E’ valida la notifica dell’atto di citazione consegnato al cognato del convenuto?

La Cassazione è chiamata ad esprimersi in merito alla validità della notificazione dell’atto di citazione in primo grado avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c. con consegna della raccomandata, che informava dell’infruttuoso accesso, al cognato del convenuto.

Sul tema la Corte di Cassazione con ordinanza n. 26928/17, depositata il 14 novembre. Il caso. Il Tribunale, nella contumacia del convenuto, aveva revocato i pagamenti della società fallita in favore del suo amministratore convenuto. La Corte d’Appello, adita dall’amministratore, aveva respinto l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado perché tardiva. Secondo i Giudici di merito era valida la notificazione dell’atto di citazione in primo grado con consegna della raccomandata, quale informativa dell’infruttuoso accesso, al cognato del convenuto, il quale abitava nella stessa abitazione dell’appellante. Avverso la sentenza della Corte territoriale ha proposto ricorso per cassazione il soccombente. Consegna di copia dell’atto a persona di famiglia del destinatario. Il ricorrente lamenta in Cassazione che, al contrario di quanto sostenuto dai Giudici di merito, la notificazione non si fosse correttamente perfezionata. Infatti, secondo il ricorrente, il cognato, a cui era stata consegnata la raccomandata, abitava in un piano diverso dell’edificio ed, inoltre, il medesimo ricorrente era temporaneamente assente dall’abitazione in ragione di lavori di ristrutturazione. La Suprema Corte, richiamando un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità, ha osservato che non è imposto all’ufficiale giudiziario procedente di assicurarsi del rapporto di convivenza sussistente tra il destinatario dell’atto assente e il familiare a cui è fatta consegna della copia dell’atto da notificare, il quale dichiara la sua parentela con il destinatario stesso, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario, la quale, peraltro, può essere data soltanto provando che il familiare era presente per ragioni occasionali e momentanee nel luogo di abitazione del destinatario, mentre non è sufficiente, per negare validità della notificazione, la produzione di un certificato anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria residenza . Per questo motivo la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 ottobre – 14 novembre 2017, n. 26928 Presidente Cristiano – Relatore Nazzicone Fatto e diritto RILEVATO - che la parte ricorrente ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, la quale ha respinto l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Foggia che, nella contumacia del convenuto, ha revocato pagamenti per complessivi Euro 88.018,15, eseguiti dalla omissis s.r.l. al suo amministratore F.S. - che la pronuncia impugnata ha ritenuto valida la notificazione dell’atto di citazione in primo grado, avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c., con consegna della raccomandata a/r, quale informativa dell’infruttuoso accesso, al cognato del convenuto e nella abitazione del convenuto medesimo posto che l’assunto dell’appellante, secondo cui è sconosciuta l’identità della persona che ricevette l’atto, è smentito dalla chiara indicazione del nome e cognome del medesimo e della qualità dichiarata di familiare convivente col F. , mentre da ciò si presume che vi fosse la convivenza, almeno temporanea, col familiare presunzione non vinta dall’appellante, il quale avrebbe dovuto produrre i certificati storici di residenza, al contrario essendosi egli limitato a produrre tardivamente con la comparsa di costituzione di ulteriore difensore all’udienza di precisazione delle conclusioni un semplice certificato di stato di famiglia del consegnatario - che la corte, nel merito, ha ritenuto come le allegazioni ed i documenti prodotti per la prima volta in sede di gravame, aventi ad oggetto fatti impeditivi della pretesa creditoria della curatela, siano inammissibili, in quanto tardivi - che resiste con controricorso la procedura - che è stata ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. - che il ricorrente ha depositato la memoria CONSIDERATO - che l’unico motivo di ricorso - il quale lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 cost., 2697 c.c., 116, 139, 140 e 292 c.p.c., per il fatto che la raccomandata fu consegnata al cognato dell’attore, il quale abitava al piano secondo, mentre l’attore abitava al piano terzo del medesimo edificio, ma vi era temporaneamente assente in ragione di lavori di ristrutturazione, mentre comunque non si trattava di documenti tardivi essendo pubblicamente consultabili - è manifestamente infondato - che, invero, la corte del merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui L’art. 139 c.p.c., consentendo la consegna della copia dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario, per l’ipotesi in cui non sia stata possibile la consegna nelle mani di quest’ultimo, non impone all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla suddetta persona con dichiarazione della quale viene dato atto nella relata di notifica, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario, la quale, peraltro, può essere data soltanto provando che il familiare era presente per ragioni occasionali e momentanee nel luogo di abitazione del destinatario, mentre non è sufficiente, per negare validità alla notificazione, la produzione di un certificato anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria residenza Cass. 27 marzo 2006, n. 6953 11 aprile 2000, n. 4590 - che la deduzione della residenza del cognato nello stesso indirizzo, ma numero di interno diverso dell’edificio, è inammissibile, in quanto costituisce fatto per la prima volta allegato in sede di legittimità, di cui non è parola nella decisione impugnata, né il ricorrente precisa il luogo ed il tempo della anteriore deduzione, atteso che dalla sentenza impugnata risulta, viceversa, la ben diversa allegazione, secondo cui l’identità del ricevente sarebbe stata sconosciuta inoltre, l’affermazione del ricorrente di aver prodotto in appello i certificati storici dello stato di famiglia è rimasta parimenti priva del requisito della specificità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c. - che le spese seguono la soccombenza - che va emessa la dichiarazione di cui all’art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge. Dichiara che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.