Il diritto alla vita privata è rilevante nel provvedimento di espulsione dello straniero?

Un immigrato straniero ricorre in Cassazione contro il decreto di espulsione dal territorio nazionale basando il motivo di ricorso contro il provvedimento sulla necessità di valutazione comparativa del diritto alla vita privata e famigliare con l’interesse pubblico sotteso al provvedimento di espulsione.

Sul punto la Suprema Corte con l’ordinanza n. 24065/17, depositata il 18 ottobre. Il caso. Il Giudice di Pace respingeva il ricorso dell’immigrato avverso il decreto di espulsione emesso dalla Prefettura. Secondo il Giudice di merito non era stata fatta richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno entro il termine di legge e detta omissione, non essendo giustificata da causa di forza maggiore, comportava l’emissione del provvedimento espulsivo. Avverso la decisione ricorre in Cassazione lo straniero. Comparazione tra interesse pubblico e vita privata. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 13, comma 2- bis , d.lgs. n. 286/1998 Espulsione amministrativa . La Suprema Corte ha evidenziato che l’articolo di cui è contestata la violazione prevede testualmente che nell’adottare il provvedimento di espulsione nei confronti dello straniero, che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, si tiene conto di una serie di fattori quali la natura del vincolo famigliare, la durata del soggiorno in Italia e i legami con il Paese di origine. La Corte ha rilevato che, nel caso di specie, però, l’esercizio del diritto al ricongiungimento è estraneo al giudizio e il motivo è infondato in quanto, inoltre, la norma ricollega l’espulsione al fatto oggettivo, salvo la prova che la mancata richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno sia dovuta a causa di forza maggiore. Per questo motivo la Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, se. VI Civile – 1, ordinanza 28 settembre – 18 ottobre 2017, n. 24605 Presidente/Relatore Di Virgilio Fatto e diritto Rilevato che Con la pronuncia del 25/7/2016, il Giudice di Pace di Milano ha respinto il ricorso di M.M.B. avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Milano il 21/4/2016, rilevando che il provvedimento espulsivo era fondato sulla circostanza di fatto della mancata richiesta del rinnovo del premesso di soggiorno, scaduto il 19/11/2015, nel termine di gg.60 e che tale omissione non era giustificata da causa di forza maggiore che il provvedimento espulsivo doveva ritenersi adeguatamente motivato col richiamo in sintesi degli elementi idonei a rendere la parte in grado di individuare la violazione addebitatagli che era legittimo il decreto di espulsione emesso e sottoscritto dal vice prefetto aggiunto. Ricorre il M.M.B. , sulla base di due motivi. Gli intimati non hanno svolto difese. Considerato che Il primo motivo, col quale il ricorrente si duole della violazione dell’articolo 13 comma 2 bis del d.lgs. 286/1998 e dell’articolo 8 CEDU, è manifestamente infondato, perché basato sulla necessità di valutazione comparativa del diritto alla vita privata e familiare con l’interesse pubblico sotteso al provvedimento di espulsione, facendo leva sul disposto di cui all’articolo 13, comma 2 bis d.lgs. cit., che recita 2-bis. Nell’adottare il provvedimento di espulsione ai sensi del comma 2, lettere a e b , nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine , quindi presuppone l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, che è estraneo al presente giudizio e anche nel resto è manifestamente infondato, visto che la norma ricollega l’espulsione al fatto oggettivo, salva la prova che la mancata richiesta del rinnovo del premesso di soggiorno sia dovuta a causa di forza maggiore. Il secondo motivo, col quale la parte si duole del tutto genericamente dell’avere ritenuto il Giudice di Pace congrua la motivazione del provvedimento, presenta profili di inammissibilità, non riportando la motivazione a cui si fa riferimento e tendendo ad introdurre fatti che non risultano dall’ordinanza impugnata la convivenza con la madre e gli studi effettuati a Milano , dei quali non si indica come e quando sarebbero stati fatti valere avanti al Giudice di Pace. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile non si dà pronuncia sulle spese, non essendosi costituiti gli intimati. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica l’articolo 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.