Invalidità della riassunzione prospettata da tutti i coeredi: la Corte d’Appello decida nel merito

Qualora si verifichi, nel processo di primo grado, un evento interruttivo del processo – nella specie, la morte di parte attrice - cui faccia seguito un invalido atto di riassunzione, il Giudice d’Appello, a cui tale invalidità venga prospettata con gravame proposto da tutti i coeredi, deve comunque decidere la causa nel merito, non potendo limitarsi ad una statuizione solo processuale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con ordinanza n. 5579/2018, depositata l’8 marzo scorso. I fatti di causa. Una signora convenne in giudizio due Ministeri, affinché fosse accertata la non demanialità di un’area occupata da tempo immemorabile e l’avvenuta acquisizione della proprietà per usucapione. Il processo venne tuttavia interrotto per morte dell’attrice e riassunto dai Ministeri convenuti nei confronti dei coeredi della signora. Di essi, si costituì un solo erede, eccependo la nullità dell’atto di riassunzione per mancanza dei requisiti della domanda, di cui al codice di rito. Censura che venne dapprima respinta dai giudici di primo grado, ma in seguito accolta – in quanto riproposta come gravame da tutti i coeredi – dalla Corte d’Appello, la quale sancì per l’appunto la nullità del ricorso in riassunzione poiché privo di riferimenti all’oggetto, la conseguente nullità della sentenza di primo grado e l’estinzione del giudizio. Avverso detta statuizione proposero ricorso in Cassazione i Ministeri interessati. Morte della parte, atto di riassunzione nullo se non contiene gli estremi della domanda. Accogliendo il ricorso, la Corte Suprema ha innanzitutto precisato che in ipotesi di interruzione del processo - come nella specie - per morte della parte, è necessario che il ricorso per riassunzione contenga gli estremi della domanda ai fini di una valida ricostruzione del contraddittorio. Esigenza che invece non sussiste allorquando, immutata la parte, l’evento interruttivo abbia riguardato ad esempio il difensore. Va in particolare ribadito che l’atto di riassunzione è nullo qualora non risponda al prescritto requisito contenutistico, con nullità eventualmente sanabile mediante la costituzione in giudizio di tutti gli eredi, e non di uno solo. Gravame di tutti gli eredi, causa da decidere nel merito. Ciò premesso tuttavia, proseguono gli Ermellini, la Corte distrettuale ha nella specie errato nel tipo di statuizione da assumere in sede d’appello, essendo stato il gravame proposto da tutti i coeredi. Va in proposito chiarito, difatti, che se ad un evento interruttivo del processo faccia seguito un invalido atto di riassunzione, il giudice d’appello, qualora detta invalidità gli venga prospettata, deve comunque decidere la causa nel merito, non potendo né rimetterla al primo giudice, né definirla – come ha fatto nel caso in esame – con statuizione solo processuale. Il citato obbligo di decidere la causa nel merito deriva dalla natura stessa dell’appello, che integra un’impugnazione sostitutiva, al punto che, solo qualora in appello non fosse stata avanzata alcuna censura nel merito contro la sentenza di primo grado, sarebbe stata corretta la decisione di secondo grado dichiarativa di inammissibilità dell’impugnazione. Ma nel caso di specie, con l’appello, sono state prospettate anche censure di merito sicché mai si sarebbe potuto definire la causa semplicemente dichiarando la nullità della sentenza di primo grado e l'estinzione del giudizio. Esercizio di poteri sostitutivi del giudice d’appello. Si può pertanto affermare - questo il principio enunciato dalla Cassazione – che la nullità degli atti successivi alla interruzione del processo, conseguente alla invalidità della riassunzione del medesimo, determina un vizio della sentenza che si converte in motivi di gravame e che postula, da parte del giudice dell’appello, l’esercizio di poteri sostitutivi propri del tipo di impugnazione. Sulla base di tale assunto, la Corte Suprema ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello competente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 20 dicembre 2017 – 8 marzo 2018, n. 5579 Presidente Campanile – Relatore Terrusi Fatto e diritto Rilevato che nell’anno 1990 P.V. convenne dinanzi al tribunale di Catanzaro il ministero delle Finanze e il ministero della Marina Mercantile, chiedendo che fosse accertata la non demanialità di un’area occupata da tempo immemorabile e l’avvenuta acquisizione della proprietà per usucapione le amministrazioni si costituirono spiegando domande riconvenzionali di rilascio e di risarcimento dei danni il processo venne interrotto per morte dell’attrice, indi fu riassunto dalle amministrazioni nei confronti degli eredi si costituì il solo erede C.L. , eccependo la nullità dell’atto di riassunzione per difetto dei requisiti di cui all’art. 303 cod. proc. civ. il tribunale di Catanzaro, con sentenza non definitiva del 5-6-1997, rigettò le domande principali e accolse le riconvenzionali, rimettendo la causa sul ruolo per la determinazione del danno quindi, con sentenza definitiva del 2-10-2007, liquidò il danno nella somma di giustizia, con rivalutazione e interessi le sentenze vennero impugnate dagli eredi di P.V. e C.L. , anch’egli nel frattempo deceduto la corte d’appello di Catanzaro ha accolto il gravame con specifico riferimento al primo motivo, col quale era stata dedotta la nullità del ricorso in riassunzione perché privo di ogni riferimento all’oggetto del processo riassunto ha quindi dichiarato la nullità delle sentenze e l’estinzione del giudizio i ministeri interessati hanno proposto, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, ricorso per cassazione affidato a un motivo, che denunzia la violazione degli artt. 156 cod. proc. civ. e 125 att. cod. proc. civ. gli intimati non hanno svolto difese. Considerato che il ricorso è fondato nello specifico senso che segue l’atto di riassunzione conteneva la seguente premessa pende avanti a questo Tribunale, g.i. dott. Po. , giudizio civile promosso dalla sig.ra P.V. , dante causa degli odierni convenuti, con atto notificato il 6.9.1990 alle intestate amministrazioni, regolarmente costituite in giudizio nell’atto le amministrazioni riassumenti così si erano espresse all’udienza del 17.1.1996 il g.i. dott. Po. ha dichiarato interrotto il giudizio per l’intervenuta morte della sig.ra P.V. , ed è interesse delle Amm.ni riassumere il giudizio nei confronti degli eredi nelle date condizioni la corte d’appello ha ritenuto la nullità dell’atto di riassunzione in quanto privo di qualsivoglia riferimento all’oggetto del giudizio, al contenuto della domanda attrice ed alla domanda riconvenzionale invero la corte territoriale ha considerato codesti requisiti necessari essendo defunta l’unica parte costituita ed essendo subentrata alla stessa gli eredi che non erano parti nel giudizio donde la nullità non era sanabile dalla costituzione di uno solo dei detti eredi la conclusione è da questo punto di vista corretta, in quanto l’interruzione era stata appunto determinata dalla morte dell’unica parte costituita, e di ciò non tengono conto le amministrazioni ricorrenti, le quali richiamano il diverso orientamento relativo al venir meno della capacità di stare in giudizio della persona giuridica per lo più a seguito di fusione societaria in quel caso, rileva soltanto l’art. 125 att. cod. proc. civ., che richiede che l’atto contenga gli elementi sufficienti a individuare il giudizio che si intende far proseguire v. Cass. n. 17679-09, Cass. n. 1016-13, Cass. n. 7661-15 , mentre, in caso di morte della parte unicamente costituita, la necessità che l’atto di riassunzione contenga anche gli estremi della domanda discende direttamente dall’art. 303, secondo comma, cod. proc. civ. questa Corte ha chiarito che per l’appunto nella sola ipotesi di interruzione del processo per morte della parte è necessario che il ricorso in riassunzione contenga gli estremi della domanda ai fini di una valida ricostituzione del contraddittorio v. Cass. n. 8840-07 , e che invece eguali esigenze non sussistono allorquando, immutata la parte, l’evento interruttivo abbia riguardato per esempio il difensore va in particolare confermato che, ove non rispondente al requisito contenutistico, l’atto di riassunzione è nullo e tale nullità è sanabile per effetto della costituzione in giudizio di tutti gli eredi, non di uno solo di essi v. Cass. n. 9432-98 , restando irrilevante il diverso trattamento previsto nell’ipotesi di notifica dell’atto a uno solo di essi o di notifica nulla nei confronti di alcuni dei litisconsorti necessari, giacché questo non afferisce a ipotesi di nullità dell’atto ma della sua notificazione cfr. Cass. n. 13736-05 tuttavia la corte distrettuale ha errato nella determinazione delle conseguenze in ordine al tipo di decisione da assumere nella sede di appello, essendo stato il gravame proposto da tutti i coeredi qualora infatti si verifichi, nel processo di primo grado, un evento interruttivo cui faccia seguito un invalido atto di riassunzione, il giudice di appello, a cui tale invalidità venga prospettata, deve comunque decidere la causa nel merito, non potendo né rimetterla al primo giudice - trattandosi di eventualità non prevista dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. - né definirla con statuizione solo processuale il citato obbligo di decidere in ogni caso la causa nel merito deriva dalla natura dell’appello, che integra un’impugnazione sostitutiva, al punto che, ove con l’appello non fosse avanzata alcuna censura di merito contro la sentenza di primo grado, per essere il gravame limitato al solo rilievo dei vizi dell’atto di riassunzione, sarebbe corretta la decisione del giudice di secondo grado dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione cfr. Cass. Sez. U n. 12644-08, cui adde Cass. n. 2682-15 in altre parole, la nullità degli atti successivi alla interruzione del processo, conseguente alla invalidità della riassunzione del medesimo, determina un vizio della sentenza che si converte in motivi di gravame e che postula da parte del giudice d’appello l’esercizio dei poteri sostitutivi propri del tipo di impugnazione poiché la stessa sentenza dà atto che, con l’appello, erano state prospettate anche censure di merito in ordine a entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, ne consegue che mai si sarebbe potuto definire il giudizio semplicemente dichiarando la nullità delle sentenze e l’estinzione del giudizio la sentenza della corte d’appello di Catanzaro va cassata con rinvio, affinché la medesima corte, in diversa composizione, decida la causa uniformandosi agli esposti principi il giudice del rinvio provvederà anche alle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Catanzaro.