Nessun indennizzo per l’impoverito se non prova l’arricchimento indiretto del terzo

Il decisum in commento affronta il tema dell’azione di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c Nello specifico si tratta di stabilire quali siano i presupposti dell’actio de rem in verso e se possa, o meno, ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto.

E, la sesta sezione civile di Piazza Cavour, con l’ordinanza n. 28745/17, depositata il 30 novembre, conformandosi ad un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità v. Cass, SS.UU. n. 24772/08 , ribadisce il principio di diritto secondo cui l’azione di cui all’art. 2041 c.c. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti a la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito b la unicità del fatto causativo dell’impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto”, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito. Tuttavia, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto”, ma nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito. Il fatto. Il Giudice di pace di Perugia rigettava la domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. proposta da Tizio nei confronti di Sempronio, per aver quest’ultimo posto all’incasso un assegno di c/c postale appartenente al libretto che Tizio aveva lasciato incustodito nella propria autovettura aperta e che gli era stato sottratto. La decisione veniva inoltre confermata in appello dal Tribunale perugino con sentenza del luglio 2015. Avverso quest’ultima decisione Tizio ricorreva quindi in Cassazione lamentando l’illegittima inversione dell’onere della prova nonché la contraddittorietà della motivazione. In particolare, il giudice di seconde cure aveva escluso i presupposti dell’ actio de in rem verso difettando l’unicità del fatto genetico dell’impoverimento e dell’arricchimento ingiustificato, attesa la censura della interferenza tra i due eventi determinata dalla condotta illecita – furto del libretto di assegni – realizzata da ignoti in ogni caso non sussistevano neppure i fatti costitutivi di una pretesa risarcitoria ex art. 2043 c.c. non emergendo dal titolo di credito elementi di irregolarità formale tali da indurre a sospetto colui che lo aveva ricevuto in pagamento, né avendo Tizio dedotto elementi probatori atti a dimostrare che Sempronio fosse coinvolto nella commissione del reato di furto. E, parimenti, gli Ermellini respingono in toto le censure fatte valere dal ricorrente chiarendo che Sempronio al quale era stato consegnato il titolo non era onerato a svolgere alcuna previa verifica in ordine al legittimo possesso del portatore od a verificare se e quali accordi di riempimento del titolo fossero intervenuti tra l’emittente ed il portatore – nella specie l’illecito possessore od i successori possessori – che avevano negoziato l’assegno postale, dovendo quindi presumersi l’acquisto in buona fede del possesso del titolo da parte di Sempronio. Peraltro – aggiungono ancora i Supremi giudici – Tizio, che agiva ex art. 2041 c.c., avrebbe dovuto provare che il vantaggio patrimoniale di cui si era arricchito il terzo beneficiario Sempronio era stato conseguito a titolo gratuito” od in via di mero fatto” non essendo stata fornita tale prova dall’impoverito, secondo l’insindacabile apprezzamento di merito del materiale istruttorio effettuato dal Giudice di appello, correttamente l’azione di arricchimento ingiustificato è stata ritenuta infondata essendo stata conseguita la prestazione dal terzo in virtù di un atto a titolo oneroso. L’azione di ingiustificato arricchimento si caratterizza per la sussidiarietà. In base a tale principio essa riveste un ruolo secondario e non può essere esperita se sussistono i presupposti di un’altra azione. Attraverso l’azione ex art. 2041 c.c. vengono difatti corrette le conseguenze economiche di un comportamento secondo diritto, cioè non ostacolato dall’ordinamento, ma che ha determinato conseguenza ingiuste. La tutela dell’ingiustificato arricchimento è invero di tipo equitativo e questo spiega lo spazio marginale che quest’azione occupa rispetto ai rimedi restitutori o risarcitori. Le differenze tra l’azione di ingiustificato arricchimento e l’azione di risarcimento del danno ex 2043c.c L’azione di ingiustificato arricchimento rappresenta una tecnica di tutela finalizzata a neutralizzare acquisizioni di ricchezza altrui non negoziate con il legittimo titolare della risorsa che vanno ben oltre l’ipotesi di un’attribuzione patrimoniale sine causa . Sotto questo profilo è netta dunque la differenza con l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. quest’ultima, infatti, mira in primo luogo, a ristorare la vittima per la perdita patrimoniale, il danno, appunto, subita a seguito dell’altrui condotta illecita, mentre l’azione di ingiustificato arricchimento non presuppone una distruzione di ricchezza, ma solo che la ricchezza sia stata creata attraverso l’esercizio di poteri che, per legge, spetterebbero in via esclusiva ad altri. Questa differenza si traduce nel diverso contenuto delle due obbligazioni, quella risarcitoria è commisurata al danno complessivamente patito che dovrà essere integralmente riparato, quella indennitaria, invece, incontra il doppio limite del depauperamento subito da una parte e dell’arricchimento conseguito dall’altra. I presupposti dell’azione di ingiustificato arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. L’art. 2041 c.c., difatti, prevede un diritto all’indennizzo in favore dell’impoverito nei limiti in cui vi sia un arricchimento per un terzo soggetto. E’ necessario, quindi, che sussista un nesso di derivazione tra arricchimento ed impoverimento. E, proprio su tale rapporto di derivazione, si è a lungo dibattuto sia in dottrina che in giurisprudenza. Secondo una prima tesi, tra arricchimento ed impoverimento vi deve essere un rapporto di immediatezza che deve trarre origine da un medesimo fatto costitutivo. Invece, secondo un altro orientamento non è necessaria l’unicità del titolo da cui sorgono impoverimento ed arricchimento, essendo sufficiente che tali due requisiti siano conseguenza l’uno dell’altra. L’aderire all’una piuttosto che all’altra tesi comporta la possibilità di esperire, o meno, l’azione de quo in caso di arricchimento indiretto, che si ha quando l’arricchimento si produce in favore di un soggetto terzo rispetto a colui che ha causato l’impoverimento. L’arricchimento indiretto deve essere stato conseguito dal terzo a titolo gratuito, e non in virtù di un atto a titolo oneroso. Tuttavia, come hanno ribadito gli Ermellini, nel decisum che qui ci occupa, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto, solo qualora sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito. Nella specie, deve rilevarsi che l’obbligazione indennitaria gravante sul terzo prenditore il quale aveva beneficiato indirettamente della perdita patrimoniale subita dall’impoverito emittente in conseguenza dell’illecito commesso dal soggetto autore del furto obbligato al risarcimento dei danni a favore del depauperato, implicava la prova da parte di colui che agiva ex art. 2041 c.c., che il vantaggio patrimoniale di cui si era arricchito il terzo beneficiario, fosse stata conseguita a titolo gratuito” od in via di mero fatto”, e non in virtù di un atto a titolo oneroso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 27 settembre 30 novembre 2017, n. 28745 Presidente Armano – Relatore Olivieri Fatto e diritto Il collegio. Premesso Il Giudice di Pace di Perugia con sentenza 2655/2010 rigettava la domanda di condanna al pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. proposta da P.A.P. nei confronti di D.F. , per avere quest’ultimo posto all’incasso un assegno di c/c postale appartenente al libretto che il P. aveva lasciato incustodito nella propria autovettura aperta e che gli era stato sottratto nelle date tra il OMISSIS . La decisione è stata confermata in grado di appello dal Tribunale di Perugia con sentenza 28.7.2015 n. 1235. Il Giudice di appello ha escluso la sussistenza dei presupposti dell’ actio de in rem verso difettando la unicità del fatto genetico dell’impoverimento e dell’arricchimento ingiustificato, attesa la cesura della interferenza -sul nesso di interdipendenza causale tra i due eventi, determinata dalla condotta illecita furto del libretto di assegni realizzata da ignoti in ogni caso non sussistevano neppure i fatti costituivi di una pretesa risarcitoria ex art. 2043 c.c. non emergendo dal titolo di credito elementi di irregolarità formale tali da indurre a sospetto colui che lo aveva ricevuto in pagamento, né avendo il Ferri dedotto elementi probatori atti a dimostrare che il D. fosse coinvolto nella commissione del reato di furto, non essendo conducenti a tal fine i fatti oggetto dell’interrogatorio formale deferito al convenuto. La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione, con un unico motivo, dal P. , con atto notificato in data 14.12.2015 al difensore domiciliatario del D. che non ha svolto difese. Osserva Indipendentemente dal carattere anodino della rubrica del motivo violazione art. 360 c.p.c. , il ricorrente censura la sentenza per illegittima inversione dell’onere della prova e dunque per violazione della norma di cui all’art. 2967 c.c. , nonché per contraddittorietà della motivazione . Inammissibile deve ritenersi la seconda censura, in quanto non più corrispondente alla tipologia del vizio di legittimità definito dall’art. 360co1 n. 5 c.p.c., nel testo riformato dall’art. 54co1, lett. b , del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 recante Misure urgenti per la crescita del Paese come interpretato da questa Corte cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014 id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 , non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi, e comunque non essendo stato dedotto dal ricorrente l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia decisivo ai fini di una diversa decisione meramente anapodittica è l’affermazione -speculare e contraria alla statuizione della sentenza impugnata-secondo cui dalle risposte fornite dal D. nel corso dell’interrogatorio formale deferitogli in primo grado, risulterebbero comprovati i fatti costitutivi della pretesa . Indipendentemente dal rilievo per cui la censura non risponde al requisito di ammissibilità ex art. 366co1 n. 6 c.p.c., non essendo stati riportati i fatti sfavorevoli al convenuto in ipotesi confessati, è appena il caso di rilevare come il Giudice di appello ha ritenuto la totale estraneità ed irrilevanza delle dichiarazioni rese dal D. rispetto agli elementi costitutivi della pretesa azionata . Infondata invece è la prima censura. Risulta incontestato che in data omissis era stato perpetrato il furto del libretto di assegni, denunciato dal P. alla Stazione CC di , e che il omissis successivo un assegno di tale libretto risultava posto all’incasso dal D. titolare di un esercizio commerciale Bar-panetteria, il quale ha asserito che il titolo era stato verosimilmente negoziato da una terza persona -rimasta ignota per fornitura merce nell’ambito dello svolgimento della propria attività commerciale, senza tuttavia ricordare a quale prestazione fosse riferibile. Il titolo recava la sottoscrizione dell’emittente P. e la cui genuinità non è stata contestata dall’attuale ricorrente e la indicazione del D. come prenditore, il quale aveva in assenza di precedenti giranti, effettuato la girata per l’incasso. Tali le premesse in fatto, e tenuto conto del regime di circolazione del titolo assegno di c/ postale emesso incompleto, sottratto da ignoti e successivamente negoziato e completato con la indicazione del beneficiario , originariamente emesso come titolo al portatore e quindi incassato come titolo all’ordine cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18528 del 03/09/2007 id. Sez. 1 Sentenza n. 4910 del 27/02/2017 , occorre considerare che, escluso -in difetto di prova un coinvolgimento del D. nel reato di illecita sottrazione del titolo, risultava dimostrato che l’assegno era stato posto in circolazione dal soggetto autore del furto o da altri soggetti che ne fossero venuti in possesso -tutti rimasti ignoti nelle forme previste dalla disciplina propria del tipo art. 5, comma 3, r.d 21.12.1933 n. 1736, applicabile all’assegno postale in virtù dell’art. 7, comma 4, DPR 14 marzo 2001 n. 144, come modificato dall’art. 1, comma 1, del DPR 28 novembre 2002 n. 298, secondo cui Agli assegni postali ordinari si applicano le disposizioni del regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, e tutte le altre disposizioni relative all’assegno bancario . In conseguenza il Giudice di appello ha ritenuto dimostrata presuntivamente -avuto riguardo all’attività commerciale svolta dal D. la esistenza di una giustificazione causale del pagamento, in tal modo rimanendo assolto il prenditore, convenuto in giudizio ex art. 2041 c.c., da ulteriori oneri probatori, osservando che il D. la quale era stato consegnato il titolo non era onerato a svolgere alcuna previa verifica in ordine al legittimo possesso del portatore od a verificare se e quali accordi di riempimento del titolo fossero intervenuti tra l’emittente ed il portatore nella specie l’illecito possessore od i successori possessori che avevano negoziato l’assegno postale, dovendo quindi presumersi l’acquisto in buona fede del possesso del titolo da parte del D. art. 1194 c.c. . Tale accertamento in fatto non determina alcuna violazione della regola del riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. e dunque non incorso nel vizio contestato il Tribunale perugino laddove ha ritenuto non provati i fatti costitutivi dell’azione di ingiustificato arricchimento. Va ribadito, al proposito, il principio di diritto secondo cui l’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti a la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito b la unicità del fatto causativo dell’impoverimento, sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto , nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito. Tuttavia, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto , ma nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24772 del 08/10/2008 id. Sez. 1, Sentenza n. 1833 del 26/01/2011 id. Sez. 2, Sentenza n. 10663 del 22/05/2015 . Orbene, trasponendo gli elementi probatori sopra indicati nello schema dell’azione di arricchimento ingiustificato, deve rilevarsi che l’obbligazione indennitaria gravante sul terzo prenditore il quale aveva beneficiato indirettamente della perdita patrimoniale subita dall’impoverito emittente in conseguenza dell’illecito commesso dal soggetto autore del furto obbligato al risarcimento danni nei confronti del depauperato, implicava la prova, da parte del P. che agiva ex art. 2041 c.c., che il vantaggio patrimoniale di cui si era arricchito il terzo-beneficiario D. era stato conseguito a titolo gratuito od in via di di mero fatto non essendo stata fornita tale prova dall’impoverito, secondo l’insindacabile apprezzamento di merito del materiale istruttorio effettuato dal Giudice di appello, correttamente l’azione di arricchimento ingiustificato è stata ritenuta infondata essendo stata conseguita la prestazione dal terzo in virtù di un atto a titolo oneroso rapporto di natura commerciale . Rimane in conseguenza assorbito l’esame delle ulteriori censure -che appaiono fondate alla statuizione che dichiara inoltre inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento per difetto del requisito di sussidiarietà ex art. 2042 c.c Il ricorso deve essere rigettato, non occorrendo disporre sulle spese del giudizio di legittimità in difetto di difese svolte dall’intimato. P.Q.M. rigetta il ricorso principale. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115, inserito dall’art. 1 comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.