La badante non può subentrare nel diritto di godimento dell’alloggio popolare dopo la morte dell’assegnataria

La persona legata da un rapporto di lavoro subordinato all’assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica non può succedere nel rapporto di locazione alla morte di questi.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 24665/17, depositata il 19 ottobre. Il caso. Una donna, nel 2009, aveva convenuto, dinanzi al Tribunale di Genova, il Comune ligure affermando che svolgeva da tempo la mansione di badante in favore di una signora, assegnataria di un appartamento di proprietà del Comune genovese e che, dal 2007, aveva fissato la sua residenza in tale appartamento. Ad agosto del 2008 l’assistita moriva e da quel momento la badante era rimasta nella detenzione dell’alloggio, continuando a pagare il canone di locazione e a provvedere alla manutenzione ordinaria dell’appartamento. Nel 2009 il Comune di Genova intimava alla donna di rilasciare l’immobile, in quanto detenuto sine titulo . La signora riteneva che il Comune avesse stipulato con lei, per facta concludentia , un nuovo contratto di locazione e per tale motivo chiedeva che fosse dichiarato nullo l’avviso di rilascio dell’immobile intimatole dal Comune. Nel 2011 il Tribunale ligure rigettava la domanda. La donna, quindi, proponeva ricorso in Appello. La Corte territoriale si pronunciava nel 2015 rigettando il gravame. I giudici di secondo grado, infatti, avevano sostenuto che l’appellante non rientrava in alcuna delle categorie cui la legislazione regionale ligure attribuiva il diritto all’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, e che non poteva ritenersi stipulato, per facta concludentia , un nuovo contratto di locazione tra la donna e il Comune, tenuto conto del fatto che tale contratto avrebbe richiesto necessariamente la forma scritta ad substantiam . Avverso la decisione della Corte territoriale la donna proponeva ricorso per Cassazione sulla base di un motivo. Il Comune di Genova resisteva in giudizio con controricorso. Convivenza di fatto La donna, con l’unico motivo di ricorso, lamentava, in particolare, la violazione dell’art. 12 della legge regionale ligure n. 10 del 2004 la quale prevedeva che, in caso di decesso dell'assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, subentrava nel godimento dell’immobile e, quindi nell’assegnazione, il convivente di fatto purché la convivenza risultasse dimostrata anagraficamente al verificarsi di tale evento. La signora sosteneva che, in mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, l’espressione convivente di fatto” potesse ricomprendere sia le normali convivenze more uxorio , sia le convivenze tra persone dello stesso sesso, come nel caso de quo , cioè di una persona non autosufficiente e della sua badante. solo more uxorio. La VI sezione della Corte di Cassazione ritiene il motivo non fondato. Ad avviso dei Supremi Giudici, secondo una interpretazione letterale, sistematica e finalistica, il convivente di fatto” di cui parla l’art. 12 della legge regionale ligure è soltanto il convivente more uxorio . In altre parole, ad avviso della Corte l’espressione convivente di fatto” viene utilizzata in una pluralità di testi normativi, sempre come sinonimo di convivente more uxorio , pertanto il rapporto di servizio o di lavoro domestico esula dal novero delle convivenze di fatto. Inoltre, nell’elencazione contenuta nell’art. 12 della legge regionale il convivente di fatto viene citato dopo il coniuge e prima dei figli e ciò rende evidente, ad avviso dei giudici della legittimità, l’assimilazione che il legislatore ha voluto realizzare della convivenza di fatto al rapporto coniugale. Infine, per la Suprema Corte, la ratio della norma che consente ai familiari dell’assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, dopo la morte di questi, di continuare a godere dell’immobile, è la solidarietà familiare e il diritto alla casa, che non sussiste nell’ipotesi di una persona che coabita per ragioni di servizio o di lavoro o di ospitalità. Colui che coabita per esigenze lavorative non è equiparato ad un membro della famiglia. Ad avviso dei Giudici di legittimità la ricorrente, in aggiunta alle spese di lite, avendo formulato una pretesa insostenibile e proposto, quindi, un ricorso manifestamente infondato, va condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento di una somma determinata equitativamente, in favore della controparte, a titolo di risarcimento del danno. Conclusione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in oggetto, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente a corrispondere al Comune di Genova, controricorrente, una somma, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., e a rifondere, sempre alla controparte, le spese del giudizio di legittimità, dando atto, altresì, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quella dovuta per l’impugnazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 18 maggio – 19 ottobre 2017, n. 24665 Presidente Amendola – Relatore Rossetti Fatto e diritto Rilevato che nel 2009 la signora A.A.H. convenne dinanzi al tribunale di Genova il Comune della medesima città, allegando che - svolgeva da tempo l’attività di assistenza personale c.d. badante in favore della signora F.G. - F.G. era assegnataria di un appartamento di proprietà comunale, sito a omissis - sin dal 25 luglio 2007 la ricorrente aveva fissato la propria residenza in quell’appartamento - dopo la morte di F.G. , avvenuta il omissis , l’odierna ricorrente era rimasta nella detenzione dell’alloggio, continuando a pagare il canone di locazione, oltre che a provvedere all’ordinaria manutenzione dell’appartamento - nel 2009, con proprio provvedimento amministrativo, il Comune le aveva intimato il rilascio dell’immobile, in quanto detenuto sine titolo, concludeva pertanto la ricorrente chiedendo che fosse dichiarato nullo l’avviso di rilascio intimatole dal Comune, sul presupposto che quest’ultimo avesse per facta concludentia stipulato con l’odierna ricorrente un nuovo contratto di locazione con sentenza numero 1110 del 2011, il tribunale di Genova rigettò la domanda la Corte d’appello di Genova, adita dalla parte soccombente, con sentenza 21 aprile 2015 numero 547 rigettò il gravame ritenne la corte d’appello, per un verso, che l’appellante non rientrasse in alcuna delle categorie cui la legislazione regionale ligure attribuiva il diritto all’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica per altro verso che non potesse affatto ritenersi stipulato tra l’appellante e il Comune di Genova un nuovo contratto di locazione per facta condudentia, dal momento che tale contratto avrebbe richiesto una forma scritta ad substantiam La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da A.A.H. , con ricorso fondato su un motivo ha resistito il Comune di Genova con controricorso Considerato che con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di violazione di legge, di cui all’articolo 360, numero 3, c.p.c. lamenta in particolare la violazione dell’articolo 12 della legge regionale Liguria 29 giugno 2004 n. 10 deduce che, in base alla norma appena ricordata, nel caso di morte del, assegnataria di un alloggio di edilizia economica e residenziale pubblica, subentrano nel diritto di godimento, tra gli altri, il convivente di fatto argomenta che, non contenendo la norma ulteriori precisazioni, l’espressione convivente di fatto dovrebbe ritenersi comprensiva sia delle ipotesi di convivenza more uxotio, sia delle ipotesi di convivenza fra persone dello stesso sesso, come appunto nel caso di un anziano non autosufficiente e della sua badante il motivo è infondato l’art. 12 della l. reg. Liguria n. 10 del 2004 va infatti interpretato nel senso che il convivente di fatto ivi previsto sia soltanto il convivente more uxorio non rileva nel presente giudizio stabilire se la norma possa estendersi agli uniti civilmente di cui all’art. i, comma 2, l. 20 maggio 2016 n. 76 depongono in tal senso l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica e l’interpretazione finalistica dal punto di vista letterale, l’espressione convivente di fatto compare in una pluralità di testi normativi, sempre quale sinonimo di convivente more uxorio ad esempio, tra gli altri, nell’art. 11 del d.lgs. 25.5.2017 n. 92, in tema di controllo dell’attività di compravendita di oro nell’art. 1 del d.lgs. 21.11.2007 n. 231, in materia di contrasto al riciclaggio dei proventi di illeciti ovvero nell’art. 19 della l. 29.12.1990 n. 408, in materia di imposte sui redditi del resto la stessa legge 76/16, già ricordata, sia pure ai soli fini ivi previsti, definisce conviventi di fatto come due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile definizione la quale rende evidente che il rapporto di servizio o di lavoro domestico esula dal novero delle convivenze di fatto dal punto di vista sistematico, l’art. 12 l. reg. Liguria n. 10/2014, nell’elencare gli aventi diritto a subentrare nel diritto di godimento dell’alloggio, inserisce il convivente di fatto subito dopo il coniuge, e subito prima dei figli il che rende evidente l’assimilazione, nella intenzione del legislatore, della convivenza di fatto al rapporto di coniugio dal punto di vista finalistico, infine, la ratio delle norme sul diritto dei familiari dell’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblico a permanere nel godimento dell’immobile, dopo la morte dell’assegnatario, è la solidarietà familiare ed il diritto alla casa, ratio insussistente rispetto al coabitante per ragioni di lavoro, di servizio o di ospitalità la mera coabitazione per esigenze lavorative, infatti, non dà luogo ad un consorzio familiare, e non legittima l’equiparazione del dipendente ai membri della famiglia le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo il presente giudizio è stato introdotto in primo grado con ricorso depositato il 2.12.2009 ad esso si applica pertanto il terzo comma dell’art. 96 c.p.c., come novellino dall’art. 45, comma 12, della legge n. 69/09, in base al quale in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche diffido, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata presupposto per l’applicazione dell’art. 96, comma terzo, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, è l’avere agito o con mala fede, o senza attivarsi con l’ordinaria diligenza per acquisire una ragionevole previsione sulla fondatezza della propria pretesa nel caso di specie, la ricorrente ha proposto un ricorso nel quale ha formulato una pretesa insostenibile ovvero che la persona legata da un rapporto di lavoro subordinato all’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ha diritto a succedere nel rapporto di locazione alla morte dell’assegnatario la ricorrente, in definitiva, ha proposto un ricorso manifestamente infondato, e da ciò deriva che delle due l’una o la ricorrente - e per lei il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex art. 2049 c.c. - ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata condotta che, ovviamente, l’ordinamento non può consentire ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperata con la exacta diligentia esigibile in virtù del generale principio desumibile dall’art. 1176, comma 2, c.c. da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale è quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare ex aliis, Sez. 3 -, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016 ritiene perciò questa Corte che la ricorrente vada condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, al pagamento in favore della parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma i quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . P.Q.M. - rigetta il ricorso - condanna A.A.H. al pagamento in favore del Comune di Genova, ex art. 96 c.p.c., della somma di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza - condanna A.A.H. alla rifusione in favore del Comune di Genova delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di A.A.H. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari quello dovuto per l’impugnazione.