente la norma modificativa, in base alla sola lettura del contenuto semantico della proposizione aggiunta al testo dell’originario primo comma dell’art. 429 c.p.c., la funzione teleologica ad essa sottesa, il senso normativo della stessa non può che essere rinvenuto per via sistematica, avuto riguardo alla comparazione analogica con la funzione acceleratoria connessa alla norma preesistente e di contenuto del tutto identico dell’art. 281- sexies c.p.c La pronuncia in udienza prevista dagli articoli 429 c.p.c. e 281-sexies c.p.c. gli effetti sono i medesimi. La soluzione interpretativa volta a parificare gli effetti della pronuncia in udienza resa ai sensi degli artt. 429, comma 1, c.p.c. e 281- sexies c.p.c. appare conforme, inoltre, alla scelta compiuta dal Legislatore nel senso di imprimere una ulteriore accelerazione alla definizione del giudizio disciplinato dal rito del lavoro, anticipando gli effetti della decisione finale con la eliminazione dei tempi tecnici connessi alla fase del deposito in Cancelleria e della comunicazione della sentenza. La portata residuale dell’art. 430 c.p.c. rubricato Deposito della sentenza” e lo schema bifasico di pubblicazione della sentenza. Tale norma stabilisce che La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia. Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti . Si tratta di una disposizione che sembrerebbe impedire una interpretazione tesa ad equiparare la portata dell’art. 429 c.p.c. a quella dell’art. 281- sexies c.p.c., prevedendosi espressamente che la pubblicazione della sentenza è rinviata ad un momento successivo alla lettura in udienza. Ma a tale proposito viene detto che la mancata modifica dell’art. 430 c.p.c. è coerente con il mantenimento dello schema bifasico di pubblicazione della sentenza, fondato sulla lettura del solo dispositivo in udienza ed il differimento ad un termine successivo, non superiore a giorni sessanta del deposito della sentenza, nei casi in cui la causa si palesi particolarmente complessa ex art. 429, comma 1, seconda parte, c.p.c., venendo in applicazione in via sussidiaria” l’art. 430 c.p.c., in quanto diretto a supplire alla omessa determinazione da parte del Giudice del termine di differimento. Il principio di diritto affermato la lettura in udienza equivale a pubblicazione della sentenza. Nelle materie in cui trova applicazione il rito del lavoro, giusto il richiamo disposto dall’art. 447- bis c.p.c., in seguito alla modifica del primo comma dell’art. 429 c.p.c. disposta dall’art. 53, comma 2, d.l. n. 112/2008, conv., con modif., dalla l. n. 133/2008 - applicabile ai giudizi instaurati dopo la entrata in vigore della legge -, la lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione” in quanto conforme allo statuto degli elementi di validità della sentenza prescritti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., equivale a pubblicazione della sentenza, con esonero della comunicazione di Cancelleria, analogamente a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 281- sexies c.p.c., essendo identica la funzione acceleratoria del processo cui entrambe le norme di legge risultano preordinate in funzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost., non ostandovi la diposizione dell’art. 430 c.p.c. - secondo cui la sentenza deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia - atteso che la stessa deve essere coordinata con la diposizione della seconda parte del primo comma dell’art. 429 c.p.c. - introdotta dal d.l. n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008 - che mantiene la struttura bifasica della pubblicazione della sentenza nel caso di controversie di particolare complessità per le quali il giudice, letto il dispositivo in udienza, disponga il differimento del deposito della motivazione al termine stabilito, operando l’art. 430 c.p.c. in via meramente sussidiaria nel caso in cui venga omessa la indicazione del termine di differimento. Il termine lungo per l’impugnazione decorre quindi dall’udienza in cui è stata decisa la causa. Gli Ermellini concludono affermando che, conseguentemente, il dies a quo ” di decorrenza del termine c.d. lungo di decadenza per la proposizione della impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c. con riferimento alla pubblicazione della sentenza, deve essere individuato alla stessa data della udienza in cui è stato definito il giudizio, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, con conseguente conoscenza legale del provvedimento, ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., per le parti presenti o che avrebbero dovuto comparire alla udienza.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 7 novembre 2017 – 7 giugno 2018, n. 14724 Presidente Chiarini – Relatore Olivieri Fatti di causa La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 27.5.2015 n. 978, decidendo in ordine a controversia avente ad oggetto locazione di immobili urbani, ha dichiarato inammissibile per tardività ex art. 327, comma 1, c.p.c. nel testo modificato dalla legge n. 69/2009 l’appello proposto da D.H.B. e D.V.R. avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, pronunciata ai sensi dell’art. 429, comma 1, c.p.c. come modificato dall’art. 53, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 133 del 2008 applicabile ratione temporis , in quanto tardivamente depositato oltre il termine di decadenza, dovendo essere fatto decorrere il dies a quo dalla pronuncia in udienza del dispositivo e della motivazione, analogamente a quanto previsto dall’art. 281 sexies c.p.c., e non invece dal deposito in Cancelleria della sentenza effettuato in data 15.11.2013 in quanto dal verbale di udienza risultava il malfunzionamento della Consolle . Impugnano per cassazione la sentenza di appello D.H.B. e D.V.R. con due motivi. Resiste con controricorso C.V Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte ex art. 380 bis.1 c.p.c. instando per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione I ricorrenti, con l’unico motivo, deducono la violazione degli artt. 281 sexies, 429 nel testo modificato dall’art. 53, comma 2, del DL 25.6.2008 n. 112 conv. con mod. in legge 6.8.2008 n. 133 e 430 c.p.c., in relazione all’art. 360 co 1 n. 4 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe considerato che la fattispecie perfezionativa della pubblicazione della sentenza, idonea a far decorrere il termine lungo di impugnazione ex art. 327, comma 1, c.p.c. nel testo riformato dall’art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009 n. 69, applicabile ratione temporis, giusta il disposto dell’art. 58 della medesima legge, essendo stato depositato in data 14.7.2009 il ricorso introduttivo ex art. 447 bis c.p.c. proposto da D.H. e D.V. avanti il Tribunale di Firenze ed avente ad oggetto condanna del conduttore al rilascio dell’immobile ed al risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. , è regolata diversamente nel caso della pronuncia emessa dal Giudice unico art. 281 sexies c.p.c. e nel caso della pronuncia emessa nelle cause locative, assoggettate al rito del lavoro in relazione alle disposizioni richiamate dall’art. 447 bis c.p.c., atteso che in quest’ultime è espressamente richiesto dall’art. 430 c.p.c. che alla lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni in fatto e diritto della decisione segua necessariamente entro quindici giorni il deposito della sentenza in Cancelleria. Ne segue, secondo la prospettazione dei ricorrenti, che essendo stata depositata in Cancelleria la sentenza del Tribunale di Firenze in data 15.11.2013, il dies a quo di decorrenza del termine lungo di impugnazione era stato osservato con il deposito in data 15.4.2014 del ricorso in appello, che avrebbe dovuto, pertanto, essere dichiarato ammissibile. Il motivo è infondato. La individuazione del contenuto precettivo delle norme processuali, tanto più nel caso in cui venga in questione l’applicazione di norme da cui derivino effetti decadenziali sui poteri del difensore, richiedono un’interpretazione costituzionalmente orientata alla attuazione dei principi di economia processuale, di tutela del diritto di azione nonché di difesa della parte ex artt. 24 Cost., in modo da assicurare alle parti un processo giusto e contenuto in una ragionevole durata ex art. 111 Cost., dovendo quindi ripudiarsi, ove confliggente con lo scopo predetto, una interpretazione fondata su una lettura ed una mera applicazione formalistica delle norme processuali. In particolare il principio di strumentalità che le forme processuali hanno in funzione della attuazione della giurisdizione mediante decisione di merito deve essere declinato in conformità ai predetti valori di rango costituzionale, che trovano piena corrispondenza anche nei valori espressi anche nella CEDU art. 6, paragr. 1, della Convenzione internazionale diritto all’accesso ad un organo di giustizia indipendente ed imparziale che esamini in modo giusto, pubblicamente, ed in un termine ragionevole, la situazione giuridica che il singolo assume essere stata lesa e dall’ordinamento comunitario art. 47, CDFUE , Carta cd. di Nizza , e che, come più volte ribadito da questa Corte, hanno imposto un mutamento di prospettiva all’interprete, che, fra possibili letture di una norma deve preferire quella più aderente al testo costituzionale . Il principio della ragionevole durata del processo da integrare con gli altri valori espressione di un processo equo garanzia della parità degli strumenti di difesa garanzia del contraddittorio effettività della tutela accordata al diritto controverso viene, pertanto, a costituire il parametro ai fini della conformità a Costituzione di tutte quelle norme che, direttamente o indirettamente, determinano una ingiustificata durata del processo . ndr e ad esso occorre riferirsi come punto costante di riferimento nell’ermeneutica delle norme, in particolare di quelle processuali, e nella individuazione del rispettivo ambito applicativo, conducendo a privilegiare, pur nel doveroso rispetto del dato letterale, opzioni contrarie ad ogni inutile appesantimento del giudizio cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 5700 del 12/03/2014, in motivazione id. Sez. U, Sentenza n. 9558 del 02/05/2014 . Alla stregua dei principi e dei parametri indicati deve dunque rinvenirsi il fondamento della introduzione, da parte del Legislatore, di modelli processuali idonei a facilitare la conclusione del giudizio, attraverso la adozione di differenti discipline normative che caratterizzano i riti speciali, dettate in ragione di particolari esigenze di ordine pubblico ovvero determinate dalla peculiarità della natura della controversia secondo scelte inerenti alla discrezionalità propria del Legislatore e che possono prevedere anche la introduzione di decadenze e preclusioni intese ad impedire lo svolgimento delle ulteriori fasi del processo, ma che debbono pur sempre rispettare il principio di ragionevolezza della forma processuale adottata. rispetto allo scopo prefisso, e comunque salvo il limite assoluto ed inderogabile di un sostanziale annichilimento del diritto all’accesso alla tutela giurisdizionale cfr. Corte Cass. SU n. 9558/2014 cit. , in motivazione e decisioni della Corte EDU ivi richiamate da ultimo ancora Corte Cass. Sez. U -, Sentenza n. 25513 del 13/12/2016 , in motivazione id. Sez. U -, Sentenza n. 10648 del 02/05/2017 , in motivazione , a tal fine concorrendo anche le norme del processo aventi funzione acceleratoria attraverso la eliminazione di attività e tempi eccedenti quelli strettamente necessari a pervenire in tempi brevi alla affermazione della regola di diritto diretta a conseguire la tendenziale stabilità del rapporto di dritto sostanziale, ed a realizzare quindi il valore, proprio dell’ordinamento giuridico, di garantire la certezza delle situazioni giuridiche . In tale contesto occorre collocare anche la riforma del primo comma dell’art. 429 c.p.c. disposta dall’art. 53, comma 2, del DL 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008 n. 133. Come noto la norma del rito speciale del lavoro richiamata nell’art. 447 bis c.p.c.-prevedeva originariamente che il Giudice pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo . Indipendentemente dalla collocazione della norma in un sistema processuale volto a pervenire nel tempo più breve possibile alla decisione definitiva, attesa la rilevanza sociale della materia e degli interessi facenti capo alle parti del rapporto di lavoro, la scissione operata dalla norma tra il momento della pronuncia e quello del deposito della sentenza , da effettuare come previsto dall’art. 430 c.p.c. entro quindici giorni dalla pronuncia , era funzionale alla attribuzione ex lege di efficacia di titolo esecutivo al mero dispositivo di condanna, letto in udienza, pur in pendenza del termine per il deposito della sentenza art. 431, comma 2, c.p.c. , mentre rimaneva ferma la disciplina della pubblicazione della sentenza che doveva presentare i requisiti di validità prescritti dall’art. 132, comma 1 e 2, c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c. mediante deposito in Cancelleria ex art. 133, comma 1, c.p.c., momento assunto come rilevante dall’art. 327, comma 1, c.p.c. anche ai fini del dies a quo di decorrenza del termine cd. lungo per la proposizione della impugnazione avverso la sentenza. La questione della compatibilità della disciplina del rito speciale relativa alla lettura del dispositivo ed al successivo deposito della sentenza, con l’applicazione della norma dell’art. 281 sexies c.p.c. inserita nel Capo III bis del Titolo I del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 68 del Dlgs 19 febbraio 1998 n. 51, e che prevede la facoltà attribuita al Giudice del Tribunale in composizione monocratica di definire il giudizio alla stessa udienza di discussione, mediante la pronuncia della sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione , intendendosi in tal caso la sentenza pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che la contiene , fatto salvo l’immediato deposito in Cancelleria art. 281 sexies, comma 2, c.p.c. , è stata risolta positivamente da questa Corte che, sul presupposto della differente disciplina prevista dall’art. 429 c.p.c. implicante la scissione della fase della lettura del dispositivo in udienza da quella del deposito in Cancelleria della motivazione della sentenza e dall’art. 281 sexies c.p.c. che tale scissione non contempla, attesa la compresenza già al momento della lettura in udienza di tutti gli elementi costitutivi della sentenza ex art. 132 c.p.c., e specificamente dell’apparato logico a fondamento del decisum , ha ritenuto applicabile quest’ultima norma anche al rito del lavoro, evidenziandone l’analogia in funzione del medesimo scopo acceleratorio sotteso alle due norme processuali, e rilevando che nel rito del lavoro, essendo vietate le udienze di mero rinvio e non essendo prevista un’udienza di precisazione delle conclusioni ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata, oltre che all’ammissione ed assunzione di eventuali prove, alla discussione orale e, quindi, alla pronuncia della sentenza ed alla lettura del dispositivo cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 9235 del 20/04/2006 id. Sez. L, Sentenza n. 13708 del 12/06/2007 . Dopo la modifica introdotta dalla riforma del 2008 al primo comma dell’art. 429 c.p.c., gli elementi differenziali delle due norme che giustificavano la diversa disciplina degli effetti della lettura in udienza della sentenza debbono ritenersi venuti meno, in quanto in entrambi i casi il Giudice definisce il giudizio mediante la lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni in diritto e fatto della decisione non assumendo in contrario alcuna valenza discriminante l’aggettivo concisa esposizione che compare soltanto nell’art. 281 sexies c.p.c., tanto più in considerazione della modifica dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c. disposta, rispettivamente, dagli artt. 45. comma 17, e 52, comma 5, della legge 18 giugno 2009 n. 69 che ha previsto, in via generale, che le sentenze debbono riportare la concisa esposizione delle ragioni in fatto e di diritto della decisione consistente come puntualizzato nella norma di attuazione nella – succinta esposizione dei,fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi . Il Collegio è consapevole delle diverse tesi prospettate in dottrina, dopo la riforma del 2008 dell’art. 429 c.p.c., volte ad individuare gli effetti processuali da attribuire alla sentenza, composta da dispositivo e motivazione, letta in udienza, nonostante la permanenza della originaria norma di cui all’art. 430 c.p.c. che stabilisce il termine di giorni quindici dalla pronuncia per il deposito della sentenza in Cancelleria , e che si articolano secondo un arco che va dall’affermazione di una sostanziale irrilevanza del contenuto precettivo della modifica normativa intesa soltanto a rendere più chiaro alle parti il dispositivo, ritenendosi insuperabile l’argomento letterale dell’art. 430 c.p.c. e la mancanza di una espressa disposizione analoga a quella dell’art. 281 sexies, comma 2, c.p.c. alla ipotesi ricostruttiva della progressione delle fasi della pubblicazione della sentenza che assume rilevanza esterna al momento della lettura art. 429co1 c.p.c. e meramente interna al momento del deposito art. 430 c.p.c. , spiegando la prima fase effetti di natura preclusiva sulla seconda impedendo una correzione od integrazione delle ragioni poste a fondamento della decisione ed esposte concisamente con la lettura in udienza, nonché un riesame delle questioni anche pregiudiziali esplicitamente od implicitamente già decise fino alla tesi che sostiene la parificazione della disciplina normativa della pubblicazione della sentenza, dovendo intendersi limitata l’applicazione dell’art. 430 c.p.c. lasciato immodificato dalla riforma a quei soli casi in cui il Giudice non abbia dato lettura contestuale delle ragioni in fatto e diritto della pronuncia, perché ha inteso differire il deposito della motivazione, trattandosi di causa particolarmente complessa 429 comma 1, seconda parte, c.p.c. In caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza ” disposizione anch’essa introdotta dal DL n. 112/2008 , omettendo tuttavia di determinare il termine del differimento in tal caso la lacuna verrebbe ad essere colmata dalla norma sussidiaria dell’art. 430 c.p.c. che dispone l’effettuazione del deposito della sentenza entro quindici giorni successivi alla pronuncia in udienza. La tesi della piena equiparazione delle due norme processuali, ai fini della pubblicazione della sentenza, è stata già affermata anche da questa Corte in relazione a controversia su rapporto di lavoro cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 24805 del 07/12/2015 id. Sez. L -, Sentenza n. 13617 del 30/05/2017 , essendosi osservato al riguardo che tale soluzione è applicabile anche all’analoga disciplina introdotta per il rito del lavoro dall’art. 429 1 c. c.p.c., come modificato dall’art. 53 comma 2 del D.L. n. 112 del 2008, conv. nella L. 133 del 2008, in mancanza di diversa previsione ed atteso che l’art. 430 c.p.c. si riferisce ormai ai soli casi in cui il giudice non dia contestuale lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza, ovverosia qualora, attesa la particolare complessità della controversia, egli decida di limitarsi alla lettura del dispositivo . Corte cass. n. 24805/2015 cit. in motivazione . La soluzione interpretativa deve essere condivisa in quanto conforme ai principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso. Deve essere, infatti, disattesa la tesi volta deprivare la norma del DL n. 112/2008 modificativa dell’art. 429, comma 1, c.p.c. di un significato precettivo innovativo, considerandola alla stregua di enunciato meramente descrittivo del contenuto della sentenza che si aggiunge, completandola alla disposizione preesistente tale operazione interpretativa è solo apparentemente osservante del principio ermeneutico letterale, in quanto oltre a pervenire ad un risultato non corrispondente alla efficacia integrativa dell’ordinamento giuridico nella specie processuale da riconoscere alle fonti-atto costituite dalla legge formale, prescinde del tutto dalla ricostruzione del significato precettivo della norma richiesta all’interprete dall’art. 12 disp. prel. c.c. attraverso il criterio logico-sistematico e della ricerca della voluntas legis , dovendo privilegiare l’interprete, tra le possibili soluzioni, quella che consenta di attribuire alla norma una capacità innovativa -conforme allo scopo perseguito dal Legislatore e compatibile con i valori costituzionali piuttosto che quella intesa a disconoscerne un contenuto modificativo dell’ordinamento preesistente, ritenendo meramente superflua la disposizione che ha aggiunto l’obbligo del Giudice di dare lettura in udienza anche della ragioni in fatto ed in diritto della decisione. E la ricerca del contenuto precettivo della norma introdotta con la riforma legislativa del 2008 non può prescindere dal parametro fondamentale costituito dal principio di strumentalità che informa tutte le norme processuali, in quanto applicative di regole formali che non esauriscono in sé il contenuto di senso, ma che lo sostanziano soltanto in funzione dello specifico scopo cui sono preordinate le condotte prescritte alle parti ed al giudice. Con la conseguenza che, non disvelando immediatamente la norma modificativa, in base alla sola lettura del contenuto semantico della proposizione aggiunta al testo dell’originario primo comma dell’art. 429 c.p.c., la funzione teleologica ad essa sottesa, il senso normativo della stessa non può che essere rinvenuto per via sistematica, avuto riguardo alla comparazione analogica con la funzione acceleratoria connessa alla norma preesistente e di contenuto del tutto identico dell’art. 281 sexies c.p.c Vale osservare al proposito quanto segue La Sezione lavoro di questa Corte aveva reputato compatibili nel rito lavoro l’art. 429 c.p.c. e l’art. 281 sexies c.p.c., proprio in base alla originaria differenza degli schemi normativi della pubblicazione della sentenza il primo si articolava secondo una fattispecie bifasica lettura dispositivo-deposito motivazione , mentre il secondo perveniva allo stesso risultato attraverso la fase unitaria della lettura in udienza del dispositivo e della motivazione integrando un modello decisionale acceleratorio rispetto al 429 c.p.c. una volta venuta meno la indicata distinzione nello schema normativo della pubblicazione della sentenza, non appare coerente mantenere nel rito del lavoro la fattispecie bifasica, essendo identica ormai la struttura della decisione finale, perfetta al momento della lettura in udienza in tutti i suoi elementi essenziali ex art. 132 c.p.c. e 118 disp. att. dispositivo e motivazione anche nel novellato art. 429 c.p.c Risulterebbe incoerente con lo scopo prefisso dal Legislatore nella relazione illustrativa DL n. 112/2008 snellimento delle procedure, abbreviazione dei tempi del processo ritenere che la modifica introdotta dal DL n. 112/2008 non abbia modificato il sistema di pubblicazione della sentenza previgente in particolare non è dato individuare un’altra soddisfacente ratio legis sottesa alla modifica del 429, comma 1, c.p.c. meramente tautologica appare l’affermazione pur sostenuta in dottrina che la modifica normativa introdurrebbe un ulteriore elemento di validità della pronuncia in udienza non essendo esplicato, infatti, quale sia in base al principio di strumentalità delle forme processuali lo scopo cui viene ad assolvere l’elemento integrativo della pronuncia in udienza, rispetto agli effetti già previsti dalla norma previgente , mentre la scelta ulteriormente acceleratoria è conforme all’art. 111 commi 1 e 2 Cost La mancata modifica dell’art. 430 c.p.c. è coerente con il mantenimento dello schema bifasico di pubblicazione della sentenza, fondato sulla lettura del solo dispositivo in udienza ed il differimento -ad un termine successivo, non superiore a giorni sessanta del deposito della sentenza, nei casi in cui la causa si palesi particolarmente complessa ex art. 429 comma 1, seconda parte, c.p.c., venendo in applicazione in via sussidiaria l’art. 430 c.p.c., in quanto diretto a supplire alla omessa determinazione da parte del Giudice del termine di differimento. Il collocamento topografico, all’interno dell’art. 429 c.p.c., piuttosto che dell’art. 430 c.p.c. -in teoria deputato ratione materiae -, del potere del Giudice di differimento del deposito della sentenza, può trovare coerente spiegazione proprio nel fatto che si è inteso evidenziare la funzione antagonista delle nuova disposizione, introdotta dal DL n. 112/2008 rispetto alla previgente disposizione che immediatamente precede nel medesimo primo comma dell’art. 429 c.p.c., laddove la distinzione viene ad operare proprio sul piano del perfezionamento della pubblicazione della sentenza. La mancata reiterazione nell’art. 429 c.p.c. di una disposizione analoga a quella dell’art. 281 sexies, comma 2, c.p.c. che riconosce espressamente la equipollenza della lettura in udienza alla pubblicazione della sentenza , non è di ostacolo alla ritenuta parificazione degli effetti riconducibili alla pronuncia in udienza resa ai sensi dell’art. 429 c.p.c. e dell’art. 281 sexies c.p.c., solo che si consideri come lo schema normativo per così dire monofasico di pubblicazione della sentenza è stato ritenuto esportabile, in quanto espressione di una funzione acceleratoria del processo conforme alla attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, anche in ambiti giudizio di appello diversi da quelli esplicitamente considerati dalla norma giudizio di primo grado avanti il Tribunale in composizione monocratica , e ciò anche prima dell’intervento normativo della legge 12 novembre 2011, n. 183 che, modificando l’art. 352 c.p.c., ha esplicitamente dichiarato applicabile tale norma al giudizio di appello cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6205 del 13/03/2009 id. Sez. 6 3, Ordinanza n. 2024 del 27/01/2011 . La soluzione interpretativa volta a parificare gli effetti della pronuncia in udienza resa ai sensi degli artt. 429 comma 1 c.p.c. e 281 sexies c.p.c. appare conforme, inoltre, alla scelta compiuta dal Legislatore nel senso di imprimere una ulteriore accelerazione alla definizione del giudizio disciplinato dal rito del lavoro, anticipando gli effetti della decisione finale con la eliminazione dei tempi tecnici connessi alla fase del deposito in Cancelleria e della comunicazione della sentenza. Nella relazione di accompagnamento al disegno di legge presentato dal Presidente del consiglio dei ministri Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria viene, infatti, evidenziato come l’intervento normativo, diretto ad una razionalizzazione del processo del lavoro, al fine di garantire una maggiore trasparenza e soprattutto tempi certi per la decisione, stabilisce che, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, il giudice non solo debba dare lettura del dispositivo ma debba esporre anche le ragioni di fatto e di diritto della decisione. Per ottimizzare i tempi anche in casi particolarmente complessi deve essere fissato nel dispositivo un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito della sentenza , risultando pertanto confermato anche alla stregua del criterio della voluntas legis la nuova portata precettiva da attribuire all’art. 429 c.p.c. riformato. Le considerazioni che precedono consentono, pertanto, di risolvere la questione di diritto posta all’esame di questa Corte in base al seguente principio di diritto Nelle materie in cui trova applicazione il rito del lavoro, giusto il richiamo disposto dall’art. 447 bis c.p.c., in seguito alla modifica del primo comma dell’art. 429 c.p.c. disposta dall’art. 53, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv., con modif., dalla l. n. 133 del 2008 applicabile ai giudizi instaurati dopo la entrata in vigore della legge -, la lettura in udienza del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione , in quanto conforme allo statuto degli elementi di validità della sentenza prescritti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., equivale a pubblicazione della sentenza, con esonero della comunicazione di Cancelleria, analogamente a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 281 sexies c.p.c., essendo identica la funzione acceleratoria del processo cui entrambe le norme di legge risultano preordinate in funzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex art. 111, comma 2, Cost., non ostandovi la diposizione dell’art. 430 c.p.c. secondo cui la sentenza deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia atteso che la stessa deve essere coordinata con la diposizione della seconda parte del primo comma dell’art. 429 c.p.c. introdotta dal DL n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008 che mantiene la struttura bifasica della pubblicazione della sentenza nel caso di controversie di particolare complessità per le quali il giudice, letto il dispositivo in udienza, disponga il differimento del deposito della motivazione al termine stabilito, operando l’art. 430 c.p.c. in via meramente sussidiaria nel caso in cui venga omessa la indicazione del termine di differimento. Consegue che il dies a quo di decorrenza del termine cd. lungo di decadenza per la proposizione della impugnazione, previsto dall’art. 327 c.p.c. con riferimento alla pubblicazione della sentenza, deve essere individuato alla stessa data della udienza in cui è stato definito il giudizio, dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, con conseguente conoscenza legale del provvedimento, ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., per le parti presenti o che avrebbero dovuto comparire alla udienza . Tanto premesso la sentenza di appello, che ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da D.H.B. e da D.V.R. , con ricorso depositato in data 15.4.2014, oltre il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorrente dalla data della lettura del dispositivo e delle ragioni in fatto e diritto della decisione, a verbale di udienza del 13.11.2013, deve ritenersi esente da censura, in quanto conforme all’enunciato principio di diritto. Il ricorso va inconseguenza rigettato. La assoluta novità della questione trattata consente di dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.