La traduzione del decreto di espulsione non basta per garantire il diritto alla “partenza volontaria”

Il decreto di espulsione emesso nei confronti dell’immigrato deve garantire la conoscibilità di quanto previsto dall’art. 13, comma 5.1 Espulsione amministrativa , d.lgs. n. 286/1998, ossia la facoltà per il cittadino extracomunitario di poter lasciare spontaneamente il territorio dello Stato entro uno specifico termine. La mera traduzione del decreto nella lingua ufficiale dello Stato di appartenenza del cittadino extracomunitario risulta inidonea ad assolvere tale funzione.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 28158/17, depositata il 24 novembre. Il caso. Il Prefetto della Provincia di Roma emetteva un decreto di espulsione nei confronti di un cittadino extracomunitario nato in Bangladesh, in seguito al suo irregolare ingresso nel territorio dello Stato. Il Giudice di Pace di Roma rigettava con ordinanza l’impugnazione del decreto di espulsione, pertanto il cittadino extracomunitario propone ricorso per cassazione dolendosi della mancata predisposizione, a cura della Prefettura, della traduzione del decreto in lingua comprensibile al soggetto interessato – come previsto ai sensi dell’art. 13, comma 5.1 Espulsione amministrativa , d.lgs. n. 286/1998 – in modo da consentirgli la partenza volontaria dal territorio dello Stato. Il ricorrente, inoltre, lamenta la conseguente violazione del diritto difesa e l’incomprensibilità della motivazione su cui l’ordinanza impugnata si fonda. Il diritto alla partenza volontaria. La Suprema Corte rileva la violazione del diritto di opzione riconosciuto dall’art. 15, comma 5.1, d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui prevede che lo straniero abbia la facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue . Ora, il fatto che il Giudice di Pace abbia giustificato il rigetto dell’opposizione al decreto osservando che era stata fornita una traduzione del decreto in lingua inglese, in quanto lingua ufficiale del Bangladesh, non è sufficiente a motivare l’ordinanza di rigetto, giacché non consente di stabilire se, in concreto, all’odierno istante fosse stata rappresentata la possibilità di richiedere un termine per la partenza volontaria . L’ordinanza del Giudice di Pace risulta dunque, secondo i Giudici di legittimità, priva di idonea motivazione. La Corte quindi accoglie il ricorso e cassa con rinvio l’ordinanza del Giudice di Pace.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 14 luglio – 24 novembre 2017, n. 28158 Presidente Di Palma – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Il Prefetto della Provincia di Roma emetteva decreto di espulsione in danno di S.M. sul presupposto che lo stesso, cittadino extracomunitario nato in omissis e di cittadinanza bengalese, era entrato irregolarmente nel territorio dello Stato in data 1 ottobre 2015 attraverso la frontiera di Trieste. 2. - L’impugnazione del decreto avanti al Giudice di pace di Roma era definita con ordinanza di rigetto depositata il 29 luglio 2016. 3. - Contro la pronuncia ricorre per cassazione il predetto S.M. , il quale fa valere due motivi. Il Prefetto della Provincia di Roma, intimato, non ha svolto attività processuale nella presente sede. Ragioni della decisione 1. - Le due censure possono riassumersi nei termini che seguono. 1.1. - Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 13 d.lgs. n. 286/1998, come modificato dal d.l. n. 241/2008 e 18 d.lgs. n. 150/2011 e la contestuale violazione o mancata applicazione degli artt. 23 l. n. 689/1981, 737 e 738 c.p.c., 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ratificata con l. n. 848/1955, nonché degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 14, comma 5 ter d.lgs. n. 286/1998 lamenta, altresì, l’irragionevolezza, l’arbitrarietà e l’illogicità della motivazione. L’istante, in sintesi, si duole della illegittimità della impugnata ordinanza, la cui motivazione risultava del tutto incomprensibile. 1.2. - Il secondo motivo censura la violazione della dir. 2008/115/CE, come recepita dall’art. 3 d.l. n. 89/2011, convertito in l. n. 129/2011, in riferimento alle modifiche apportate dall’art. 13, comma 5, n. 1 d.lgs. n. 296/1998 e degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, per come interpretati dalla Corte di giustizia nelle sentenze rese con riferimento ai procedimenti C-166/13 e C383/13. L’istante deduce, in particolare, che il Giudice di pace, nel respingere il secondo motivo di ricorso, aveva omesso di giudicare della censura con la quale si era rilevato che la mancata informativa circa la possibilità di chiedere il termine per la partenza volontaria aveva di fatto leso il diritto di difesa e violato il principio del contraddittorio, essendo stato lo stesso istante sostanzialmente privato della possibilità di cooperare al rimpatrio optando per la predetta modalità di esecuzione del provvedimento. 2. - I due motivi possono esaminarsi congiuntamente e appaiono fondati. Come è esposto in ricorso, l’odierno istante aveva basato l’impugnazione proposta avanti al Giudice di pace su due motivi. Con il primo aveva dedotto che sarebbe stato preciso obbligo della Prefettura provvedere ad idonea traduzione, per il tramite della predisposizione di schede plurilingue, del decreto di espulsione e del modulo recante l’informativa circa la facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria. Con il secondo aveva evidenziato di non aver avuto la possibilità di richiedere il detto termine posto che, tra l’altro, il decreto di espulsione impugnato era tradotto in lingua a lui non comprensibile. Il Giudice di pace, nel respingere l’opposizione al decreto, ha osservato che la lingua ufficiale del Bangladesh era l’inglese e che non erano stati portati elementi tali da consentire il rigetto della espulsione prefettizia . Va ricordato che secondo l’art. 13, comma 5.1, d.lgs. n. 286/1998, ai fini dell’applicazione del comma 5, e cioè dell’eventuale esercizio da parte dello straniero, della concessione di un termine per la partenza volontaria, la questura provvede a dare adeguata informazione allo straniero della facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue . Ciò posto, il provvedimento di espulsione dello straniero è rimesso alla potestà deliberativa esclusiva del prefetto, la cui legittimità è nondimeno sindacabile avendo riguardo proprio al fatto che il cittadino straniero non abbia potuto esercitare la propria opzione in ordine alla richiesta di rimpatrio mediante partenza volontaria, previa adeguata informazione a mezzo di schede informative plurilingue Cass. 28 gennaio 2014, n. 1809 . In tal senso, il Giudice di pace avrebbe dovuto accertare se l’odierno ricorrente fosse stato posto nella condizione di avvalersi della nominata opzione. E a tal fine l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui la lingua ufficiale del Bangladesh è l’inglese non spiega se, in concreto, all’odierno istante fosse stata rappresentata la possibilità di richiedere un termine per la partenza volontaria questione che, come si è visto, S. aveva specificamente posto nel ricorso. L’ordinanza adottata dal Giudice di pace risulta, dunque, realmente priva di idonea motivazione, giacché la statuizione non è comprensibilmente argomentata. Deve qui evidenziarsi che il provvedimento del giudice di pace, anche se adottato all’esito del procedimento camerale di opposizione all’espulsione, è affetto da nullità ove sia del tutto privo dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione, venendo in questione un procedimento contenzioso avente ad oggetto diritti soggettivi Cass. 4 agosto 2010, n. 18108 . 3. - L’ordinanza impugnata va quindi cassata e rinviata al Giudice di pace di Roma, incaricato di regolare anche le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Giudice di pace di Roma, in persona di diverso magistrato, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.