Avvocato sospeso dall’albo: l’interruzione del processo è automatica?

Il principio secondo cui la sospensione dall’esercizio della professione dell’unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l’automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato dall’evento al diritto di difesa.

La Sez. I Civile della Cassazione ordinanza n. 5106/18 depositata il 5 marzo , ha rigettato le censure tese a far valere una violazione procedimentale inerente la presunta ed erronea applicazione delle norme in materia di sospensione e riassunzione del processo. Il caso l’avvocato dell’attore viene sospeso dall’albo. Un risparmiatore conveniva in giudizio una banca chiedendo che venisse dichiarata la nullità degli ordini di acquisto aventi ad oggetto bond argentini, per circa 50mila euro, con condanna della banca alla restituzione di detto importo. Il Tribunale accoglieva la richiesta del risparmiatore ma il Giudizio d’appello dava esito opposto. Si segnala peraltro, trattandosi dell’aspetto saliente del ricorso per cassazione, che il difensore dell’attore veniva sospeso dall’albo degli avvocati. Ebbene, la Corte d’Appello riteneva, in via pregiudiziale e a quest’ultimo proposito, che la riassunzione del giudizio da parte della banca, a seguito della sospensione del difensore del risparmiatore disposta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, fosse regolare, e reputava, nel merito, che non fosse stato provato dall’investitore il nesso di causalità tra preteso inadempimento dell’istituto di credito ed il danno subito, posto che i due ordini di acquisto oggetto di causa non risultavano contabilizzati nel conto titoli del cliente, nel quale si rinvenivano, invece, bond argentini riconducibili allo stesso numero di dossier intestato al cliente, ma non riconducibili ai due ordini di acquisto menzionati. Seguiva il ricorso per cassazione da parte del risparmiatore. La sentenza di prime cure era nulla? Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel non dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, derivante dal fatto che il Tribunale non aveva provveduto ad interrompere il processo nonostante la comunicazione dell’avvenuta sospensione dall’albo del difensore del ricorrente stesso. Sarebbe quindi stato violato l’art. 301 c.p.c., in forza del quale il verificarsi di uno degli eventi ivi descritti comporta l’interruzione automatica del processo, indipendentemente della conoscenza che dell’evento abbiano le parti ed il giudice. Ne deriverebbe la nullità dell’attività processuale svoltasi successivamente alla mancata dichiarazione della sospensione. L’interruzione del giudizio è automatica ma ci deve essere stato un pregiudizio. Il principio secondo cui la sospensione dall’esercizio della professione dell’unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l’automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato dall’evento al diritto di difesa. Ne discende che, essendo - nella specie - il periodo di sospensione del difensore dalla professione integralmente caduto tra l’udienza in cui era stato disposto il rinvio per la precisazione delle conclusioni e quest’ultima, nessuna incisione negativa sulle attività difensive dell’appellato poteva ritenersi verificata, con conseguente esclusione della nullità della sentenza di appello successivamente emessa, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo in parola. La riassunzione della causa da parte della banca era tardiva? In materia vige il principio secondo cui il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo interrotto per la morte del procuratore costituito di una delle parti in causa decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui una delle parti abbia avuto di tale evento conoscenza legale, mediante dichiarazione, notificazione o certificazione, ovvero lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde ” acquisita. Ne consegue che il termine in questione non decorre contemporaneamente nei confronti di tutte le parti e che l’onere di provare la legale conoscenza dell’evento in data anteriore al semestre precedente la riassunzione o la prosecuzione incombe sulla parte che ne eccepisce l’intempestività, non potendo farsi carico all’altra dell’onere di fornire una prova negativa. Per la tempestiva riassunzione basta il deposito del ricorso? In tema di interruzione del processo, qualora la riassunzione sia effettuata, secondo il combinato disposto degli art. 303 e 305 c.p.c., con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice precedentemente adito entro il termine prescritto, tale tempestivo deposito è sufficiente per impedire l’estinzione del processo. E se la riassunzione viene effettuata con citazione? Tuttavia, la parte può provvedere alla riassunzione, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell’udienza di prosecuzione, con citazione ad udienza fissa, purché la stessa possieda tutti i requisiti formali previsti dall’art. 125 disp. att. c.p.c. indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell’art. 297 c.p.c. - consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio - ed in tal caso è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine medesimo per impedire l’estinzione del processo, restando al di fuori l’obbligo di deposito dell’atto, che può avvenire solo dopo il compimento effettivo della notificazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, e che non ha alcuna funzione definitoria circa la posizione processuale della parte o la sua attività difensiva, essendo previsto dall’art. 303, comma 2, c.p.c., che il riassumente indichi nell’atto di riassunzione gli estremi della domanda. La prova dell’eccezione della tardiva riassunzione è a carico della parte che la fa valere. Su queste basi, la Cassazione ha osservato che la banca aveva avuto conoscenza legale dell’evento interruttivo nel momento in cui tale evento gli era stato comunicato dall’avvocato sospeso”, mentre non poteva avere rilevanza a tale riguardo la comunicazione da parte del Consiglio dell’Ordine che aveva disposto la sospensione, considerato che detta comunicazione via PEC non era stata prodotta in sede di legittimità dalla parte interessata, né l’aveva trascritta nel ricorso nel rispetto del principio di autosufficienza, e neppure aveva indicato la sede processuale di produzione del documento, impedendo in tal modo agli Ermellini di verificare la fondatezza del suo assunto.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 9 ottobre 2017 – 5 marzo 2018, n. 5106 Presidente Ambrosio – Relatore Valitutti Fatti di causa 1. V.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Terni, Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo dichiararsi la nullità degli ordini di acquisto di bond argentini, in data 8 novembre 1999 e 30 marzo 2000, per l’importo complessivo di Euro 50.822,85, e condannarsi la convenuta alla restituzione di detto importo, oltre interessi legali e spese del giudizio. Il Tribunale di Terni, con sentenza n. 816/2009, accoglieva la domanda. 2. Avverso tale decisione proponeva appello Intesa Sanpaolo s.p.a., che veniva accolto dalla Corte di Appello di Perugia con sentenza n. 34/2014, depositata il 23 gennaio 2014. Con tale pronuncia il giudice di seconde cure riteneva, in via pregiudiziale, che la riassunzione del giudizio da parte della banca, a seguito della sospensione del difensore del V. disposta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, fosse regolare, e reputava, nel merito, che non fosse stato provato dall’investitore il nesso di causalità tra preteso inadempimento dell’istituto di credito ed il danno subito, posto che i due ordini di acquisto per cui è causa non risultavano contabilizzati nel conto titoli del cliente, nel quale si rinvenivano, invece, bond argentini riconducibili allo stesso numero di dossier intestato al V. , ma non riconducibili ai due ordini di acquisto per cui è causa. 3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso V.A. nei confronti di Intesa Sanpaolo s.p.a., affidato a quattro motivi. La resistente ha replicato con controricorso. 4. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo e secondo motivo di ricorso - strettamente raccordati tra loro da una continuità argomentativa, come evidenziato anche dal P.G. - il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 301 e ss. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod. proc. civ 1.1. L’istante lamenta primo motivo che la Corte d’appello non abbia dichiarato la nullità della sentenza di prime cure, derivante dal fatto che il tribunale non aveva provveduto ad interrompere il processo, nonostante fosse stata comunicata - in data 30 aprile 2012 - l’avvenuta sospensione dell’avvocato Longarini, difensore dell’appellato, con effetto dal 17 gennaio 2012. E ciò in violazione del disposto dell’art. 301 cod. proc. civ., in forza del quale il verificarsi di uno degli eventi ivi descritti comporta l’interruzione automatica del processo, indipendentemente della conoscenza che dell’evento abbiano le parti ed il giudice pp. 4 e 5 del ricorso . Ne conseguirebbe la nullità dell’attività processuale svolta successivamente alla comminatoria della sospensione del 17.01.2012 ed in particolare di quella svolta all’udienza del 20.12.2012 e di tutti gli atti successivi e della sentenza medesima poiché il processo era interrotto per legge p. 7 . 1.2. Il ricorrente secondo motivo lamenta, poi, che la Corte d’appello abbia proseguito il giudizio a seguito della riassunzione effettuata dalla banca Intesa Sanpaolo s.p.a., ancorché questa fosse stata tardivamente posta in essere rispetto al termine previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., ossia con citazione notificata il 14 settembre 2012, sebbene la conoscenza legale dell’evento interruttivo si fosse avuta nel giudizio, in forza della predetta comunicazione, con operatività del 17 gennaio 2012, data della sospensione cautelativa del Longarini dall’ordine degli avvocati. 1.3. I motivi sono infondati. 1.3.1. Va, per vero, osservato - conformemente alle argomentazioni del P.G. - che il principio secondo il quale la sospensione dall’esercizio della professione dell’unico difensore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina l’automatica interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza, con conseguente nullità degli atti successivi, presuppone il concreto pregiudizio arrecato dall’evento al diritto di difesa. Ne discende che, essendo - nella specie - il periodo di sospensione del difensore dalla professione integralmente caduto tra l’udienza in cui era stato disposto il rinvio per la precisazione delle conclusioni e quest’ultima fissata per il 20 dicembre 2012 , nessuna incisione negativa sulle attività difensive dell’appellato può ritenersi verificata, con conseguente esclusione della nullità della sentenza di appello successivamente emessa, nonostante il verificarsi dell’evento interruttivo in parola cfr., in termini, Cass. 10/07/2015, n. 14520 Cass. 08/04/2016, n. 6838 . 1.3.2. Né la riassunzione del giudizio da parte di Intesa Sanpaolo può ritenersi tardiva, contrariamente all’assunto del ricorrente. 1.3.2.1. Ed invero, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, 159 del 1971 e n. 36 del 1976, il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo interrotto per la morte del procuratore costituito di una delle parti in causa decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui una delle parti abbia avuto di tale evento conoscenza legale, mediante dichiarazione, notificazione o certificazione, ovvero lettura in udienza dell’ordinanza di interruzione, non essendo sufficiente la conoscenza aliunde acquisita. Ne consegue che il termine in questione non decorre contemporaneamente nei confronti di tutte le parti e che l’onere di provare la legale conoscenza dell’evento in data anteriore al semestre precedente la riassunzione o la prosecuzione incombe sulla parte che ne eccepisce l’intempestività, non potendo farsi carico all’altra dell’onere di fornire una prova negativa Cass. 11/02/2010, n. 3085 Cass. 25/02/2015, n. 3782 . 1.3.2.2. Per quanto concerne, poi, la tempestività della riassunzione, va osservato che, in tema di interruzione del processo, qualora la riassunzione sia effettuata, secondo il combinato disposto degli artt. 303 e 305 cod. proc. civ., con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice precedentemente adito entro il termine prescritto, tale tempestivo deposito è sufficiente per impedire l’estinzione del processo. Tuttavia la parte può provvedere alla riassunzione, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell’udienza di prosecuzione, con citazione ad udienza fissa, purché la stessa possieda tutti i requisiti formali previsti dall’art. 125 disp. att. cod. proc. civ. indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell’art. 297 cod. proc. civ., consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio. In tal caso è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine medesimo per impedire l’estinzione del processo, restando al di fuori l’obbligo di deposito dell’atto, che può avvenire solo dopo il compimento effettivo della notificazione, a cura dell’ufficiale giudiziario, e che non ha alcuna funzione definitoria circa la posizione processuale della parte o la sua attività difensiva, essendo previsto dall’art. 303, secondo comma, cod. proc. civ., che il riassumente indichi nell’atto di riassunzione gli estremi della domanda Cass. Sez. U. 28/12/2007, n. 27183 Cass. 06/05/2015, n. 9000 . 1.3.2.3. Da quanti suesposto discende che certamente la banca Intesa Sanpaolo ha avuto conoscenza legale dell’evento interruttivo il 30 aprile 2012, data della comunicazione, da parte dell’avvocato Longarini, della propria sospensione operata da parte del Consiglio dell’ordine. Quanto alla pretesa comunicazione, via p.e.c., da parte di detto Consiglio del provvedimento in questione, che sarebbe stata effettuata dal medesimo alla Corte d’appello di Perugia in data 18 gennaio 2012, deve rilevarsi che - come osservato anche dal P.G. l’odierno ricorrente non ha né prodotto in questa sede, né trascritto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, la pretesa comunicazione spedita via p.e.c. dal Consiglio dell’ordine degli avvocati, e neppure ha indicato la sede processuale di produzione del documento, impedendo in tal modo a questa Corte di verificare la fondatezza del suo assunto. 1.4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, le doglianze in esame devono essere disattese. 2. Con il terzo motivo di ricorso - denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 324 cod. proc. civ., e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. - il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia concentrato la sua attenzione sul fatto che il V. non aveva provato il danno ed il nesso di causalità con l’inadempimento della banca, senza prendere in esame la questione centrale del giudizio, costituita dal giudicato interno formatosi sulla nullità dei relativi ordini di acquisto per mancanza del contratto quadro, conseguente alla mancata impugnazione della relativa statuizione di prime cure, da parte della banca. 2.1. Il motivo è inammissibile. 2.1. La Corte territoriale non ha, invero, in alcun modo interloquito sulla questione - oggetto del dedotto giudicato concernente la pretesa nullità degli ordini di acquisto in discussione, avendo invece affermato che mancava addirittura la prova che i due titoli di cui agli ordini di acquisto per cui è causa fossero stati acquistati per il tramite della banca convenuta in giudizio, e che quindi - il pregiudizio fosse alla medesima ascrivibile, non essendone risultata la presenza nel conto titoli dell’investitore. 2.2. Ne consegue che la censura, non cogliendo la ratio decidendi dell’impugnata sentenza, deve essere dichiarato inammissibile. 3. Con il quarto motivo di ricorso - denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. - il V. si duole ancora del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto insussistente valutando inadeguatamente la documentazione in atti - la prova d un danno ascrivibile all’istituto di credito evocato in giudizio, sebbene i titoli in discussione risultassero acquisiti al dossier titoli. 3.1. Il mezzo è inammissibile. 3.1.1. Il ricorrente censura l’impugnata sentenza sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, senza neppure indicare esattamente quale sia il fatto in questione e senza neanche invocare il disposto dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sostanzialmente limitandosi a dedurre la violazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., al fine di ottenere - del tutto inammissibilmente Cass. 27/12/2016, n. 27000 - in sede di legittimità una nuova valutazione del materiale istruttorio ordini di acquisto, titoli, dossier titoli , già vagliato dal giudice di merito. 3.1.2. La censura non può, pertanto, trovare accoglimento. 4. Il ricorso per cassazione proposto dal V. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato, con condanna del soccombente alle spese del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.