Il danneggiato contro il risarcimento calcolato senza l’utilizzo delle tabelle milanesi

A seguito di un incidente stradale i Giudici riconoscevano al danneggiato il risarcimento del danno patrimoniale e del danno biologico. Secondo il danneggiato, però, non è corretto applicare i parametri del Tribunale di Roma e non le tabelle milanesi per calcolare il risarcimento per il danno subito.

Sul tema la Cassazione con ordinanza n. 27568/17, depositata il 21 novembre. La vicenda. A seguito di un incidente stradale, il danneggiato conveniva in giudizio la proprietaria dell’autocarro che aveva causato il sinistro. Il Tribunale riconosceva all’attore, il quale aveva subito gravi lesioni, il risarcimento per il danno patrimoniale e biologico. Il medesimo danneggiato ricorreva in appello avverso la decisione di primo grado. La Corte d’Appello di Roma accoglieva il gravame e riconosceva una maggiore entità dei danni, ma, invece di applicare le tabelle milanesi, ritenendo indispensabile la loro produzione, applicava quelle del Tribunale di Roma. Il danneggiato ha proposto ricorso per cassazione avverso quest’ultima decisione. Nessuna prospettazione ai Giudici di merito. Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia errato nel prendere in considerazione le tabelle di Roma, invece che i parametri previsti nelle tabelle milanesi anche se le medesime non erano state prodotte dall’appellante. La Suprema Corte ha ritenuto il motivo di ricorso inammissibile in quanto è principio assolutamente consolidato delle giurisprudenza di legittimità che il ricorrente debba indicare l’atto di giudizio precedente con cui il Giudice di merito abbia dedotto la questione giuridica oggetto di censura. La Corte rileva che nel caso di specie il danneggiato non abbia indicato in quale atto del giudizio di appello sia stato richiesto di rilevare che le tabelle milanesi fossero maggiormente convenienti per lo stesso rispetto ai criteri di liquidazione, in concreto, applicati dalla Corte territoriale. Criterio equitativo del triplo della pensione sociale. In un'altra censura il ricorrente deduce che siano state erroneamente applicate le norme di diritto in merito alla liquidazione del danno patrimoniale per perdita della capacità lavorativa contestando i metodi di applicazione del criterio equitativo del triplo della pensione sociale in luogo di quello equitativo puro. La Corte ha ritenuto ugualmente inammissibile questo motivo di ricorso non avendo il ricorrente, anche in questo caso, fatto riferimento a questioni giuridiche richieste davanti al Giudice d'Appello. Ad ogni modo la Suprema Corte ha osservato che il ricorso sarebbe stato in ogni caso infondato nella parte in cui sviluppa una critica all’operatività del criterio di liquidazione equitativa in quanto la personalizzazione è idoneamente conseguita prendendo a parametro del calcolo l’importo della pensione sociale al tempo della liquidazione, mentre la prospettazione dell’eccessività dello scarto considerato tra vita lavorativa e vita fisica media non è accompagnata da puntuale adduzione di dati, se del caso pure alla stregua delle modifiche normative in tema di limite di età pensionabile, alla cui stregua desumere la necessità di una misura inferiore dello scarto . Per questi motivi la Cassazione ha dichiarato il ricorso complessivamente inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 25 ottobre – 21 novembre 2017, n. 27568 Presidente Spirito – Relatore De Stefano Fatto e diritto Rilevato che F.A. convenne in giudizio, con atto notificato il 48/07/2002, la RAS assicurazioni spa e la CO.ME.C. commercio mediazione e cava srl, rispettivamente assicuratrice r.c.a. e proprietaria dell’autocarro che lo aveva investito il omissis sulla via omissis mentre era a bordo del suo motociclo, causandogli gravi lesioni e danni pure patrimoniali e, all’esito della chiamata in causa del conducente dei veicolo tale O.D. , l’udito tribunale di Roma, disattesa la riconvenzionale dell’assicuratrice e riconosciuti all’attore postumi permanenti del 37% a seguito di invalidità temporanea di 270 gg., condannò solidalmente convenuti e chiamato al pagamento della finale somma di C 59.750, così determinata dopo avere liquidato il risarcimento in Euro 114.000 per il danno biologico, Euro 19.000 a titolo di pecunia doloris ed Euro 1.750 per spese mediche, dato atto di un intervenuto pagamento - ad opera della stessa assicuratrice - di Euro 75.000 per quel che in questa sede rileva, il gravame del medesimo F. avverso la sentenza di primo grado n. 1511/05 fu accolto in parte dalla corte di appello di Roma, la quale, all’esito di nuova c.t.u., riconobbe una ben maggiore entità dei postumi, ma applicò non già le invocate tabelle milanesi, ritenendo indispensabile la loro produzione, ma quelle del tribunale di Roma e per di più nella versione del 2004, liquidando il danno patrimoniale in Euro 295.000 e personalizzandolo per altri Euro 145.000, per poi liquidare il danno da incapacità lavorativa nel triplo della pensione sociale del 2013, col criterio ex r.d. 1403/1922 ed una percentuale di invalidità del 100%, applicato uno scarto del 20% tra vita fisica e lavorativa liquidandolo così in Euro 139.653,81 , pure riconoscendo altre spese mediche erroneamente non considerate dal primo giudice sicché la condanna in favore del danneggiato fu incrementata in totale di Euro 506.473,00 e, per la cassazione della relativa sentenza, pubblicata il 03/12/2013 col n. 6554, il F. peraltro ricorre, affidandosi a quattro motivi, poi illustrati da memoria resiste con controricorso la sola Allianz spa, succeduta alla RAS ass.ni spa considerato che il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata in via preliminare, l’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso impone, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso risulta non notificato o malamente notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio Cass. Sez. U. 22/12/2015, n. 25772, che richiama la prima pronuncia in tal senso di Cass. Sez. U. ord. 22/03/2010, n. 6826 infatti, il ricorrente F. si duole col primo motivo, di violazione e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non avere la corte di appello di Roma applicato nella liquidazione del danno i parametri di cui alle tabelle di Milano censurando la decisione di appello nella parte in cui ha ritenuto inapplicabili queste ultime per non essere state prodotte dall’appellante col secondo motivo, di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056, 2059, 1226 cod. civ. , per l’insufficienza del richiamo alle tabelle, anche solo romane, del 2004 e la violazione dei minimi da quelle previsti col terzo motivo, di violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 in ordine alla liquidazione del danno patrimoniale per perdita della capacità lavorativa , contestando i metodi di applicazione del criterio equitativo del triplo della pensione sociale col quarto motivo, di violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale e alla percentuale di incremento , contestando appunto quest’ultima per la carenza di esposizione dei criteri di personalizzazione invece indispensabile il primo motivo è inammissibile per principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito, per tutte Cass. 02/04/2004, n. 6542 Cass. 27/05/2010, n. 12992 Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138 ma il F. non indica specificamente in quale atto del giudizio di appello, nei limiti in cui questo gli sarebbe stato consentito, egli avrebbe prospettato con la dovuta analitica specificazione osservata solamente ed in parte nel ricorso per cassazione e sviluppata, del tutto inammissibilmente, nella memoria la questione sia della non necessità della produzione per essere conoscibili dal giudicante le tabelle cc.dd. milanesi, sia della maggiore convenienza per lui danneggiato dei criteri di liquidazione da queste previsti, in luogo di quelli in concreto applicati dalla corte territoriale il secondo motivo è del pari inammissibile, ma stavolta per difetto di idonea specificazione di un interesse ad impugnare infatti, sicuramente se non altro in relazione a tabelle diverse da quelle milanesi occorre che il ricorrente dimostri e per di più in ricorso, non potendo sopperire alla relativa carenza di tale atto alcuna argomentazione proposta nella memoria che la liquidazione in i concreto operata sia inferiore rispetto a quella che avrebbe potutò conseguire in applicazione dei criteri che egli ritiene legittimi o corretti, sviluppando - non essendo certo tenuto il giudice e tanto meno quello di legittimità a conoscere i meccanismi applicativi di tabelle diverse da quelle cc.dd. milanesi, di portata ambito funzione struttura e contenuto i più vari e legati alle peculiarità locali - gli uni e gli altri e dimostrando di avere chiesto con altrettanta analiticità le relative somme differenziali al giudice di appello il terzo motivo è inammissibile, in mancanza di elementi certi sempre nel ricorso, a nulla valendo eventuali integrazioni nella memoria - sulla non novità della questione in modo evidente, nella parte in cui si duole dell’adozione del criterio del triplo della pensione sociale in luogo di quello equitativo puro , senza ricordare che anche quest’ultimo avrebbe dovuto comunque fare riferimento a parametri controllabili ex post e quanto meno allegati - e solo per questo colpevolmente ignorati - al giudice di appello dal danneggiato in ogni modo, anche nella parte in cui sviluppa una critica generalizzata al meccanismo di operatività del criterio di liquidazione equitativa ancorato al triplo della pensione sociale per mancata applicazione dei correttivi di cui a Cass. 4186/04 e successive, esso sarebbe infondato, visto che la personalizzazione è idoneamente conseguita prendendo a parametro del calcolo l’importo della pensione sociale al tempo della liquidazione, mentre la prospettazione dell’eccessività dello scarto considerato tra vita lavorativa e vita fisica media non è accompagnata da puntuale adduzione di dati, se del caso pure alla stregua delle modifiche normative in tema di limite di età pensionabile, alla cui stregua desumere la necessità di una misura inferiore dello scarto questioni, queste, che il ricorrente in ricorso non adduce in quale passaggio degli atti dei gradi di merito avrebbe prospettato ai relativi giudici infine, anche il quarto motivo è inammissibile, per difetto di interesse se è vero che la necessità di una personalizzazione è stata presa in considerazione dalla gravata sentenza e riferita esclusivamente all’intensità delle cure, è altrettanto vero che l’importo della personalizzazione, se non altro con riferimento alla misura del risarcimento a titolo di danno non patrimoniale qui non ulteriormente revocabile in dubbio per la vista inammissibilità del primo motivo, è ingentissima e rasenta il 50% Euro 145.000 rispetto ad Euro 295.000 , mentre non viene neppure addotta, nel motivo di ricorso, se e quale ragione, in base alla quale sarebbe spettata una personalizzazione ancora più accentuata, sia stata mai sottoposta al giudice del merito e questi l’abbia disattesa o, comunque, avrebbe dovuto prendere in considerazione in modo da far conseguire al beneficiario della liquidazione un risultato più favorevole di quello comunque raggiunto il ricorso, inammissibili tutti i motivi, è da dichiararsi inammissibile, con condanna del soccombente ricorrente alle spese infine, va dato atto - mancando ogni discrezionalità al riguardo tra le prime Cass. 14/03/2014, n. 5955 - della sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.