L’iscrizione a ruolo tardiva comporta improcedibilità insanabile

Il padre si oppone all’esecuzione immobiliare disposta dalla figlia per ottenere gli arretrati dovuti per il suo mantenimento. A seguito dell’inerzia dell’opponente, la figlia creditrice decide di citarlo in giudizio ma commette un errore. Iscrizione a ruolo tardiva dell’atto di citazione equivale a improcedibilità insanabile.

Sul punto la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 1058/18, depositata il 17 gennaio. La vicenda. L’odierna ricorrente aveva intrapreso l’esecuzione mobiliare, nelle forme del pignoramento presso terzi, nei confronti del padre con lo scopo di ottenere gli arretrati dovuti dallo stesso per il suo mantenimento. Successivamente il padre formulava opposizione all’esecuzione e il Giudice esecutivo rigettava l’istanza di sospensione e fissava il termine per il giudizio di merito. A seguito dell’inerzia del padre, la figlia provvedeva a notificargli un atto di citazione in giudizio, chiedendo l’accertarsi dell’inesistenza delle ragioni di opposizione. All’udienza di comparizione si costituiva in giudizio il padre e il Giudice di primo grado, con sentenza confermata in appello, dichiarava improcedibile l’opposizione della figlia perché l’iscrizione a ruolo dell’atto di citazione non aveva rispettato il termine perentorio fissato dall’art. 616 c.p.c. Provvedimenti sul giudizio di cognizione introdotto dall’opposizione . L’iscrizione a ruolo tardiva è insanabile. La figlia ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che i Giudici di merito abbiano violato gli artt. 181 Mancata comparizione delle parti e 307 Estinzione del processo per inattività delle parti c.p.c. in quanto, a fronte della ritardata costituzione in giudizio del padre, dopo la dichiarazione di improcedibilità si sarebbe dovuto cancellare la causa dal ruolo con la facoltà di riassumerla nei tre mesi. Gli Ermellini hanno precisato che il caso di specie non corrisponde all’ipotesi di tardiva costituzione in giudizio, sanabile qualora l’altra parte si costituisca tempestivamente , ma si è di fronte ad una iscrizione a ruolo tardiva. In questa seconda ipotesi, invece, è violato un termine perentorio espressamente previsto dall’art. 616 c.p.c., il quale comporta l’improcedibilità che non ammette sanatorie. Termini perentori improrogabili. Infatti, osserva la Suprema Corte, i termini perentori non sono prorogabili, né soggetti a sospensione o interruzione, salvo i casi previsti dalla legge, sicché resta a carico di chi non lo rispetti il rischio delle conseguenze pregiudizievoli o della decadenza conseguenti al mancato rispetto del termine stesso . Per queste ragioni la Cassazione ha rigettato il ricorso e per la particolarità della vicenda e dei rapporti tra le parti ha compensato le spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 novembre 2017 – 17 gennaio 2018, numero 1058 Presidente Amendola – Relatore Rubini Ragioni in fatto e in diritto della decisione L.A.L. propone un unico motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano numero 2657 del 2016 del 27.6.2016. L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede. Questa la vicenda la L. intraprendeva una esecuzione mobiliare, nelle forme del pignoramento presso terzi, nei confronti del padre L.P. , per ottenere alcune somme arretrate dovute a titolo di contribuzione al suo mantenimento il padre formulava opposizione nel corso del procedimento esecutivo, il g.e. rigettava l’istanza di sospensione e fissava termine per l’inizio del giudizio di merito. A fronte della inattività del padre, la stessa L. provvedeva a notificargli nei termini un atto di opposizione con il quale chiedeva accertarsi l’inesistenza delle altrui ragioni di opposizione. L’atto di citazione regolarmente notificato veniva iscritto a ruolo fuori termine, il settimo giorno, in difformità della previsione contenuta nell’art. 616 c.p.c., che abbrevia alla metà il termine per iscrivere le opposizioni all’esecuzione. Il padre si costituiva in giudizio, benché tardivamente, direttamente all’udienza di comparizione. Il giudice di primo grado, con pronuncia confermata in appello, dichiarava improcedibile l’opposizione perché l’iscrizione a ruolo non aveva rispettato il termine perentorio fissato dall’art. 616 c.p.c., individuando la conseguenza del mancato rispetto della perentorietà del termine nella improcedibilità. Sostiene l’opponente che la corte d’appello abbia violato gli artt. 181 e 307 c.p.c. e che la conseguenza della improcedibilità, a fronte della ritardata costituzione in giudizio della controparte, avrebbe dovuto essere la cancellazione della causa dal ruolo, con facoltà di riassumerla nei tre mesi. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata all’interno della sezione prevista dall’art. 376 c.p.c., a seguito di proposta del relatore nel senso della manifesta fondatezza del ricorso. Il collegio, previa discussione in camera di consiglio, non ha condiviso la proposta del relatore, ritenendo che al contrario il ricorso debba essere rigettato. Non si tratta infatti di tardiva costituzione in giudizio, sanabile qualora l’altra parte si costituisca tempestivamente secondo il principio espresso da Cass. numero 3626 del 2014 , ma di tardiva iscrizione della causa a ruolo, con violazione di un termine espressamente indicato come perentorio, in quanto la conseguenza del mancato rispetto di un termine perentorio - e come tale è espressamente indicato il termine per l’iscrizione della causa a ruolo, previsto dall’art. 616 c.p.c. - è l’improcedibilità, che non ammette sanatorie. I termini perentori infatti non sono prorogabili, né soggetti a sospensione o interruzione se non nei casi previsti dalla legge, sicché resta a carico di chi non lo rispetti il rischio delle conseguenze pregiudizievoli o delle decadenza conseguenti al mancato rispetto del termine stesso. In ragione della particolarità della vicenda e dei rapporti tra le parti sussistono motivi idonei a giustificare la compensazione delle spese del presente giudizio. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.