Con la sentenza di patteggiamento è dimostrata la falsità del testamento

Nel giudizio penale è dichiarata con sentenza di patteggiamento la falsità di un testamento ai sensi dell’art. 537 c.p.p. Pronuncia sulla falsità di documenti . In sede civile viene richiesta la restituzione dei beni ereditari, oggetto del documento falso, ma il falsario sostiene di non avere l’obbligo di restituzione perché il giudizio di patteggiamento non è un accertamento di piena responsabilità e quindi non dimostra la falsità del testamento.

Sull’ argomento la Corte di Cassazione con ordinanza n. 23095/17, depositata il 3 ottobre. Il caso. A seguito della sentenza di patteggiamento, con la quale veniva dichiarata la falsità di un testamento olografo ai sensi dell’art. 537 c.p.p., gli attori chiedevano, nella domanda giudiziale proposta al Tribunale, la restituzione dei beni ereditari da parte del convenuto che aveva falsificato il suddetto testamento. Quest’ultimo aveva richiesto e ottenuto il rigetto della domanda, in quanto gli attori non avevano provato la loro qualità di eredi, risultante dal testamento olografo da lui prodotto e che costoro avevano disconosciuto. Gli attori soccombenti avevano fatto ricorso alla Corte d’Appello ed ottenuto la riforma della sentenza di primo grado ed il rilascio dei beni ereditari. La Corte di merito rilevò che il testamento prodotto era stato dichiarato falso nel giudizio penale e pertanto non era necessario nessun disconoscimento. Avverso la decisione di merito hanno fatto ricorso per cassazione gli eredi del soccombente defunto nel frattempo . Patteggiamento ed efficacia probatoria. I ricorrenti lamentano in Cassazione che la Corte di merito abbia errato nel ritenere dimostrata la falsità del testamento per effetto di una sentenza di patteggiamento che non accerta la piena responsabilità dell’imputato. La Suprema Corte ritiene infondato il ricorso in quanto la sentenza di patteggiamento conteneva la declaratoria di falsità del testamento, ai sensi del citato art. 537 c.p.p., quale conseguenza del relativo accertamento, con piena efficacia probatoria. La ratio a fondamento della decisione della Corte riguarda la necessità di eliminare dalla circolazione un atto che potrebbe arrecare pregiudizio alla fede pubblica, ratio applicabile anche alla sentenza di patteggiamento. Per questo la Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 giugno – 3 ottobre 2017, numero 23095 Presidente Bianchini – Relatore Federico Fatti di causa Rilevato che S.E. , A. e C. convennero R.F. innanzi al Tribunale di Taranto esponendo che costui aveva fatto pubblicare un testamento olografo con il quale la loro zia paterna S.J. , deceduta il omissis , lo aveva nominato erede universale, e su loro denunzia era stato tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Torre Annunziata per rispondere del delitto di falsità del detto testamento e sua spendita il giudizio era stato definito dal R. con sentenza di patteggiamento con la quale quale veniva dichiarata, ai sensi dell’art. 537 cod. proc. penumero , la falsità del testamento gli attori chiesero pertanto che il R. fosse condannato a restituire loro i beni ereditari ed a risarcire i danni R.F. si costituì chiedendo il rigetto della domanda in quanto gli attori non avevano provato la loro qualità di eredi, risultante dal testamento olografo da lui prodotto in giudizio che costoro non avevano disconosciuto il Tribunale rigettò la domanda interposto appello da parte di S.E. , A. e C. , costituitisi R.M. , R.C. e R.G. quali eredi di R.F. nel frattempo deceduto con richiesta di conferma della decisione, la Corte d’Appello di Lecce accolse il gravame riformando integralmente la sentenza di primo grado ed ordinando agli appellati il rilascio dei beni ereditari al riguardo rilevò che il testamento prodotto dal R. davanti al Tribunale era stato dichiarato apocrifo all’esito del giudizio penale che ne aveva altresì disposte la confisca e distruzione e non era pertanto necessario alcun disconoscimento avverso tale decisione R.M. , R.C. , G.M. e R.F. questi ultimi due quali eredi di R.G. deceduto nelle more hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi S.E. e S.C. hanno depositato controricorso. Ragioni della decisione Considerato che con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge in relazione alla decisione della corte leccese di ritenere dimostrata la falsità del testamento per effetto della sentenza cd. di patteggiamento, pur non contenendo la stessa un accertamento pieno sulla responsabilità dell’imputato con il secondo motivo, attinente alle medesime circostanze, denunziano poi violazione del principio dell’autonomia del processo penale rispetto a quello civile entrambe le censure, che possono essere esaminate congiuntamente attenendo al medesimo tema, sono manifestamente infondate, giacché la sentenza di patteggiamento conteneva, in conformità al disposto di cui all’art. 537 cod. proc. penumero , la prevista declaratoria di falsità del testamento, quale doverosa conseguenza del relativo accertamento, con piena efficacia probatoria cfr. Cass. penumero numero 42406/2015 Cass. Penumero numero 7477/2014 Cass. Penumero numero 45861/2012 Cass. SS.UU. Penumero numero 20/1999 . La ratio cui si ispira la norma sopra citata, applicabile, come sopra evidenziato, anche alla sentenza di applicazione della pena su richesta delle parti, è infatti l’eliminazione dalla circolazione di un atto che potrebbe arrecare pregiudizio alla fede pubblica, nonché l’esigenza di economia processuale nell’ambito dei rapporti tra giudizio penale e civile Cass. penumero numero 712/1998 Cass.penumero numero 42162/2013 . In prossimità dell’udienza i contro ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc. ritenuto pertanto il ricorso meritevole di rigetto, con conforme statuizione sulle spese ritenuta altresì la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in 4.200,00 Euro di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.