Irrilevante il fine lecito della movimentazione di contanti

Le regole che disciplinano le sanzioni amministrative non sono quelle previste per il diritto penale.

Così la Cassazione con l’ordinanza n. 10147/18, depositata il 26 aprile. Il caso. Un soggetto, persona fisica, effettuava operazioni in contanti oltre il limite consentito. Per tale violazione riceveva ordinanza di ingiunzione avverso la quale veniva proposta opposizione. Il Tribunale respingeva l’opposizione. Parte soccombente ha proposto ricorso per cassazione. La regola. È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in lire o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore da trasferire è complessivamente superiore a 12.500 euro. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite degli intermediari abilitati. Si valuta l’intento del soggetto che effettua operazioni in contati? Parte della linea difensiva del soggetto destinatario della ingiunzione di pagamento, ha sostenuto che la condotta non era punibile perché l’intento non era doloso e finalizzato al riciclaggio. La Cassazione ha respinto la tesi ed affermato il seguente principio la finalità di controllo del movimento di denaro in contanti al disopra di un dato importo viene perseguita con una disciplina avente carattere generale-preventivo, al fine di predisporre una difesa avanzata avverso movimentazione di contanti, le quali, per la spiccata attitudine ad eludere la tracciabilità dei passaggi, si prestano ad una vasta congerie di finalità illecite senza che rilevi il fine effettivamente lecito dell’operazione . Si segnala In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'art. 190 del d.lgs., n. 58/1998, individuando una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ancora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l'indagine sull'elemento oggettivo dell'illecito all'accertamento della suità della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza - Cass. SS.UU. n. 20930/09. L’accertamento grava sull’autorità amministrativa. Nell'ambito del procedimento di opposizione avverso la sanzione amministrativa irrogata per la violazione di norme in materia di intermediazione finanziaria nella specie, delle regole sui servizi di investimento , incombe sull'amministrazione convenuta in giudizio l'onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata una volta dimostrata la ricorrenza della fattispecie tipica dell'illecito, spetta all'opponente che voglia andare esente da responsabilità dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza - Cass. SS.UU. n. 20930/09. La prova dell’incolpevolezza, ribadiscono i Giudici di legittimità, deve essere fornita dall’incolpato. Si segnala In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l'opposizione prevista dall'art. 195 del d.lgs. n. 58/1998 dà luogo, non diversamente da quella di cui agli art. 22 e 23 l. n. 689/1981, ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell'Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita. Tale prova può essere offerta anche mediante presunzioni semplici, che, nel caso di illecito omissivo, pongono a carico dell'intimato l'onere di fornire la prova di aver tenuto la condotta attiva richiesta, ovvero della sussistenza di elementi tali da rendere inesigibile tale condotta – Cass. SS.UU. n. 20930/09. Con queste argomentazioni è stato respinto il ricorso e confermata la sanzione amministrativa.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 18 gennaio – 26 aprile 2018, n. 10147 Presidente Picaroni – Relatore Grasso Fatto e diritto ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Firenze rigettò l’impugnazione proposta M.I. e B.S. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, la quale aveva rigettato l’opposizione dai predetti avanzata avverso le ordinanze ingiunzioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze con le quali era stato loro contestata la violazione dell’art. 1, comma 1 del d.l. n. 143/1991, convertito nella legge n. 197/1991, per avere effettuato transazioni finanziarie in contanti oltre il limite consentito il M. , secondo la Corte d’appello, dopo aver, in più riprese, prelevato dal proprio conto corrente la complessiva somma di Lire 1.105.000.000, consegnava l’importo al B. , il quale lo versava sul proprio conto e, indi, emetteva assegni circolari di pari ammontare in favore di P.V. , in relazione ad una compravendita conclusa tra la venditrice P. e l’acquirente M. considerato che il ricorso di M.I. è manifestamente destituito di giuridico fondamento per le ragioni di cui appresso a con le prime due censure, fra loro correlate, il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, d.l. n. 143/1991, convertito nella l. n. 197/1991, assumendo che il denaro prelevato dal M. dal proprio conto corrente e da quello intestato alla moglie sul quale poteva operare per delega era stato utilizzato per l’acquisto del complesso immobiliare di proprietà della P. e che tutti i passaggi del suddetto denaro sono chiari il Sig. M.I. ha prelevato il denaro, lo ha semplicemente e meramente consegnato al Sig. B. per svolgere un preciso compito ed attività richiedere l’emissione di assegni circolari non trasferibili intestati a favore della parte venditrice Sig.ra P.V. e riconsegnarli al M. ” che la figura dell’illecito non era rimasta integrata, non essendo stato effettuato versamento sul conto corrente del B. , essendo servita la provvista quale mezzo per consentire al mandatario di dare esecuzione al mandato, tanto che tutta l’operazione si era conclusa al massimo in un giorno che la parte venditrice aveva dichiarato di non aver ricevuto somme in contanti, ciò significando che era stata pagata in assegni e non v’era stato trasferimento di denaro contante dal M. al B. b aveva errato la Corte fiorentina nel reputare che la previsione sanzionatoria prescindesse dall’accertata natura illecita dell’operazione, stante che il fine della legge consisteva nel prevenire il riciclaggio, siccome reso evidente dalla premessa di cui al decreto legge di cui s’è detto c con il terzo motivo, anch’esso denunziante violazione o falsa applicazione della l. n. 689/1981, deducendosi che l’illecito amministrativo si caratterizza per la sua connotazione punitiva” e deve essere regolato dai principi valevoli per il diritto penale, dovendosi ritenere la buona fede, sulla base delle emergenze istruttorie, l’ipotesi sanzionatoria non avrebbe potuto configurarsi d la prospettazione secondo la quale nel caso in cui risulti escluso peraltro una tale conclusione costituisce un mero assioma congetturale del ricorrente, sostenuto da un ricostruzione fattuale non autosufficiente, quantomeno contorta e farraginosa il doloso fine di far luogo ad una operazione di riciclaggio debba escludersi l’integrazione della violazione amministrativa è destituita di giuridico fondamento, dovendosi affermare opposto principio nei termini seguenti la finalità di controllo dei movimenti di denaro in contanti al di sopra di un dato importo viene perseguita dalla legislazione di cui in discorso con una disciplina avente carattere generai-preventivo, posta al fine di predisporre una difesa avanzata in relazione a rilevanti movimentazioni in contanti, le quali, per la spiccata attitudine ad eludere la tracciabilità dei passaggi, si prestano ad una vasta congerie di finalità illecite, senza che rilevi la circostanza che, in concreto, il fine perseguito non sia risultato illecito, potendo, per contro, costituire la illiceità del fine motivo d’ulteriori rimproveri, a seconda dei casi, di natura amministrativa, tributaria o penale e anche a non voler tener conto dell’irriducibile genericità del terzo motivo, il quale non si perita d’indicare la norma rimasta asseritamente violata, devesi riaffermare che la prova dell’incolpevolezza giammai dell’ignoranza legis e a carico dell’incolpato cfr. Sez. L. n. 19242/2002 S.U. n. 20930/2009 Sez. 2 n. 18751/2016 , non potendosi mutuare le regole valevoli per il diritto penale per le violazioni amministrative considerato che spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo in favore del Ministero controricorrente, tenuto conto del valore e della pulita della causa, nonché delle attività espletate. considerato che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12 applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.