Apolidi: basta il certificato di mancata iscrizione nel registro dell’anagrafe?

Nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento dello status di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi, e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili, operando il principio dell'attenuazione dell'onere della prova ed il conseguente obbligo di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito soltanto al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi e procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti.

La Prima Sezione Civile della Cassazione sentenza n. 28153/17 depositata il 24 novembre ha affrontato il tema del riconoscimento dell’apolide nel nostro Paese, e in particolare quello dell’onere probatorio e della sottostante attività istruttoria, delineandone i criteri e i limiti d’indagine. Il caso. Il Tribunale di Roma aveva riconosciuto lo status di apolide ad una signora nata nella ex Jugoslavia oggi ricadente in territorio oggetto di contestazione tra la Repubblica di Serbia e quella del Kosovo , da genitori di etnia rom e residente in Italia da tempo. La decisione, impugnata dal Ministero dell’Interno, era stata confermata in appello, ritenendo che la richiedente avesse comunque adempiuto all'onere probatorio su di essa incombente, in quanto risultava dimostrato di non possedere e di non poter conseguire la cittadinanza della Repubblica di Serbia, avendo prodotto in giudizio il certificato attestante la sua mancata registrazione nell'anagrafe del Comune di nascita. Pertanto, secondo la Corte territoriale, ciò bastava per ritenere che la richiedente non avrebbe potuto conseguire, se lo avesse richiesto, il riconoscimento della cittadinanza della Serbia. Norma fondamentale in materia di accertamento dello status di apolidia è, in assenza di un'organica disciplina interna, l'art. 1 della Convenzione di New York del 28/09/1954 resa esecutiva in Italia con L. 1° febbraio 1962, n. 306 . Tale normativa definisce apolide la persona che nessuno Stato considera come proprio cittadino alla stregua della sua legislazione. Apolidia originaria e apolidia successiva o derivata. Ai sensi di tale norma assumono rilievo due distinte situazioni di apolidia l'apolidia originaria, che è una condizione in cui il soggetto si trova fin dalla nascita oppure, come nel caso di specie, l'apolidia successiva o derivata” , consistente nella perdita della cittadinanza originaria cui non segua l'acquisto di alcuna nuova cittadinanza. Secondo il Ministero dell’Interno sarebbe stata violato proprio il disposto dell'art. 1, comma 1, della Convenzione di New York del 1954. Questo perché la corretta interpretazione di tale norma impone di considerare apolide” esclusivamente il soggetto che non sia mai stato cittadino di uno Stato né possa in concreto acquistarne la cittadinanza in base al proprio ordinamento giuridico. Ciò si traduce, sul piano dell'onere della prova, nella necessità che il richiedente provi la mancanza di cittadinanza in relazione agli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto rapporti significativi, e l'impossibilità di ottenerla secondo l'ordinamento di quegli Stati, non essendo a tal fine sufficiente la mera attestazione della mancata iscrizione nei registri anagrafici. La Corte territoriale avrebbe fatto mal governo di tale principi in materia di onere della prova, accontentandosi” di un certificato attestante che la richiedente non era iscritta al registro dell’anagrafe del Comune di nascita. Critica condivisa dalla Cassazione. L’onere probatorio attenuato” ma con istruttoria approfondita. Con particolare riguardo all’aspetto dell’onere probatorio, centrale per la decisione del ricorso, la Suprema Corte ribadisce che, stante la natura dei diritti da proteggere e l'assimilabilità della condizione del richiedente lo status di apolide a quella dello straniero richiedente la protezione internazionale, l' onus probandi ricadente sul primo deve ritenersi parimenti attenuato, nel senso che eventuali lacune o necessità d'integrazione istruttoria devono essere colmate con l'esercizio di poteri-doveri istruttori officiosi da parte del giudice, realizzabili mediante la richiesta d'informazioni o di documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano o dello Stato di origine o dello Stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo. In sostanza, secondo gli Ermellini, la fase istruttoria, quando necessario, deve essere resa completa anche attraverso l’attivazione di poteri officiosi da parte del Giudice. È sufficiente il mero dato formale della mancata iscrizione del soggetto nei registri anagrafici di un dato Paese a dimostrare il non possesso della cittadinanza del Paese medesimo? La riposta della Cassazione è negativa. Come detto, la Corte territoriale si era limitata” ad accertare che la richiedente non era registrata nel Comune di nascita, da ciò desumendone l'impossibilità per la stessa di conseguire, ove lo richiedesse, il riconoscimento della cittadinanza della Serbia. Ed è proprio questa mancanza di approfondimento istruttorio che gli Ermellini censurano, cassando con rinvio la decisione impugnata. Infatti, il Giudice di merito ha omesso di verificare - sia sotto il profilo del parametro normativo legge sulla cittadinanza applicabile alla fattispecie , sia sotto il profilo dei requisiti e degli impedimenti effettivi mediante richiesta officiosa d'informazioni alle autorità diplomatiche o consolari competenti - se la dedotta impossibilità di ottenere la cittadinanza verso lo Stato più prossimo fosse reale ed effettiva, tenuto conto dell'onere di allegare e dimostrare, per quanto possibile, tale condizione da parte della richiedente, anche se non necessariamente o esclusivamente mediante la richiesta inevasa di ottenere tale status . Del resto, le certificazioni attestanti l'assenza di iscrizione nei registri anagrafici non costituiscono, di per se stesse, prova sufficiente della mancanza dello status civitatis , laddove non venga dedotta alcuna precedente richiesta di iscrizione in tali registri. È necessaria la prova anche indiziaria del rifiuto del riconoscimento. Invero, precisano gli Ermellini, pur dovendosi dare rilievo a situazioni di apolidia di fatto , è necessario che l'istante fornisca la prova, anche indiziaria, di atti di rifiuto, da parte dello Stato con cui il richiedente ha un legame, di prerogative normalmente connesse al possesso della cittadinanza. Il principio di diritto affermato dagli Ermellini. In conclusione la Suprema Corte cassa con rinvio affermando il seguente principio di diritto Nei giudizi aventi ad oggetto l'accertamento dello status di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi, e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili, operando il principio dell'attenuazione dell'onere della prova ed il conseguente obbligo di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito soltanto al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi e procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 giugno – 24 novembre 2017, n. 28153 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Fatti di causa Con sentenza n. 679/2013 il Tribunale di Roma ha riconosciuto lo status di apolide a G.S. , nata il omissis nella omissis , oggi ricadente in territorio oggetto di contestazione tra la omissis da genitori di etnia rom e residente in Italia dal . La Corte d’appello di Roma, investita dell’impugnazione proposta dal Ministero dell’interno, ha rigettato il gravame con sentenza n. 7416/2016, confermando la decisione di primo grado. A sostegno della decisione la Corte territoriale ha ritenuto che G.S. avesse adempiuto all’onere probatorio su di essa incombente, in quanto aveva dimostrato di non possedere e di non poter conseguire la cittadinanza della omissis , avendo prodotto in giudizio il certificato attestante la sua mancata registrazione nell’anagrafe del Comune di nascita. Pertanto, secondo il giudizio del Collegio, poteva ritenersi che la richiedente non avrebbe potuto conseguire, se lo avesse richiesto, il riconoscimento della cittadinanza della . Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso G.S. . In esito all’adunanza camerale del 09/12/2016, tenutasi presso la Sesta sezione, la trattazione del presente ricorso è stata rimessa alla pubblica udienza della Prima sezione civile. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.comma Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1, comma 1, della Convenzione di New York del 1954, resa esecutiva in Italia con L. 306/1962, in quanto la corretta interpretazione di tale norma impone di considerare apolide esclusivamente il soggetto che non sia mai stato cittadino di uno Stato né possa in concreto acquistarne la cittadinanza in base al proprio ordinamento giuridico. Ciò si traduce, sul piano dell’onere della prova, nella necessità che il richiedente provi la mancanza di cittadinanza in relazione agli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto rapporti significativi, e l’impossibilità di ottenerla secondo l’ordinamento di quegli Stati, non essendo a tal fine sufficiente la mera attestazione della mancata iscrizione nei registri anagrafici. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione dell’art. 23, comma 1, della legge sulla cittadinanza della omissis , secondo cui il cittadino di nazionalità serba o di altra nazionalità presente nella omissis e che non risiede nella omissis , acquista la cittadinanza della omissis se ha compiuto 18 anni, è abile al lavoro e presenta dichiarazione scritta di considerare la omissis come Paese di appartenenza . Non risulta che G.S. si sia mai attivata al fine del riconoscimento della cittadinanza da parte della omissis . Norma fondamentale in materia di accertamento dello status di apolidia è, in assenza di un’organica disciplina interna, l’art. 1 della Convenzione di New York del 28/09/1954 resa esecutiva in Italia con L. 1 febbraio 1962, n. 306 , che definisce apolide la persona che nessuno Stato considera come proprio cittadino alla stregua della sua legislazione Aux fins de la presente Convention, le terme apatride designe une persone quaucun Etat ne considere comme son ressortisant par application de sa legislation . Ai sensi della presente norma assumono rilievo due distinte situazioni di apolidia l’apolidia originaria, che è una condizione in cui il soggetto si trova fin dalla nascita oppure, come viene dedotto nel caso di specie dalla controricorrente, l’apolidia successiva o derivata , consistente nella perdita della cittadinanza originaria cui non segua l’acquisto di alcuna nuova cittadinanza. Va ulteriormente premesso, prima di affrontare il profilo specifico oggetto del presente giudizio, che i fatti costitutivi del diritto al riconoscimento dello status di apolide sono, da un lato, la condizione di soggetto privo di qualsiasi cittadinanza, dall’altro, la residenza nel territorio dello Stato italiano. Quanto al primo elemento, è del tutto pacifico, sia nella giurisprudenza di legittimità che in quella di merito, che l’onere della prova gravante sul soggetto istante è riferito esclusivamente allo Stato o agli Stati con cui egli intrattenga o abbia intrattenuto rapporti significativi ovvero, per meglio dire, rapporti produttivi dell’effetto di acquisizione automatica o a domanda dello status civitatis, ad esempio perché vi è nato o vi ha risieduto . Se, infatti, fosse riferito a tutti gli Stati del mondo, determinerebbe una probatio diabolica, trattandosi di un fatto negativo assolutamente indeterminato Cass. n. 15679 del 2013 . È altrettanto pacifico che, ai fini dell’accertamento in discorso, non occorre che venga allegato un atto formale privativo dello status civitatis, ben potendo la condizione di apolidia desumersi, sul piano sostanziale, da atti di rifiuto di protezione o prerogative normalmente garantite al cittadino alla stregua dell’ordinamento interno dello Stato di riferimento Cass. n. 14918 del 2007 . Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia n. 28873 del 2008, hanno definito, sulla base della norma convenzionale, l’apolide come colui che si trova in un Paese di cui non è cittadino, provenendo da altro Paese del quale ha formalmente o sostanzialmente perso la cittadinanza , ponendo in luce la necessità che, ai fini dell’accertamento di tale status, sia valutata la complessiva situazione sostanziale del soggetto rispetto allo Stato o agli Stati di riferimento, senza arrestarsi a un esame formalistico dei riscontri documentali e, più in generale, probatori acquisiti. Questa Corte ha ulteriormente chiarito che, stante la natura dei diritti da proteggere e l’assimilabilità della condizione del richiedente lo status di apolide a quella dello straniero richiedente la protezione internazionale, l’onus probandi ricadente sul primo deve ritenersi parimenti attenuato, nel senso che eventuali lacune o necessità d’integrazione istruttoria devono essere colmate con l’esercizio di poteri-doveri istruttori officiosi da parte del giudice, realizzabili mediante la richiesta d’informazioni o di documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano o dello Stato di origine o dello Stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente medesimo Cass. n. 4262 del 2015 . Venendo all’odierno thema decidendum, la prima questione posta dall’Amministrazione ricorrente concerne l’effettivo contenuto dell’onus probandi gravante sull’istante, nonché l’idoneità del mero dato formale della mancata iscrizione del soggetto nei registri anagrafici di un dato Paese a dimostrare il non possesso della cittadinanza del Paese medesimo. Sul punto la sentenza impugnata ha accertato che G.S. non è registrata nel Comune di nascita, da ciò desumendone l’impossibilità per la stessa di conseguire, ove lo richiedesse, il riconoscimento della cittadinanza della . Deve rilevarsi che la pronuncia impugnata non è conforme ai principi enunciati da questa Corte, avendo il giudice di merito omesso di verificare - sia sotto il profilo del parametro normativo legge sulla cittadinanza applicabile alla fattispecie , sia sotto il profilo dei requisiti e degli impedimenti effettivi mediante richiesta officiosa d’informazioni alle autorità diplomatiche o consolari competenti - se la dedotta impossibilità di ottenere la cittadinanza verso lo Stato più prossimo fosse reale ed effettiva, tenuto conto dell’onere di allegare e dimostrare, per quanto possibile, tale condizione da parte della richiedente, anche se non necessariamente o esclusivamente mediante la richiesta inevasa di ottenere tale status. Deve ulteriormente premettersi che, riguardo al valore probatorio delle certificazioni attestanti l’assenza di iscrizione nei registri anagrafici, questa Corte ha già avuto occasione di esprimersi, pervenendo alla conclusione che esse non costituiscono, di per se stesse, prova sufficiente della mancanza dello status civitatis, laddove non venga dedotta alcuna precedente richiesta di iscrizione in tali registri Cass. n. 12643 del 2016 . Invero, pur dovendosi dare rilievo a situazioni di apolidia di fatto , è necessario che l’istante fornisca la prova, anche indiziaria, di atti di rifiuto, da parte dello Stato con cui il richiedente ha un legame, di prerogative normalmente connesse al possesso della cittadinanza. In un caso analogo questa Corte, con la pronuncia n. 15679 del 2013, ha cassato la decisione resa dal giudice di merito che aveva riconosciuto lo status di apolide a un soggetto nato in omissis sulla base dell’attestazione negativa circa il possesso della cittadinanza macedone rilasciata dall’Autorità consolare ciò in quanto, secondo la legge macedone sulla cittadinanza, l’iscrizione nei registri anagrafici di tale Stato assume natura essenzialmente dichiarativa, ragion per cui l’omessa registrazione, da attribuirsi all’inerzia del soggetto interessato, non assume valore decisivo in merito al mancato possesso della cittadinanza. Al fine di stabilire in quali casi, a livello concreto, uno Stato non considera una persona come suo cittadino nell’applicazione della sua legislazione art. 1, Convenzione di New York del 28/09/1954 , possono fornire supporto le Linee guida in materia di apolidia elaborate dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR . Viene chiarito, in primo luogo, che il giudizio sull’apolidia è sempre un giudizio in fatto e in diritto è necessario verificare, da un lato, cosa preveda la legge straniera nel caso concreto, dall’altro, quale sia l’atteggiamento dello Stato nei confronti di quel concreto individuo o, se ciò non sia possibile, nei confronti delle persone nella sua stessa posizione docomma nr. 1, punti 16 e ss. . Laddove fatto e diritto non coincidano, in quanto le autorità competenti trattano un individuo come non-cittadino nonostante appaia integrare i requisiti per l’acquisizione automatica della cittadinanza ad es., iure soli o iure sanguinis , è la posizione di tali autorità che deve pesare, più che la lettera della legge, al fine di valutare se questa persona sia o meno cittadina di un determinato Stato docomma 1, pt. 30 . Ciò, tuttavia, lascia aperta la seconda questione, esposta dall’Amministrazione ricorrente, circa l’onere di dimostrazione, in capo al richiedente, non solo di non essere cittadino dello Stato con cui ha un collegamento, ma anche dell’impossibilità di acquisire la cittadinanza in base alla legislazione di quello Stato, ovvero del rifiuto opposto dalle Autorità competenti a una specifica richiesta diretta a tal fine. Tale posizione può essere condivisa nei limiti che si esporranno. Merita innanzitutto di essere ribadito il principio, espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 28873 del 2008, secondo cui l’esame della domanda avente ad oggetto l’accertamento dello status di apolide deve essere condotto alla luce della legislazione in materia dello Stato di riferimento, presupponendo la valutazione delle norme che regolano tale aspetto nello Stato con il quale il soggetto ha avuto un legame giuridicamente rilevante. Proprio come chiariscono le Linee guida dell’UNHCR, il fatto ad es., una certificazione anagrafica deve essere illuminato dal diritto la legge straniera sulla cittadinanza ciò al fine di verificare quali siano, a livello normativo, le condizioni cui lo Stato con cui il richiedente ha un collegamento ad es., perché vi è nato, vi ha risieduto per un certo periodo di tempo, o perché uno o entrambi i genitori sono cittadini di quello Stato subordina l’acquisizione dello status civitatis. Dalle Linee guida dell’UNHCR docomma nr. 3, pt. 34-38 può ulteriormente trarsi la distinzione tra il soggetto che, pur essendo privo di qualsiasi cittadinanza, potrebbe ottenere lo status di cittadino da parte dello Stato cui è legato attraverso semplici adempimenti di carattere burocratico o amministrativo e il soggetto che, nella medesima condizione, potrebbe tuttavia ottenere tale status soltanto attraverso l’integrazione di condizioni più onerose ad es., la residenza stabile, per un certo periodo di tempo, in quel determinato Stato . Criterio non dissimile appare essere stato adottato, nella nostra legislazione, dall’art. 2 del D.P.R. 572/1993 Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91 , che così dispone Il figlio, nato in Italia da genitori stranieri, non acquista la cittadinanza italiana per nascita ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera b , della legge, qualora l’ordinamento del Paese di origine dei genitori preveda la trasmissione della cittadinanza al figlio nato all’estero, eventualmente anche subordinandola ad una dichiarazione di volontà da parte dei genitori o legali rappresentanti del minore, ovvero all’adempimento di formalità amministrative da parte degli stessi . Ciò significa - sulla scorta dell’interpretazione data dal Consiglio di Stato con il parere 2482/1992 - che il figlio di genitori stranieri non acquista la cittadinanza italiana iure soli qualora, secondo l’ordinamento del Paese dei genitori, potrebbe ottenere la cittadinanza di tale Paese attraverso delle mere dichiarazioni di volontà presso le autorità consolari o altre formalità di carattere amministrativo. Al contrario, viene acquisita la cittadinanza italiana qualora siano richieste condizioni di carattere sostanziale, quali il riassumere la residenza di tale Paese, prestarvi servizio militare, e simili. Tale criterio discretivo deve essere applicato anche nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento in questione, con la conseguenza che non può essere riconosciuto lo status di apolidia sulla base della mera allegazione della mancanza d’iscrizione nei registri anagrafici del Paese più prossimo. Come posto in luce da alcuni orientamenti della giurisprudenza di merito, ragionando diversamente si farebbe dipendere lo status di apolidia non da una condizione oggettiva, indipendente dalla volontà dell’interessato, ma proprio dalla scelta del soggetto che rifiuta una cittadinanza che potrebbe facilmente acquisire. Il dovere di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito, da realizzarsi non soltanto sulla base di una rigorosa conoscenza della legge sulla cittadinanza del Paese più prossimo, ma anche con eventuale richiesta d’informazioni presso le autorità competenti relativamente ai requisiti ed alle condizioni effettive per il riconoscimento dello status civitatis, non esclude che sul richiedente incomba l’onere di allegare non solo di non essere cittadino degli Stati di prossimità, ma anche di fornire indicazioni sugli elementi impeditivi al riconoscimento dello status in questione. Come per il riconoscimento della protezione internazionale, l’onere di allegazione è specifico e il potere dovere-istruttorio officioso del giudice ha una funzione integrativa volta a colmare lacune probatorie dovute ad esigenze informative specifiche provenienti dalle autorità competenti. Ebbene, proprio nella necessità che il giudizio sull’apolidia sia condotto alla luce dell’effettiva possibilità da parte del richiedente di ottenere la cittadinanza del Paese di riferimento si annida l’error in iudicando della Corte d’appello, che contraddice la sua stessa enunciazione di principio su G.S. gravava l’onere di dimostrare la mancanza della cittadinanza di tale Stato e l’impossibilità di ottenerla desumendo, con giudizio prognostico, tale impossibilità semplicemente dalla certificazione anagrafica del Comune di , e dal dedotto e non dimostrato rifiuto di rilasciare il passaporto alla richiedente, dunque in assenza di specifica allegazione, senza, peraltro, svolgere alcuna indagine anche d’ufficio, secondo i principi espressi della sopra richiamata Cass. 4262 del 2015 sugli effettivi requisiti di acquisto della cittadinanza nello Stato oltre quello italiano con il quale la richiedente ha un collegamento più stretto. La decisione della Corte d’Appello è stata erroneamente fondata soltanto sulla generica deduzione ed allegazione della mancanza della cittadinanza nei paesi di riferimento, così disattendo i principi regolatori dell’onus probandi in questo specifico settore, così come elaborati da questa Corte. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, con assorbimento del secondo la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto, oltre a provvedere alle spese del presente giudizio di legittimità nei giudizi aventi ad oggetto l’accertamento dello status di apolide, il richiedente è tenuto ad allegare specificamente di non possedere la cittadinanza dello Stato o degli Stati con cui intrattenga o abbia intrattenuto legami significativi, e di non essere nelle condizioni giuridiche e/o fattuali di ottenerne il riconoscimento alla luce dei sistemi normativi applicabili, operando il principio dell’attenuazione dell’onere della prova ed il conseguente obbligo di cooperazione istruttoria officiosa del giudice del merito soltanto al fine di colmare lacune probatorie derivanti dalla necessità di conoscere specificamente i sistemi normativi e procedimentali riguardanti la cittadinanza negli Stati di riferimento e di assumere informazioni o svolgere approfondimenti istruttori presso le autorità competenti . P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso per quanto di ragione e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.