L’atto contenente un riferimento generico al “conferimento di incarico” non è idoneo a rilasciare alcun mandato al difensore

L’atto avente un contenuto generico, ossia che non individua alcuna controversia specifica e che contenga un riferimento generico al conferimento di incarico”, non è realmente idoneo a rilasciare alcun mandato al difensore ma vale soltanto a fissare un accordo quadro generale, finalizzato all’individuazione dei criteri di computo dei compensi in relazione agli incarichi che in futuro possono essere conferiti.

Sul tema l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 29590/17, depositata l’11 dicembre. Il caso. Un avvocato agiva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Varese, chiedendo la condanna di due persone un uomo e una donna al pagamento di una somma dovutagli a titolo di corrispettivo per l’incarico professionale - che esse gli avevano conferito -, per l’assistenza, consulenza, rappresentanza e difesa nelle controversie giudiziali e stragiudiziali che direttamente le riguardavano, nonché afferenti a una società a responsabilità limitata e ad una azienda agricola. L’atto di conferimento dell’incarico professionale era stato regolarmente sottoscritto nel novembre del 2009. Si costituiva in giudizio soltanto una delle due persone la donna . Nel giugno 2014 il giudice di primo grado condannava, in solido, i convenuti al pagamento di una certa somma in favore del ricorrente e soltanto l’uomo al pagamento di un certo importo. L’avvocato impugnava la decisione alla Corte di Appello di Milano, sostenendo che il Tribunale di Varese, erroneamente, non avesse ritenuto che l’accordo richiamato valeva a conferire l’incarico per tutte le cause e le procedure indicate e che, sempre erroneamente, avesse escluso la solidarietà dell’obbligazione assunta da entrambe le persone. Anche in secondo grado si costituiva soltanto la donna. La Corte territoriale, nell’aprile del 2016, rigettava l’appello proposto dal ricorrente, stante l’assoluta genericità del documento sottoscritto nel novembre del 2009 e considerato che, per le prestazioni per le quali il Tribunale di Varese aveva respinto la domanda, il mandato alle liti risultava conferito dalla sola società a responsabilità limitata o dalla sola azienda agricola e, quanto alle prestazioni stragiudiziali, il riferimento era sempre alla srl e mai alla donna in proprio. Avverso la decisione, l’avvocato proponeva ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, mentre nessuno degli intimati svolgeva attività difensiva in questa sede. Il ricorrente, con il primo motivo, lamenta la violazione e l’errata applicazione degli articolo 2222 e seg. c.c., e 83 c.p.c., in riferimento all’ articolo 360, commi 3 e 5 c.p.c., mentre con il secondo motivo censura la violazione e l’errata applicazione degli artt. 1292 e 1294 c.c., in riferimento all’articolo 360, comma 3, c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360. comma 5, c.p.c La Corte di Cassazione, esaminandoli congiuntamente, in quanto strettamente connessi, ritiene infondati i due motivi. Le osservazioni della Corte di Cassazione. Ad avviso dei Supremi giudici la Corte d’Appello non si è discostata dall’orientamento proprio della Suprema Corte, secondo il quale obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo. In tale ipotesi, si instaura un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale. Per i Giudici della Sesta Sezione la controversia riguarda l’interpretazione dell’atto di conferimento dell’incarico professionale, sottoscritto nel 2009. Essi ritengono che la Corte di Appello di Milano, confermando la decisione del Tribunale di Varese, abbia dato un apprezzamento congruo e logico, ritenendo che l’atto del 2009 presenta un contenuto generico che non individua alcuna controversia specifica. In altre parole, anche se l’atto fa riferimento a un conferimento di incarico”, non risulta idoneo a rilasciare alcun mandato al difensore ma è utile soltanto per fissare un accordo quadro generale volto ad individuare i criteri di computo dei compensi in relazione agli incarichi che in futuro sarebbero stati conferiti. Pertanto, non risulta configurabile una solidarietà passiva per le prestazioni in relazione alle quali non risulta, in realtà, essere stato conferito alcun formale incarico professionale. In definitiva, mancando il conferimento di una procura alle liti per la rappresentanza e difesa in giudizio – che nel caso specifico risulta essere stata rilasciata soltanto dalla srl e dall’azienda agricola - era necessario che tra l’avvocato ricorrente e le due persone fosse esistito un contratto di patrocinio con il quale il professionista venisse incaricato di svolgere la sua opera professionale. La Corte di Cassazione ritiene che i Giudici del merito abbiano esposto in maniera ordinata e coerente le ragioni a sostegno delle proprie decisioni e, dunque, nel caso di specie, i profili relativi al merito della ricostruzione della volontà delle parti sono insindacabili in sede di legittimità. Conclusione. I Giudici della Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigettano il ricorso, dichiarano che non vi è luogo a una pronuncia sulle spese, poiché gli intimati non hanno svolto attività difensiva e danno atto, altresì, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 30 novembre – 11 dicembre 2017, n. 29590 Presidente D’Ascola – Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che l’Avv. A.A. ha chiesto la condanna di M.P. e di M.G. al pagamento del complessivo importo di Euro 128.111,29, oltre oneri di legge, a titolo di corrispettivo per l’incarico professionale, da essi conferito, di assistenza, consulenza e rappresentanza e difesa nelle controversie giudiziali e stragiudiziali afferenti direttamente ai medesimi, nonché alle società M. s.r.l. e all’Azienda Agricola ai Frutti di Bosco, attraverso la sottoscrizione di apposito atto di conferimento di incarico professionale in data 30 novembre 2009 che si è costituita la sola M.P. , resistendo che il Tribunale di Varese, con sentenza n. 651/14 in data 16 giugno 2014, ha condannato i convenuti in solido al pagamento in favore del ricorrente quanto al procedimento RGN 535/2010 Tribunale di Varese dell’importo di Euro 1.541 per diritti, Euro 4.800 per onorari, Euro 145 per spese ed Euro 558 per anticipazioni, oltre al 12,50% sui diritti ed onorari per rimborso forfettario spese generali e oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge, nonché al pagamento quanto al procedimento RGN 906/2010 Tribunale di Varese di Euro 1.377 per diritti, Euro 4.080 per onorari, Euro 154,40 per spese ed Euro 348 per anticipazioni, oltre al 12,50% sui diritti ed onorari per rimborso forfettario spese generali e oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge ha inoltre condannato M.G. al pagamento in favore del ricorrente quanto al procedimento RGN 1771/2010 Tribunale di Brescia dell’importo di Euro 110,60 per spese, Euro 101,50 per anticipazioni, Euro 550 per diritti ed Euro 900 per onorari, oltre al 12,50% su diritti ed onorari per rimborso forfettario ed oneri fiscali e previdenziali come per legge che ha proposto appello l’Avv. A. , sostenendo che erroneamente il Tribunale non avesse ritenuto che l’accordo richiamato valeva a conferire incarico per tutte le cause e procedure indicate, e che erroneamente avesse escluso la solidarietà dell’obbligazione assunta da M.P. e M.G. che si è costituita la sola M.P. , resistendo che la Corte d’appello di Milano, con sentenza ex art. 281-sexies cod. proc. civ. in data 20 aprile 2016, ha rigettato l’appello dell’Avv. A. , stante l’assoluta genericità del documento in data 30 novembre 2009 e considerato che per le prestazioni per le quali il Tribunale ha respinto la domanda il mandato alle liti risulta conferito dalla sola società M. o dalla sola Azienda Agricola ai Frutti di Bosco, e, quanto alle prestazioni stragiudiziali, il riferimento è sempre alla società M. s.r.l., e mai a M.P. in proprio che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello 1’Avv. A. ha proposto ricorso, sulla base di due motivi che nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata notificata alla parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che non è stata depositata alcuna memoria. Considerato che con il primo mezzo il ricorrente lamenta insufficiente motivazione ed errata applicazione degli artt. 2222 e ss. cod. civ. e 83 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. che il secondo mezzo censura violazione ed errata applicazione degli artt. 1292 e 1294 cod. civ., in riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. che i motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione - sono infondati che la Corte d’appello non si è di certo discostata dal principio secondo cui obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, ben potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo, instaurandosi in tale ipotesi un altro e distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale v., in questo senso, da ultimo, Cass., Sez. III, 30 settembre 2016, n. 19416 che in realtà la controversia riguarda l’interpretazione dell’atto di conferimento di incarico professionale del 30 novembre 2009 che a questo riguardo la Corte d’appello, con congruo e logico apprezzamento, ha ritenuto, confermando la decisione del Tribunale, che si tratta di un atto dal contenuto generico, che non individua alcuna controversia specifica esso, pur facendo riferimento ad un conferimento di incarico , non è realmente idoneo a rilasciare alcun mandato al difensore, ma vale soltanto a fissare un accordo quadro generale, finalizzato all’individuazione dei criteri di computo dei compensi in relazione agli incarichi che sarebbero stati in futuro conferiti, con conseguente non configurabilità di una solidarietà passiva per le prestazioni in relazioni alle quali non risulta essere stato conferito un formale incarico che si tratta di una conclusione corretta in punto di diritto, posto che, in difetto di un conferimento di una procura alle liti per la rappresentanza e difesa in giudizio che nella specie venne rilasciata soltanto dalla s.r.l. M. o dalla Azienda Agricola , occorreva che vi fosse tra l’Avv. A. e i M. un contratto di patrocinio, con il quale il professionista fosse stato appunto incaricato, secondo lo schema negoziale proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale il che la Corte d’appello ha escluso, facendo leva sull’assoluta genericità del documento in data 30 novembre 2009 che la doglianza del ricorrente - senza riportare il tenore dell’atto del 30 novembre 2009 né del successivo atto di revoca del conferimento dell’incarico - finisce con il sollecitare una diversa interpretazione del contenuto negoziale di quell’accordo, senza neppure denunciare la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. né indicare quali canoni ermeneutici sarebbero stati non osservati che va qui ribadito che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24539 Cass., Sez. I, 17 marzo 2014, n. 6125 che i motivi sottopongono alla Corte, nella sostanza, profili relativi al merito della ricostruzione della volontà delle parti, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando - come nel caso di specie - risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicché deve escludersi tanto la mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico , quanto la motivazione apparente , o il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili , figure queste - manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione - che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 cod. proc. civ. operata dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori - ai sensi del nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. - non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053 che il ricorso è rigettato che non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede che ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 , applicabile ratione temporis essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013 , ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. rigetta il ricorso dichiara - ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228/12 - la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.