Televisore non consegnato: nessun danno morale per l’acquirente insoddisfatto

Il compratore ha chiamato in causa la società proprietaria di una catena italiana di negozi che vendono elettrodomestici e prodotti informatici. Per i giudici è evidente il pregiudizio subito, cioè la mancata consegna del televisore, ma esso non è sufficiente per parlare di lesione di un diritto – allo svago, alla cultura e all’informazione – tutelato a livello costituzionale.

Attesa vana per l’acquirente di un televisore. L’elettrodomestico non gli è stato mai consegnato, nonostante l’acquisto effettuato presso il ‘punto vendita’. L’insoddisfazione e, soprattutto, l’impossibilità di guardare la televisione a casa non sono sufficienti per parlare di danni morali”. Respinta perciò la relativa richiesta di risarcimento Cassazione, sentenza n. 27537/2017, Sezione Terza Civile, depositata oggi . Godimento. Una volta ricostruita la vicenda, il Giudice di pace ordina alla società venditrice – proprietaria di una catena di negozi presenti in tutt’Italia – di provvedere alla consegna del televisore all’acquirente rimasto a bocca asciutta. Identica posizione viene assunta dai giudici del Tribunale, che ritengono anche poco plausibile l’ipotesi di un risarcimento dei danni provocati dal mancato godimento del televisore . Su questo punto, però, si sofferma comunque in Cassazione il legale del consumatore. In particolare, viene posto in evidenza che il godimento di un televisore in un’abitazione rappresenta un diritto di rilevanza costituzionale , essendo espressione del diritto allo svago, alla informazione e alla cultura . Queste considerazioni vengono però respinte dai giudici del ‘Palazzaccio’, che si mostrano certi del fatto che il pregiudizio subito dall’acquirente del televisore non ha inciso in maniera apprezzabile diritti di rango costituzionale . Peraltro, viene osservato anche che l’uomo non ha precisato i concreti effetti pregiudizievoli patiti per la mancata consegna del televisore .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 12 luglio – 21 novembre 2017, n. 27537 Presidente Chiarini – Relatore Rossi Fatti di causa Ra. Mu. e Pa. Si. evocarono in giudizio la Eldo Italia S.p.A. chiedendone la condanna alla consegna di un televisore, previo versamento della somma di Euro 89, nonché al risarcimento del danno per il mancato godimento dell'apparecchio, domanda, quest'ultima, cui rinunciarono in corso di causa. L'adito Giudice di Pace di Ariano Irpino ordinò alla società convenuta la richiesta consegna, dichiarò la cessazione della materia del contendere sulla domanda risarcitoria e dispose la integrale compensazione delle spese di lite tra le parti, in ragione della particolarità del caso trattato . Con la sentenza n. 376/2013 del 26 giugno 2013 il Tribunale di Ariano Irpino ha rigettato l'appello proposto da Ra. Mu. e Pa. Si. limitatamente al capo relativo alle spese processuali. Premessa la possibilità di correggere di ufficio la motivazione della decisione impugnata, il Tribunale ha affermato che le spese afferenti la domanda risarcitoria, per effetto della declaratoria di cessazione della materia del contendere sulla stessa, andavano regolate secondo il criterio della soccombenza virtuale ritenuta la richiesta risarcitoria verosimilmente infondata per mancanza di danni patrimoniali e non patrimoniali ristorabili, ha ravvisato soccombenza reciproca tra le parti e confermato la pronuncia di compensazione delle spese. Avverso questa sentenza, ricorre per cassazione Ra. Mu., affidandosi a sette motivi resiste con controricorso la Eldo Italia S.p.A. in concordato preventivo. Alcuna attività difensiva ha svolto l'altra parte intimata, Pa. Si Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, per violazione del principio tantum appellatimi quantum devolutum in relazione all'art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., il ricorrente rileva come il Tribunale, in difetto di specifica impugnazione incidentale dell'appellata Eldo S.p.A., abbia modificato la motivazione relativa alla compensazione delle spese di lite, disponendo la stessa per soccombenza reciproca, ragione ben differente rispetto a quella fondante l'identica statuizione in primo grado la particolarità del caso trattato , riconducibile invece alla diversa fattispecie dei giusti motivi di compensazione. La doglianza è infondata. Secondo il consolidato indirizzo esegetico di questa Corte, infatti, il giudice di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, può, senza incorrere in violazioni del principio del contraddittorio o della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, modificare o emendare, anche di ufficio, la motivazione che ritenga scorretta, purché nei limiti delle risultanze acquisite al processo, attribuendo, ad esempio, un diverso fondamento giuridico alla statuizione di compensazione delle spese processuali contenute nella pronuncia impugnata così, tra le tante, Cass. 14/03/2016, n. 4889 con peculiare riferimento alla pronuncia di compensazione delle spese, Cass. 28/05/2015, n. 11130 Cass. 23/12/2010, n. 26083 . All'illustrato principio di diritto si è conformato il Tribunale irpino laddove, ravvisando reciproca soccombenza delle parti in ordine alle domande formulate in primo grado, ha posto siffatta ragione a fondamento della compensazione delle spese processuali, già disposta, con differente argomentazione, dal giudice di prima istanza. 2. Con il secondo ed il terzo motivo si denuncia, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, la inapplicabilità nella vicenda del principio della soccombenza virtuale per un verso, poiché non era configurabile nella vicenda controversa e quindi, non poteva essere dichiarata un'ipotesi di cessazione della materia del contendere, ricorrendo invece unicamente una mera rinuncia ad uno dei capi della domanda d'altro canto, poiché la rinuncia alla domanda risarcitoria era intervenuta nella fase di trattazione e non in sede conclusionale. Le censure sono inammissibili esse concernono la sussistenza dei presupposti legittimanti la declaratoria di cessazione della materia del contendere sulla domanda risarcitoria, pronuncia, tuttavia, sulla quale si è formato il giudicato interno, in conseguenza della mancata proposizione di appello sul punto avverso la sentenza di primo grado circostanza peraltro evidenziata dal giudice di appello . 3. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, sub specie di violazione e falsa applicazione di legge, l'omessa comparazione delle reciproche soccombenze, in spregio al dettato dell'art. 92 cod. proc. civ. assume, in particolare, che una corretta considerazione dell'importanza delle domande accolte e rigettate avrebbe condotto il giudice a ravvisare la maggiore importanza della domanda di condanna alla consegna del televisore rispetto a quella risarcitoria, subordinata rispetto alla prima, e, per l'effetto, a non disporre la compensazione delle spese processuali. Con il quinto motivo, ancora in relazione all'art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., si rileva, sotto altro profilo, la falsa applicazione dell'art. 92 cod. proc. civ. nel caso de quo, la compensazione delle spese, determina, una situazione ingiusta, attuando un regolamento delle spese tale da lasciare a carico della parte vittoriosa oneri difensivi che elidono o addirittura superano il valore del bene conseguito. Le doglianze, suscettibili di congiunta disamina perché connesse, vanno disattese. Come diffusamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, nel regolare le spese di lite in caso di reciproca soccombenza, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell'imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all'altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell'operare una ideale compensazione tra essi da ultimo, con analitica motivazione, Cass. 22/02/2016, n. 3438 . L'apprezzamento comparativo dell'importanza delle domande accolte o rigettate e la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca nonché la conseguente determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti integrano, tipicamente, potere discrezionale del giudice di merito sottratto al vaglio di legittimità espressamente, oltre alla citata Cass. 3438/2016, cfr. Cass. 31/01/2014, n. 2149 , dacché, come è noto, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa da ultimo, Cass. 31/03/2017, n. 8421 . Ciò premesso, la valutazione sul valore delle rispettive soccombenze operata nell'impugnata sentenza appare non censurata con lo strumento adeguato, mancando invero la denuncia da parte ricorrente di un vizio motivazionale rilevante nei circoscritti confini tracciati dal novellato art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ. ovvero di un'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante basti il richiamo a Cass., Sez. U, 22/09/2014, n. 19881 e a Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053 . La disposta compensazione delle spese, poi, si profila pienamente rispettosa del principio per cui le spese di lite non devono cadere, nemmeno in minima parte, a carico della parte totalmente vittoriosa, ove si consideri che l'odierno ricorrente è stato ritenuto virtualmente soccombente in ordine alla domanda di risarcimento danni ciò rende inconferente il richiamo operato dal ricorrente al principio affermato da Cass. 26/09/2007, n. 20017, riferito al qui non configurabile caso di integrale vittoria di una parte. 4. Con il sesto ed il settimo motivo si asserisce la violazione dell'art. 2059 cod. civ. a dire del ricorrente, erroneamente il Tribunale irpino, nel vagliare la verosimile fondatezza dell'istanza risarcitoria, ha ritenuto la insussistenza di danni di natura non patrimoniale, ignorando invece che il godimento di un televisore in un'abitazione rilevanza di rango costituzionale, quale espressione del diritto allo svago, all'informazione ed alla cultura tutelati dagli art. 9, 21 e 24 della Carta costituzionale. Anche queste censure, intrinsecamente connesse, non possono trovare accoglimento. Le formulate contestazioni non colgono, infatti, la duplice ratio decidendi che sorregge l'impianto argomentativo della sentenza impugnata laddove ha ritenuto il danno per il mancato godimento del televisore genericamente dedotto e comunque, per il contenuto non patrimoniale, irrisarcibile poiché il pregiudizio non ha inciso diritti di rango costituzionale in misura apprezzabile . Orbene, parte ricorrente, limitandosi ad argomentazione di tenore astratto e generale in ordine alla ristorabilità di danni di natura non patrimoniale, nulla deduce circa la specificità ab origine della spiegata domanda risarcitoria omette, cioè, di precisare quali siano i concreti effetti pregiudizievoli patiti per la mancata consegna del televisore allegati in sede di merito pervero, anche nel ricorso introduttivo di questo giudizio difetta una puntualizzazione analitica dei danni , nonché, a fortiori, di illustrare gli elementi idonei ad asseverare, anche in via presuntiva, una incidenza in termini significativamente dannosa su situazioni giuridiche di rilievo costituzionale. 5. Le peculiarità della vicenda esaminata giustificano, ad avviso della Corte, l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità. Rigettato il ricorso per cassazione proposto in epoca posteriore al 30 gennaio 2013 , la Corte dà atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 in base al tenore letterale della disposizione, il rilievo della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell'art. 13, 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.