Querela di falso contro la violazione per mancato uso delle cinture di sicurezza e onere probatorio

In tema di opposizione al verbale di violazione del codice della strada se il sanzionato si oppone al verbale di contestazione proponendo querela di falso, il rischio del mancato raggiungimento della prova del fatto, nella specie la falsità dell’attestazione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, deve essere addossato nei confronti di chi il fatto allega e non nei confronti di chi il fatto contesta .

Così la Cassazione con sentenza n. 1014/18, depositata il 17 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Crema rigettava la querela di falso proposta dall’opponente contro due verbali di contestazione di violazione del codice della strada. In particolare le infrazioni in questione consistevano nel passaggio con semaforo rosso, utilizzo di telefono cellulare e mancato uso della cintura di sicurezza. Avverso la decisione di primo grado l’opponente proponeva appello alla Corte territoriale, la quale accoglieva il gravame. Contro quest’ultima decisione ricorre per cassazione l’agente di polizia municipale che si era costituito volontariamente nel corso del giudizio. La prova del falso. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. Presunzioni semplici per aver la Corte d’Appello erroneamente ritenuto provata la falsità del verbale di accertamento in relazione alla violazione del codice stradale. La Suprema Corte ha osservato che in relazione al passaggio con il semaforo rosso e all’utilizzo del telefono la Corte territoriale ha ritenuto di affermare, sulla base del proprio convincimento insindacabile in sede di legittimità, la falsità delle relative attestazioni. Al contrario, spiegano i Giudici di Cassazione, circa la falsità del verbale in relazione al mancato uso delle cinture di sicurezza non è provata la non veridicità dell’attestazione. Applicazione erronea delle regole della prova. Infatti, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha affermato che al riguardo nessun teste ha potuto riferire alcunché , mentre non ha preso in considerazione il fatto che lo stesso agente ha dichiarato di avere riscontrato la mancanza delle cinture. Erroneamente i Giudici di merito hanno ritenuto che in relazione alla posizione dell’agente al momento del fatto si potrebbe dar luogo a facili errori di percezione della realtà . Sul punto la Corte territoriale ha accollato le conseguenze dell’insufficienza degli elementi probatori all’agente e non al querelante così applicando in modo erroneo le regole della prova , le quali prevedono che il rischio del mancato raggiungimento della prova del fatto, nella specie la falsa attestazione del mancato uso delle cinture di sicurezza, sia addossato nei confronti di chi il fatto allega e non nei confronti di chi il fatto contesta . Per questo motivo il Supremo Collego ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, rigettando le altre censure del ricorrente, e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte territoriale.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 marzo 2017 – 17 gennaio 2018, n. 1014 Presidente Petitti – Relatore Besso Marcheis Fatti di causa 1. Nel corso del giudizio davanti al Giudice di pace di opposizione a una sanzione irrogata per violazioni del codice della strada V.S.A. ha proposto querela di falso contro i due verbali di contestazione delle infrazioni consistenti nel passaggio con semaforo rosso, utilizzo del telefono cellulare e mancato uso della cintura di sicurezza . La causa è stata sospesa e quindi riassunta davanti al Tribunale di Crema in essa si costituiva l’agente di polizia municipale G.C.E. , già interveniente volontario nel giudizio davanti al Giudice di pace. Il Tribunale rigettava la querela di falso. 2. Contro la sentenza V. proponeva appello alla Corte di Brescia, che - con sentenza del 5 febbraio 2013 - accoglieva il gravame. 3. G. ricorre in cassazione con ricorso articolato in quattro motivi. Le controparti, V. e il Comune di Crema, non hanno proposto difese. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 2700 c.c. la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere provata la falsità del verbale di accertamento a fronte di elementi probatori cui può al più essere riconosciuto il valore di presunzioni semplici, sprovviste delle caratteristiche prescritte dall’art. 2729 c.c. e quindi non idonee a superare il valore di prova legale dell’atto pubblico. Il motivo è fondato per quanto concerne il fatto del mancato utilizzo da parte di V. delle cinture di sicurezza. Se in relazione al passaggio con semaforo rosso e all’utilizzo del telefono cellulare la Corte d’appello ha ritenuto - a differenza del giudice di primo grado - di aver raggiunto il proprio, insindacabile in questa sede, convincimento circa la falsità delle relative attestazioni sulla base di elementi indiziari e delle dichiarazioni dei testimoni A. e M. , per quella del mancato uso delle cinture di sicurezza, la Corte afferma che al riguardo nessun teste ha potuto riferire alcunché, mentre lo stesso agente G. ha dichiarato di averne riscontrato la mancanza mentre affiancava la vettura del V. sulla sinistra, all’altezza dei sedili posteriori , posizione che non consente di verificare la situazione delle cinture del conducente o che può dar luogo a facili errori di percezione della realtà , così che può ritenersi provata la non veridicità dell’attestazione . In questo modo la Corte, a fronte della mancanza di elementi probatori sufficienti, accolla le conseguenze di tale insufficienza su G. e non sul querelante V. , così applicando in modo erroneo le regole della prova, che vogliono che il rischio del mancato raggiungimento della prova del fatto, in questo caso la falsità dell’attestazione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, sia addossato nei confronti di chi il fatto allega, V. che ha proposto la querela di falso, e non nei confronti di chi il fatto contesta. 2. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 195 del codice della strada la Corte d’appello avrebbe errato nel considerare falsa l’attestazione relativa al passaggio con semaforo rosso, essendosi il V. fermato, ma a seguito di ordine dell’agente. Il motivo è infondato il giudizio di falso ha infatti unicamente ad oggetto il verbale di accertamento, ove - p. 8 del provvedimento impugnato - è scritto che V. , alla guida del veicolo, ometteva di arrestarsi alla lanterna semaforica, così che la Corte d’appello, una volta accertato che V. si era arrestato, ha correttamente ritenuta provata la falsità dell’attestazione. Inconferente è poi, trattandosi appunto di giudizio di querela di falso, il richiamo all’art. 195 del codice della strada e al potere del giudice di infliggere una sanzione per arresto irregolare. 3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 2700 c.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe ritenuto attendibili i due testimoni senza considerare le loro incongruenze e l’efficacia di atto pubblico di quanto attestato dall’agente. Il motivo è infondato il giudice d’appello ha infatti, con accertamento - come già detto in relazione al primo motivo insindacabile in questa sede, ritenuto, a differenza del primo giudice, attendibili le dichiarazioni rese dai due testimoni A. e M. . 4. Il quarto motivo lamenta violazione dell’art. 99 disp. att. c.p.c., in quanto la querela di falso non sarebbe stata, come prescrive la disposizione, confermata nella prima udienza e neppure nel corso del giudizio di primo grado. La censura è inammissibile. L’eventuale vizio, infatti, doveva essere fatto valere in primo grado o quale motivo d’appello e di questo non vi è traccia nel ricorso , ma non può essere fatto valere per la prima volta in questo giudizio. 5. La fondatezza del primo motivo determina, in relazione al motivo accolto, l’accoglimento del ricorso. La sentenza impugnata è quindi cassata in relazione alla censura accolta e la causa rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, che provvederà, in applicazione del principio sopra enunciato e nei limiti del motivo accolto, a rivalutare i fatti il giudice di rinvio provvederà anche circa le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.