Per il Tribunale il notaio è sì inadempiente, ma non responsabile: il cliente può invocare il giudicato interno?

Nel caso in cui un prestatore d’opera – nel caso di specie, un notaio – non impugni con appello incidentale la sentenza di prime cure avente ad oggetto il riconoscimento di un suo inadempimento ed il contestuale rigetto della domanda del cliente diretta al risarcimento del danno, quali sono i limiti di cognizione del giudice dell’appello?

Risponde all’interrogativo l’ordinanza della Cassazione n. 29642/17, depositata il 12 dicembre. Il fatto. La pronuncia in oggetto origina dalla richiesta di accertamento della responsabilità professionale di un notaio in relazione ad un preliminare di compravendita di immobile per scrittura privata autenticata. Sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello rigettavano la domanda dell’attrice che ricorre dunque dinanzi alla Cassazione. In particolare la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della legge per aver la Corte d’Appello trascurato la formazione della cosa giudicata interna sulla sussistenza dell’inadempimento del notaio che non aveva tempestivamente proposto appello avverso la sentenza del Tribunale nella parte relativa a tale profilo. Appello incidentale. Il Collegio condivide la censura prospettata posto che la motivazione fornita dalla Corte territoriale si rivela erronea in quanto, dopo aver pacificamente affermato la sussistenza dell’inadempimento del notaio richiamando espressamente la sentenza di primo grado, riconoscendo dunque la sussistenza di uno degli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, non ha riconosciuto anche la formazione del giudicato interno che il notaio avrebbe potuto evitare con la proposizione di appello incidentale. Infatti quella affermazione, giusta o sbagliata che fosse, motivata o meno che fosse, rappresentava una parte della sentenza ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., che doveva essere criticata per essere ridiscussa dal giudice d’appello . Il ricorso trova dunque accoglimento da parte della Corte di legittimità che cassa la sentenza impugnata affermando che qualora il giudice di primo grado, investito di una domanda di accertamento della responsabilità di un prestatore d’opera professionale, nella specie un notaio, e della conseguente richiesta di condanna al risarcimento del danno, rigetti la domanda affermando expressis verbis che risulta provato l’inadempimento del detto rapporto e che, tuttavia, non risulta provata la verificazione di un danno a causa dell’inadempimento, il giudice d’appello investito dell’appello principale dal cliente sulla sentenza di primo grado non può, in mancanza di proposizione dell’appello incidentale del prestatore d’opera, riesaminare la questione della sussistenza dell’inadempimento, non essendo all’uopo neppure sufficiente la mera riproposizione ai sensi dell’art. 346 c.p.c. .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 27 giugno – 12 dicembre 2017, n. 29642 Presidente Chiarini – Relatore Frasca Fatto e diritto Rilevato che 1. C.L. ha proposto ricorso per cassazione contro il Notaio Ca.El. avverso la sentenza del 16 luglio 2014, con cui la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il suo appello contro la sentenza del Tribunale di Roma n. 24631 del 2013, la quale - decidendo sul ricorso ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. del gennaio del 2013 introdotto da essa ricorrente nei confronti del Ca. , per ottenere l’accertamento della sua responsabilità professionale in relazione alla stipulazione di un preliminare di compravendita di un immobile per scrittura privata autenticata, nonché la condanna al risarcimento del danno - aveva rigettato la domanda. 2. Al ricorso per cassazione, che è affidato a cinque motivi, ha resistito con controricorso il Ca. . 3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ. e non sono state depositate conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre parte ricorrente ha depositato memoria. Considerato che 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 324 e 346 c.p.c. ed all’art. 2909 c.c. . Vi si censura la motivazione della sentenza impugnata, là dove ha disatteso l’eccezione sollevata dal difensore della qui ricorrente nel corso della discussione orale del 16 luglio 2014, sotto il profilo dell’essersi formata cosa giudicata interna sulla sussistenza dell’inadempimento del Ca. , per non avere il medesimo proposto appello incidentale sull’affermazione del primo giudice in ordine alla sussistenza del suo inadempimento, espressa a pagina 12 di essa con la seguente affermazione Deve, pertanto, essere respinta la domanda della attrice ma sussistono giuste ragioni per compensare le spese del presente giudizio essendo stato accertato l’inadempimento del notaio ai suoi obblighi professionali, anche se dagli stessi non è scaturito un danno che l’attrice abbia chiesto di essere risarcita . La motivazione resa dalla Corte d’Appello di Roma con cui essa sarebbe incorsa nel denunciato errore viene espressamente indicata nel ricorso ed ha avuto il seguente tenore L’appello è infondato, sebbene la motivazione della sentenza di primo grado debba essere corretta. A tal riguardo, nell’odierna discussione orale l’appellante ha sostenuto che, in mancanza di impugnazione incidentale del Ca. , si sarebbe formato il giudicato sull’an della originaria pretesa attrice, ossia sulla sussistenza dell’inadempimento addebitato dal primo giudice al notaio tale affermazione non può però essere condivisa, dal momento che il giudicato si forma sulla statuizione adottata e non sui singoli segmenti della motivazione che la sostengono, sicché il giudice d’appello ben può in dispositivo confermare la decisione impugnata ed in motivazione enunciare, sostegno di tale statuizione, ragioni ed argomentazioni diverse da quelle addotte dal giudice di primo grado, senza che sia per questo configurabile una contraddittorietà fra il dispositivo e la motivazione della sentenza d’appello Cass. 10 ottobre 2003, n. 15185 . D’altro canto, il Ca. ha in questa sede riproposto l’argomentazione svolta a sostegno della propria difesa spiegata in primo grado sull’an, per avere la C. perfetta contezza della condizione risolutiva apposta al contratto . Parte ricorrente critica la motivazione assumendo che, di fronte all’affermazione della sussistenza dell’inadempimento, la controparte avrebbe dovuto proporre appello incidentale per consentire che della relativa questione si discutesse ed all’uopo evoca Cass. n. 13401 del 2004. 2. Il motivo, pur dedotto ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., evoca nella sostanza una violazione di norma del procedimento, riconducibile al n. 4 di detta norma. Tale riconducibilità è di tutta evidenza, tenuto conto delle norme evocate e tanto consente di scrutinare il motivo riconducendolo al paradigma corretto della norma dell’art. 360 cod. proc. civ. Tanto alla stregua dei principi affermati da Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013. 3. Infondatamente parte resistente sostiene che non sarebbe stato osservato nella illustrazione del motivo l’onere di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in quanto l’eccezione formulata in sede di discussione orale è stata indicata con l’indiretta riproduzione del suo contenuto e della data di tenuta di detta udienza, mentre l’omessa indicazione del se e dove sarebbe esaminabile il relativo verbale di udienza risulta irrilevante, atteso che è stato espressamente indicato che la sentenza impugnata a pagina 5 dà atto della proposizione dell’eccezione e tanto trova effettivo riscontro nelle parole che precedono la riportata motivazione. Si rileva ancora che nel ricorso è stata espressamente riprodotta l’affermazione della sentenza d, primo grado sulla quale si sarebbe formato il giudicato interno per mancata proposizione dell’appello incidentale ed è vero che, pur essendosi indicata la pagina della sentenza di primo grado in cui detta affermazione è stata fatta, non è stato indicato se e dove tale sentenza sarebbe esaminabile, in quanto prodotta, in questo giudizio di legittimità. Tuttavia, la motivazione sopra riportata, là dove ragiona di sussistenza dell’inadempimento come questione su cui si era formato il giudicato, secondo l’eccezione della qui ricorrente, rende di per sé del tutto inutile la lettura della parte di motivazione recante l’affermazione. D’altro canto, la stessa sentenza impugnata riporta, nella parte dedicata all’esposizione del fatto, proprio l’espressione della sentenza di primo grado indicata dal ricorso. Lo fa nel paragrafo 2, precisamente nell’ultimo rigo della pagina 2 e nelle prime quattro della pagina successiva. L’ulteriore eccezione di inammissibilità per non essere stata indicata ai sensi dell’art. 360-bis giurisprudenza diretta a sorreggere il motivo è non solo contraddetta dalla invocazione del precedente richiamato dalla ricorrente, ma anche e prima ancora priva di rilevanza, atteso che la motivazione della sentenza impugnata non ha in alcun modo ragionato nella logica della formazione o meno del giudicato interno, evocando il precedente che cita, sicché non si dovevano evocare ragioni per superarlo. 4. Ciò premesso, il motivo è fondato. La sopra riprodotta motivazione si caratterizza per due gradate rationes decidendi, la prima tendente a negare che si fosse potuta formare cosa giudicata sull’affermazione di sussistenza dell’inadempimento del notaio e la seconda ad affermare che a devolvere la problematica di tale sussistenza, che poi la corte territoriale ha proceduto ad esaminare, fosse sufficiente una rigojsizione. Entrambe le gradate motivazioni sono errate. Queste le ragioni. Si rileva, in primo luogo, che la pacifica affermazione che sussistesse l’inadempimento del notaio qui resistente, in quanto fatta expressis verbis dalla sentenza di primo grado, integrando l’espressa affermazione dell’esistenza di uno dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria e, dunque, di un fatto c.d. principale, tra l’altro qualificabile in iure, integrava, per seguire, la logica della motivazione qui censurata, proprio una statuizione e non un mero segmento di motivazione . Ciò è tanto vero che l’affermazione avrebbe potuto essere fatta con una sentenza parziale ai sensi dell’art. 279, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ Il riferimento al segmento di motivazione appare d’altro canto evocativo solo dell’essere l’affermazione dell’esistenza dell’inadempimento relativa ad uno dei fatti individuatori dell’oggetto del processo, in discussione fra le parti e, quindi, risulta meramente descrittivo del collocarsi l’affermazione come parte della motivazione che doveva essere resa. La motivazione resta, dunque, incomprensibile nella negata necessità che l’affermazione dell’esistenza dell’inadempimento si prestasse, se non criticata, a dare luogo a giudicato interno. Il principio di diritto evocato dalla corte territoriale è, del resto, palesemente privo di aderenza al thema decidendi proposto dall’eccezione della qui ricorrente e non si comprende perché sia stato evocato. In realtà, di fronte all’espressa affermazione della sussistenza dell’inadempimento del Ca. , ancorché riguardante un fatto costituivo della domanda, l’unico modo in cui egli poteva ottenere che la relativa questione rimanesse sub iudice era l’appello incidentale, perché quella affermazione, giusta o sbagliata che fosse, motivata o meno che fosse, rappresentava una parte della sentenza ai sensi dell’art. 329, seco do comma, cod. proc. civ., che doveva essere criticata per essere ridiscussa dal giudice d’appello e ciò perché rappresentante un decisum di essa. Come tale ridiscutibile appunto solo con l’esercizio del diritto di impugnazione e ciò ancorché il Ca. fosse vittorioso nell’esito finale della lite e soccombente in senso solo virtuale sulla sussistenza dell’inadempimento. Si rileva che le Sezioni Unite, nelle sentenze nn. 7070 del 2016 e 1179 del 2017, hanno ampiamente argomentato sulla differenza fra appello incidentale della parte vittoriosa per l’esito finale della lite e soccombente in senso virtuale su una questione esaminata e decisa in senso sfavorevole dal giudice della sentenza impugnata, da un lato, e riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., dall’altro. Esse hanno evidenziato che il limite della riproposizione è rappresentato in senso negativo proprio dall’assenza di una decisione sulla eccezione e dal punto di vista del Ca. , convenuto nel giudizio di primo grado, l’insussistenza dell’inadempimento e, quindi, la sussistenza dell’adempimento, era eccezione o sulla domanda, dovendosi intendere il riferimento al non accoglimento come relativo, se ci si pone dal punto di vista di chi è resistente all’impugnazione altrui essendo rimasto vittorioso sull’esito finale della lite, non già alla questione su cui il giudice abbia deciso, espressamente oppure in via implicita cioè per quanto espressamene ha osservato su altre questioni , ma alla questione su cui sia rimasto del tutto silente. Nel caso di questioni decise espressamente o per implicito su questo secondo profilo si è soffermata ampiamente la sentenza n. 11799 del 2017 dal giudice della sentenza impugnata, il destinatario dell’impugnazione che sia rimasto vittorioso sull’esito finale della lite e soccombente in senso virtuale su di esse, ha, invece, l’onere di impugnare a sua volta di fronte all’impugnazione altrui con appello incidentale, questo essendo l’unico mezzo con cui si può ridiscutere su di esse. L’appello deve, inoltre, essere rispettoso dell’art. 342 cod. proc. civ. Tanto si osserva non senza rimarcare che la motivazione criticata non ha indicato, del resto, alcunché che potesse integrare una censura implicita dell’affermazione dell’inadempimento, che comunque doveva essere chiara e rispettosa dell’art. 342 cod. proc. civ Giusta quanto osservato si deve rilevare che in modo del tutto erroneo la corte capitolina, nella parte finale della sua motivazione, dopo la prima incomprensibile motivazione di cui si è riferito sopra, ha dato rilievo al fatto che il Ca. aveva espressamente riproposto la propria difesa sull’an tale assunto, implicando che fosse sufficiente la c.d. riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., contraddice la logica che delimita l’istituto di cui a tale norma, giacché sull’inadempimento il primo giudice si era pronunciato. 5. L’accoglimento del primo motivo si giustifica, dunque, sulla base del seguente principio di diritto Qualora il giudice di primo grado, investito di una domanda di accertamento della responsabilità di un prestatore d’opera professionale, nella specie un notaio, e della conseguente richiesta di condanna al risarcimento del danno, rigetti la domanda affermando expressis verbis che risulta provato l’inadempimento del detto rapporto e che, tuttavia, non risulta provata la verificazione di un danno a causa dell’inadempimento, il giudice d’appello investito dell’appello principale dal cliente sulla sentenza di primo grado non può, in mancanza di proposizione dell’appello incidentale del prestatore d’opera, riesaminare la questione della sussistenza dell’inadempimento, non essendo all’uopo neppure sufficiente la mera riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. . 6. Una volta accolto il primo motivo e cassata la sentenza impugnata in parte qua, le parti residue della sentenza impugnata, poiché sono fondate sulla possibilità che la Corte capitolina ha ritenuto di poter valutare se il notaio fosse stato inadempiente, possibilità che gli era invece preclusa, cadono, in quanto dipendenti ai sensi dell’art. 336, primo comma, cod. proc. civ La Corte di rinvio dovrà decidere sulle ragioni dell’appello principale, reputando formato il giudicato interno sull’affermazione del primo giudice che il notaio fosse stato inadempiente. 7. Conclusivamente è accolto il primo motivo di ricorso e sono dichiarati assorbiti gli altri. Il giudice di rinvio si designa in altra Sezione delle Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione. Al giudice di rinvio è rimesso di provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione, dichiarando assorbiti gli altri. Rinvia ad altra Sezione delle Corte d’Appello di Roma, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.