I beneficiari non titolari di una posizione soggettiva creditoria sui beni in trust, non sono legittimati passivi nell’azione revocatoria

L’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee. Conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9637/18, depositata il 19 aprile. Il caso. Un avvocato conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa, un uomo, la moglie e i tre figli della coppia chiedendo che fosse dichiarato inefficace, nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., un atto pubblico notarile con il quale l’uomo costituiva un trust a beneficio dei figli, nominando la moglie come trustee. Il legale affermava, in base a una sentenza irrevocabile, di essere creditore dell’uomo per una cospicua somma di denaro e riteneva che la costituzione del trust pregiudicasse le proprie ragioni creditorie. I convenuti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea. Intervenivano nella lite anche altre parti che, assumendo di vantare un credito nei confronti dell’uomo, proponevano domanda di revocatoria dello stesso atto. Il giudice di prime cure si pronunciava dichiarando inefficace l’atto di costituzione del trust e condannava i coniugi convenuti al pagamento delle spese di lite. Avverso la decisione del Tribunale i convenuti proponevano due distinti appelli dinanzi alla Corte di Appello di Venezia la quale, nel 2015, dopo aver riunito i due ricorsi si pronunciava rigettandoli e confermando la decisione di primo grado, condannando gli appellanti, in solido, alla rifusione delle ulteriori spese. Ad avviso della Corte territoriale i crediti vantati dall’avvocato attore e dagli altri intervenuti si basavano tutti su provvedimenti giudiziali anteriori all’atto di costituzione del trust che, al pari del fondo patrimoniale, era destinato a creare un patrimonio separato finalizzato ad uno scopo. La finalità dell’uomo era quella di trasferire i suoi beni al trustee senza alcun corrispettivo e questa circostanza ne evidenziava la natura di atto gratuito. Ma l’intento dell’uomo di sottrarre i beni conferiti nel trust alla garanzia dei creditori era dimostrata dal fatto che l’uomo si era riservato la facoltà di sostituire liberamente sia il trustee che i beneficiari. Per tale motivo, i Giudici della Corte d’Appello avevano confermato il ragionamento svolto dal Tribunale ad avviso del quale, sostanzialmente, l’uomo aveva provveduto alla costituzione di un trust al solo fine di vincolare il proprio patrimonio alle proprie esclusive esigenze, con l’intento di sottrarlo ai creditori, rendendolo apparentemente separato da sé. Contro la sentenza della Corte di Appello di Venezia i coniugi e i figli proponevano ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi. L’avvocato e un interveniente nella lite resistevano in giudizio con autonomi controricorsi. Patrimonio residuo. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti si dolevano del fatto che la Corte d’Appello, a fronte di un credito alquanto modesto degli attori, non aveva considerato che il patrimonio residuo dell’uomo fosse tale da consentire ampiamente la soddisfazione delle ragioni dei creditori. I Supremi Giudici, ribadendo quanto affermato già in precedenti pronunce, sostengono che compete al debitore – al fine di sottrarsi agli effetti dell’azione revocatoria - provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore, cosa che, peraltro, non era avvenuta. Con il secondo motivo i ricorrenti sostenevano che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere che il conferimento di beni in trust fosse un contratto atipico e, come tale, bisognoso di tutela in termini di meritevolezza dell’interesse, costituendo, invece un contratto regolato dalla l. n. 364/89 che ha ratificato e dato esecuzione in Italia alla Convenzione dell’Aja del 1985, relativa alla legge sul trust ed al suo riconoscimento. Pur se esatto il rilievo giuridico, la sentenza impugnata resiste alle censure mosse e, dunque, il motivo viene ritenuto infondato. Con il terzo motivo i ricorrenti eccepivano un difetto di legittimazione passiva dei figli della coppia, peraltro fatto valere fin dal primo grado. In particolare, si censurava l’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui sussisterebbe in capo ai figli un interesse di fatto alla lite. Tuttavia, poiché nessun atto di disposizione era stato effettuato nei loro confronti ed essendo altresì prevista, nell’atto di conferimento in trust, la possibilità di modificare i beneficiari, essi non avevano alcun interesse alla partecipazione al giudizio. La Corte di Cassazione ritiene il motivo fondato e afferma - richiamando una precedente sua pronuncia del 2017 – che l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall'atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee. Conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell'azione revocatoria avente ad oggetto i beni in trust, spettando invece la legittimazione, oltre al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi. In sintesi - osserva il Collegio – la Corte veneziana, riprendendo il giudizio del Tribunale, ha espressamente e giustamente riconosciuto che i beneficiari avevano un interesse di mero fatto in relazione alla domanda revocatoria e, dunque, non essendo titolari di una propria posizione soggettiva di natura creditoria sui beni in trust, non sono legittimati passivi nel giudizio per la revocatoria del conferimento in trust. In conclusione. I Giudici della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il primo e il secondo motivo di ricorso e accolgono, invece, il terzo cassano la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, dichiarano inammissibile la domanda avanzata nei confronti dei tre figli della coppia, mentre condannano i due coniugi al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Danno atto, altresì, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei due ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 11 gennaio – 19 aprile 201, n. 9637 Presidente Di Amato – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. L’avv. D.P.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bassano del Grappa, M.B. , sua moglie B.M. ed i loro figli M.W. , M. e Mo. , chiedendo che fosse dichiarato inefficace nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., l’atto pubblico notarile col quale M.B. aveva costituito il trust a beneficio dei figli, nominando la moglie come trustee. A sostegno della domanda espose di essere creditrice di M.B. in base ad una sentenza irrevocabile per la somma di Euro 11.806,89 e che l’atto di costituzione del trust pregiudicava le sue ragioni di credito. Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Intervennero nella lite il geom. Mu.Mi. ed i coniugi H.L. e Me.Sr. , tutti in qualità di creditori di M.B. , proponendo anch’essi domanda di revocatoria del medesimo atto. Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò l’inefficacia dell’atto di costituzione del trust e condannò i coniugi M. e B. al pagamento delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata, con due diversi atti, da M.B. , da B.M. e dai figli suindicati e la Corte d’appello di Venezia, con sentenza dell’8 gennaio 2015, riuniti gli appelli, li ha tutti rigettati, ha confermato la decisione del Tribunale ed ha condannato gli appellanti, in solido, alla rifusione delle ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale, innanzitutto, che le posizioni dei singoli convenuti dovevano essere tra loro distinte, perché la B. era portatrice di un preciso interesse giuridico nella sua qualità di trustee e, pertanto, litisconsorte necessario mentre i figli, pur non potendo essere ritenuti anch’essi litisconsorti necessari, erano titolari di un interesse di fatto alla partecipazione alla causa, poiché essa andava ad incidere su un beneficio costituito formalmente a loro favore . Passando al merito della domanda di revocatoria, la Corte d’appello ha rilevato che tutti i crediti vantati dall’originaria attrice e dagli intervenuti si fondavano su provvedimenti giudiziali anteriori rispetto alla costituzione del trust atto, quest’ultimo, da ritenere a titolo gratuito ai fini dell’azione revocatoria, in quanto idoneo a costituire un patrimonio separato finalizzato ad uno scopo, analogamente a quanto avviene per il fondo patrimoniale di cui all’art. 167 del codice civile. Era evidente, del resto, che la finalità perseguita da M.B. era quella di trasferire i suoi beni al trustee senza alcun corrispettivo, per cui ne era confermata la natura di atto gratuito. Quanto alla finalità di sottrarre i beni conferiti nel trust alla garanzia per i creditori, essa risultava dimostrata dal fatto che il preponente si era riservato il potere di sostituire a suo piacimento sia il trustee che i beneficiari per cui poteva sostenersi che, nella realtà, i beni rimanevano nella disponibilità di M.B. , risultando così confermata la validità del ragionamento svolto dal Tribunale, secondo cui l’unico scopo dell’atto in contestazione era quello di vincolare il proprio patrimonio alle proprie esclusive esigenze e contemporaneamente sottrarlo ai creditori, rendendolo apparentemente altro da sé . Doveva pertanto escludersi, alla luce della disposizione dell’art. 1322 cod. civ., che l’atto di costituzione in trust fosse meritevole di riconoscimento da parte dell’ordinamento nazionale. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia propongono ricorso M.B. , B.M. , M.W. , M. e Mo. con un unico atto affidato a tre motivi. Resistono con separati controricorsi l’avv. D.P.M. ed il geom. Mu.Mi. . H.L. e Me.Sr. non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Le parti hanno depositato memorie. Il P.M. presso questa Corte ha presentato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del terzo motivo di ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2901 cod. civ., dell’art. 183 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Osservano i ricorrenti che nell’azione revocatoria è onere di chi agisce dimostrare la sussistenza delle condizioni fissate dalla legge per la sua effettiva esperibilità. Nella specie la Corte d’appello, facendo un uso scorretto della prova presuntiva, non avrebbe tenuto in considerazione che, a fronte di un credito degli attori assai modesto, il patrimonio residuo di M.B. era tale da soddisfare ampiamente le ragioni dei creditori, per cui la domanda avrebbe dovuto essere rigettata. 1.1. Il motivo, che presenta evidenti profili di inammissibilità, è comunque privo di fondamento. I ricorrenti, infatti, si limitano genericamente a sostenere che la Corte di merito non avrebbe adeguatamente considerato la circostanza per cui il residuo patrimonio di M.B. era tale da costituire una sicura garanzia per il creditore. Nel compiere simile affermazione, però, il ricorso fa riferimento alla mole cospicua del residuo patrimonio del disponente, certamente rimasto a disposizione dei creditori , senza tuttavia indicare quale sia tale patrimonio e, soprattutto, senza specificare se e in quali termini la questione sia stata posta al giudice di merito. Non a caso, infatti, la controricorrente D.P. ha contestato che tale documentazione sia stata prodotta nei gradi precedenti del giudizio. Ad ogni modo, anche volendo mettere da parte questo evidente profilo di inammissibilità, il motivo in esame censura genericamente l’uso della prova presuntiva - che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è ammissibile ai fini della valutazione di fondatezza della domanda di revocatoria - tentando di ottenere in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito. Quanto, poi, all’onere della prova circa l’effettiva consistenza del residuo patrimonio del debitore, essa grava a carico di quest’ultimo, com’è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte sentenze 29 marzo 2007, n. 7767, e 3 febbraio 2015, n. 1902 , per cui nessuna violazione di legge è configurabile sotto tale profilo. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione dell’art. 1322 cod. civ., della legge 16 ottobre 1989, n. 364, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostengono i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe errato nel sostenere che il conferimento di beni in trust sia un contratto atipico e, come tale, bisognoso di tutela in termini di meritevolezza dell’interesse. Il trust è, invece, un contratto regolato dalla legge che ha recepito la Convenzione dell’Aja del 10 luglio 1985. Richiamando le previsioni dell’atto di conferimento, i ricorrenti osservano che M.B. aveva riservato a sé soltanto il potere di nominare e revocare il trustee in qualsiasi momento la garanzia per i creditori non veniva, però, ad essere intaccata dal conferimento in sé, bensì dal successivo trasferimento dei beni al trustee. Da tanto consegue che la domanda di revocatoria avrebbe dovuto essere rigettata. 2.1. Il motivo non è fondato, anche se la sentenza impugnata deve essere corretta in parte nella sua motivazione. La Corte di merito - dopo aver correttamente rilevato che il conferimento in trust ha natura di atto a titolo gratuito la cui funzione è quella di costituire un patrimonio separato, analogamente a quanto avviene con il fondo patrimoniale tra coniugi art. 167 cod. civ. - ha poi aggiunto che il trust, non essendo un contratto tipico, deve essere valutato, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., al fine di stabilire se corrisponda o meno ad una finalità meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico interno. Tale ulteriore rilievo è errato, perché, come ha giustamente rilevato il motivo in esame, la valutazione astratta della meritevolezza di tutela è stata compiuta, una volta per tutte, dal legislatore. La legge 16 ottobre 1989, n. 364 Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 luglio 1985 , infatti, riconoscendo piena validità alla citata convenzione dell’Aja, ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all’istituto in oggetto, per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 cod. civ. nella premessa alla Convenzione si afferma espressamente che si tratta di un istituto tipico dei Paesi di common law, adottato però anche da altri Paesi con alcune modifiche . L’esattezza di tale rilievo giuridico non giova però ai ricorrenti, perché la sentenza impugnata resiste alle censure di cui al motivo in esame. La Corte veneziana, infatti, ha chiarito le ragioni per cui ha accolto la domanda di revocatoria, tra l’altro specificando che l’atto in questione era da ritenere a titolo gratuito, che i crediti erano anteriori all’atto di costituzione del trust e che era evidente l’uso strumentale del conferimento, posto che M.B. si era riservato la facoltà di sostituire a suo piacimento sia il trustee che i beneficiari, rimanendo nella sostanza pienamente padrone di quei beni che venivano in tal modo sottratti alla garanzia dei creditori. Questa ricostruzione della vicenda è in armonia con il principio affermato da questa Corte nella recente sentenza 3 agosto 2017, n. 19376, circa la natura di atto gratuito del conferimento in trust ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria, principio cui l’odierna pronuncia intende dare continuità. Ed è chiaro che la conservazione di simili penetranti poteri in capo al conferente settlor rappresenta qualcosa di ben più significativo rispetto alla semplice consapevolezza di arrecare un pregiudizio ai creditori né può addebitarsi alla Corte d’appello di aver desunto la prova dell’elemento psicologico dall’interpretazione delle clausole valide dell’atto di conferimento in trust. Il motivo in esame, del tutto silente in ordine all’insieme delle argomentazioni poste dalla Corte d’appello a sostegno del rigetto dell’appello, risulta perciò infondato. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 112 cod. proc. civ. oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il motivo è incentrato sul problema del presunto difetto di legittimazione passiva dei figli di M.B. , pure ricorrenti. Si sostiene, al riguardo, che il loro difetto di legittimazione passiva era stato eccepito fin dal primo grado, ma che né il Tribunale né la Corte d’appello avevano riconosciuto tale circostanza. Il motivo censura l’affermazione della sentenza secondo cui sussisterebbe in capo ai figli un interesse di fatto alla lite. In realtà, invece, nessun atto di disposizione è stato compiuto nei confronti degli stessi e l’atto di conferimento in trust aveva stabilito la possibilità anche di modificarne i beneficiari, per cui essi non avevano alcun interesse alla partecipazione al giudizio. 3.1. Il motivo è fondato. La già menzionata sentenza di questa Corte n. 19376 del 2017 ha affermato che l’interesse alla corretta amministrazione del patrimonio in trust non integra una posizione di diritto soggettivo attuale in favore dei beneficiari ai quali siano attribuite dall’atto istitutivo soltanto facoltà, non connotate da realità, assoggettate a valutazioni discrezionali del trustee conseguentemente, deve escludersi che i beneficiari non titolari di diritti attuali sui beni siano legittimati passivi e litisconsorti necessari nell’azione revocatoria avente ad oggetto i beni conferiti nel trust, spettando invece la legittimazione, oltre che al debitore, al trustee, in quanto unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi. Con la successiva ordinanza 25 maggio 2017, n. 13175, pronunciata su di un ricorso promosso dai medesimi odierni ricorrenti in relazione allo stesso conferimento in trust, questa Corte ha rigettato, fra gli altri, anche un motivo il terzo col quale i ricorrenti avevano contestato la pronuncia ivi impugnata per avere essa riconosciuto uno specifico interesse dei beneficiari del trust a resistere al giudizio. Osserva il Collegio che il principio enunciato nella sentenza n. 19376 deve trovare ulteriore conferma in sede odierna, posto che, di regola, il trustee è legittimato passivamente nell’azione revocatoria in funzione della sua titolarità di poteri di gestione sui beni, mentre i beneficiari non sono titolari di un diritto soggettivo attuale alla corretta amministrazione dei beni, a meno che l’atto di conferimento non stabilisca diversamente. Nel caso odierno la Corte veneziana, riprendendo e facendo proprio il giudizio del Tribunale, ha espressamente riconosciuto che i beneficiari avevano un interesse di mero fatto in relazione alla domanda di revocatoria, il che impone di giungere ad una conclusione diversa da quella raggiunta nell’ordinanza n. 13175 suindicata, perché in quel caso c’era stato un diverso accertamento, con il riconoscimento, in capo ai beneficiari, di una propria posizione soggettiva di natura creditoria non adeguatamente contestata in termini fattuali”. Da tanto consegue che, esclusa la sussistenza di posizioni di diritto soggettivo in capo ai beneficiari, il terzo motivo di ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione e decisione della causa nel merito, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, con declaratoria di inammissibilità della domanda avanzata nei confronti di M.W. , M. e Mo. . 4. In conclusione, sono rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso, mentre è accolto il terzo. La sentenza impugnata è cassata in relazione e la causa è decisa nel merito nei termini suindicati. A tale esito segue la condanna di M.B. e B.M. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Quanto a M.W. , M. e Mo. , le spese dell’intero giudizio devono essere compensate in considerazione dell’esito complessivo. Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti M.B. e B.M. , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, dichiara l’inammissibilità della domanda avanzata nei confronti di M.W. , M. e Mo. condanna i ricorrenti M.B. e B.M. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorsi in complessivi Euro 3.000, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge compensa le spese dell’intero giudizio nei confronti di M.W. , M. e Mo. . Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti M.B. e B.M. , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.