Riscossione coattiva delle sanzioni amministrative: la Cassazione ne ripercorre l’iter legislativo

Il dissenso della parte dalla interpretazione che nega il diritto del concessionario di riscuotere coattivamente le sanzioni amministrative non giustifica la sua condanna per lite temeraria.

La seconda sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 22710 depositata il 28 settembre 2017, ricostruisce l’iter legislativo della mancata abrogazione della norma che attribuisce ai concessionari per la riscossione il potere di riscuotere coattivamente le somme risultanti dall’ingiunzione. Il fatto. Il Tribunale, adito in seconda istanza, aveva ritenuto legittimo il modus procedendi del concessionario per la riscossione di un civico ente che aveva utilizzato lo strumento dell’ordinanza ingiunzione ex art. 2 r.d. numero 639/1910, emessa per richiedere il pagamento di due sanzioni amministrative comminate dal Comune per violazione del codice della strada. Con la medesima pronuncia il Giudice di Appello condannava inoltre l’appellante al pagamento delle spese legali ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c La decisione era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione. La ricorrente contestava principalmente l’esistenza di una disposizione normativa che consentisse al concessionario per la riscossione di utilizzare la procedura d’ingiunzione, qualificata quale espressione del potere di imperio attribuito alla Pubblica Amministrazione. I Giudici di legittimità respingevano il motivo di ricorso per la sua infondatezza, trovando tuttavia occasione utile per chiarire i termini della questione attraverso un excursus normativo. Le vicende normative dell’attribuzione del potere di riscossione coattiva a mezzo dell’ordinanza ingiunzione. Il potere di utilizzo della procedura di riscossione coattiva per i tributi e le entrate a mezzo dell’ingiunzione di cui al r.d. numero 639/1910 era stato riconosciuto ai Comuni per il tramite del d.lgs. numero 446/1997, che attribuiva ai Comuni il potere di affidare la riscossione ad altri soggetti. La norma, abrogata dalla l. numero 244/2007 art. 1, comma 224, lett. b , era poi stata reintrodotta dal d. l. numero 248/2007, art. 36 comma 2. Tale ultimo articolo era stato apparentemente abrogato per effetto dell’art. 7, comma 2, d.l. numero 70/2011 convertito con modifiche dalla l. numero 106/2011. Di fatto tuttavia l’abrogazione non è mai intervenuta in virtù di una serie di rinvii relativi alla entrata in vigore della disposizione a cui era subordinata la stessa abrogazione. Successivamente con la l. numero 44/2012 di conversione del d.l. numero 16/2012 era sostituito l’art. 7, comma 2, d.l. numero 70/2011, con conseguente conferma della vigenza del comma 2- sexies dell’art. 4 del d.l. numero 209/2002 a norma del quale i comuni ed i concessionari possono procedere con la riscossione coattiva delle somme risultati dall’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al r.d. numero 639/1910, secondo le disposizioni di cui al d.P.R. numero 602/1973. Sicché la ricostruzione operata dal Tribunale era ritenuta corretta dai giudici di legittimità che tuttavia evidenziavano l’esistenza di un contrasto interpretativo sul punto presso i Tribunali di merito. L’ingiustificata condanna ex art. 96 c.p.c. Proprio questo contrasto normativo veniva valorizzato dagli Ermellini ai fini dell’accoglimento del motivo di ricorso con cui la ricorrente impugnava il capo di sentenza che la vedeva condannata al pagamento delle spese processuali per lite temeraria ex art. 96 c.p.c La Cassazione premetteva che tale pesante condanna trovasse giustificazione in caso di dolo o colpa grave della parte. Nella decisione impugnata invece la pronuncia ex art. 96 c.p.c. era fondata solo sul dissenso che la ricorrente aveva mostrato nel non condividere l’orientamento seguito dal Tribunale appellato in merito alla interpretazione fornita sul tema trattato. In questa direzione la Cassazione evidenziava che la condanna ex art. 96 c.p.c. non potesse fondarsi sul mero dissenso da un orientamento espresso da un ufficio giudiziario, peraltro non pacifico, stante la presenza di pronunce di segno contrario favorevoli alla ricorrente sicché la condanna per lite temeraria era priva di qualsivoglia giuridica considerazione con conseguente eliminazione della sua statuizione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 giugno – 28 settembre 2017, n. 22710 Presidente Petitti– Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 Con sentenza 4.12.2012 il Tribunale di Torino ha rigettato l’appello proposto da G.M.E. contro la sentenza n. 7580/2011 del locale Giudice di Pace che aveva a sua volta respinto la sua opposizione contro l’ingiunzione di pagamento della somma di Euro 195,64 emessa ex art. 2 RD n. 639/1910 dalla società Soris spa in relazione a due infrazioni al codice della strada. Il Tribunale, premessa una ricostruzione del panorama normativo di riferimento, ha ritenuto legittimo il ricorso da parte della società concessionaria alla procedura di ingiunzione di cui all’art. 2 RD 639/2010 ed ha richiamato al riguardo, molteplici pronunce di merito dello stesso ufficio giudiziario sia in primo grado che in appello nonché un precedente di questa Corte la sentenza n. 8460/2010 . Ha condannato pertanto l’appellante soccombente al pagamento delle spese di lite e della somma di Euro 1.100,00 in favore di ciascuna delle altre parti, ravvisando di ufficio la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 96 cpc. 2 Contro tale decisione la G. ricorre per cassazione sulla base di tre censure a cui resistono con separati controricorsi sia il Comune di Torino che il concessionario Società di Riscossione Soris spa. La ricorrente e la società concessionaria hanno depositato memorie. Considerato in diritto 1 Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e o falsa applicazione dell’art. 342 cpc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc criticando il giudice di appello per avere ravvisato, seppur in modo non esplicito, un difetto di specificità dei motivi di gravame. La censura è inammissibile per difetto di interesse art. 100 cpc perché il Tribunale non ha affatto deciso il gravame in rito con una secca pronuncia di inammissibilità, ma lo ha esaminato nel merito respingendolo per infondatezza della questione di diritto sollevata dall’appellante. È vero che in motivazione vi è un passaggio dedicato alla genericità dei motivi di appello, ma a ben vedere è una considerazione aggiuntiva che però non rappresenta la ratio decisiva, e prova ne è non solo la inequivoca formula adoperata in dispositivo rigetta e non già dichiara inammissibile , ma anche l’ampia disamina delle censure operata dal giudice di appello che, in caso di declaratoria di inammissibilità, non avrebbe avuto logicamente alcun senso . Questa Corte è costante nell’affermare che l’interesse ad impugnare va apprezzato in relazione all’utilità concreta che deriva alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione stessa, non potendo esaurirsi in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi pratici sulla decisione adottata tra le tante, Sez. 2, Sentenza n. 15353 del 25/06/2010 Rv. 613939 Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008 Rv. 603196 Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006 Rv. 589392 nel caso in esame, insomma, l’eventuale accoglimento di una siffatta doglianza sarebbe comunque inidonea a determinare da sola la cassazione della pronuncia perché, lo si ripete, i motivi di appello sono stati esaminati e respinti nel merito. 2 Col secondo motivo la G. deduce la falsa applicazione dell’art. 36 comma 2 del DL n. 248/2007 convertito con modificazioni in legge 28.2.2008 n. 31, dell’art. 4 comma 2 sexies e septies del 24 settembre 2002 n. 209, violazione dell’art. 2 RD 1910/639 e dell’art. 13 delle cd preleggi in relazione all’art. 360 n. 3 cpc . Dopo aver rilevato la non pertinenza del precedente di legittimità richiamato nella sentenza impugnata, la ricorrente sostiene che nel panorama normativo di cui traccia una articolata ricostruzione non esiste una disposizione che consenta al Concessionario di utilizzare la procedura di ingiunzione di cui si discute, esempio tipico del potere di imperio della pubblica amministrazione e, in quanto norma eccezionale, insuscettibile di applicazione al di fuori dei casi espressamente previsti. Il motivo è infondato. Occorre preliminarmente osservare che la possibilità per i Comuni di avvalersi, per la riscossione dei tributi e delle altre entrate, della procedura di riscossione coattiva tramite l’ingiunzione di cui al R.D. 639/1910 era stata attribuita dal D.Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446 art. 52 comma 6, in forza del quale era prevista anche la possibilità di affidare ad altri soggetti la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate l’art. 52 comma 5 individua tali soggetti . Questa norma è stata abrogata dall’art. 1 comma 224 lett. b della legge 244/2007. È poi intervenuto il decreto legge n. 248/2007 art. 36 comma 2, a norma del quale, la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con a la procedura dell’ingiunzione di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nel caso in cui la riscossione coattiva è svolta in proprio dall’ente locale o è affidata ai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b , del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 b la procedura del ruolo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva è affidata agli agenti della riscossione di cui all’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 . L’articolo 7 comma 2 del DL n. 70/2011 convertito, con modifiche, dalla legge 106/2011 ha disposto al comma 2 lett. gg septies che in conseguenza delle disposizioni di cui alle lettere da gg-ter a gg-sexies 1 all’articolo 4 del decreto-legge 24 settembre 2002, n. 209, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 265, i commi 2-sexies, 2-septies e 2-octies sono abrogati 3 il comma 2 dell’articolo 36 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, è abrogato . Tale abrogazione non è poi di fatto avvenuta per effetto di un gioco di rinvii dell’entrata in vigore delle disposizioni a cui era subordinata la abrogazione medesima v. D.L. 6.12.2011 n. 201 art. 10 comma 13 octies e art. 29 comma 5 bis D.L. 29.12.2011 n. 216 come convertito dalla legge n. 14 del 2012 L’abrogazione delle disposizioni previste dall’articolo 7, comma 2, lettera gg-septies , numeri 1 e 3 , del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, acquista efficacia a decorrere dalla data di applicazione delle disposizioni di cui alle lettere gg-ter e gg-quater del medesimo comma 2 . È poi intervenuta la legge n. 44/2012 che ha convertito il D.L. n. 16/2012 in particolare, l’art. 5 comma 8-bis ha disposto che all’articolo 7, comma 2, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e successive modificazioni, la lettera gg-septies è sostituita dalla seguente gg-septies nel caso di affidamento ai soggetti di cui all’articolo 52, comma 5, lettera b , del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, la riscossione delle entrate viene effettuata mediante l’apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell’ente affidante, sui quali devono affluire tutte le somme riscosse. Il riversamento dai conti correnti di riscossione sul conto corrente di tesoreria dell’ente delle somme riscosse, al netto dell’aggio e delle spese anticipate dal soggetto affidatario, deve avvenire entro la prima decade di ogni mese con riferimento alle somme accreditate sui conti correnti di riscossione nel mese precedente . Come si vede il legislatore del 2012 ha inserito alla lettera gg septies un testo diverso che non contempla più l’abrogazione dell’art. 36 del DL n. 248/2007. Conseguentemente, sempre per effetto del meccanismo descritto nuova formulazione della lettera gg septies e mancata riproduzione delle abrogazioni è rimasto in vigore il comma 2 sexies dell’art. 4 del DL n. 209/2002 pure destinato, come si è visto, alla soppressione a norma del quale i comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, di seguito denominati concessionari , procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, secondo le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili . Tirando le fila di questo complicato percorso ricostruttivo, deve ritenersi corretta la decisione del Tribunale di Torino sulla legittimazione della società concessionaria Soris spa ad utilizzare lo strumento previsto dal RD n. 639/2010 e gli sforzi interpretativi della ricorrente, per quanto apprezzabili, non sono idonei a sorreggerne una diversa conclusione. 3 Il terzo ed ultimo motivo denunzia violazione dell’art. 96 cpc dolendosi della condanna ai sensi dell’art. 96 cpc, la ricorrente si ritiene vittima di una vera e propria punizione per avere osato mettere in discussione la giurisprudenza dello stesso magistrato e richiama alcuni passaggi della motivazione a sostegno di tale affermazione, precisando che la pronuncia di legittimità citata dal Tribunale non aveva affatto affrontato la specifica questione di diritto e così anche l’estensore di Torino in precedenza. Osserva inoltre che la condanna è stata disposta ingiustamente anche in favore del Comune di Torino, chiamato in giudizio non certo su iniziativa della ricorrente. Questo motivo è fondato. La condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., aggiunto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è condotta di per sé rimproverabile tra le varie, Sez. 6 2, Ord. n. 21570 del 30/11/2012 Rv. 624393 Sez. 3, Sentenza n. 27534 d el 30/12/2014 Rv. 634936 . Nel caso di specie, la mala fede e la colpa grave che giustificano la condanna di cui all’art. 96 cpc é stata desunta dal Tribunale unicamente dal mero dissenso mostrato dalla parte rispetto all’orientamento di un unico ufficio giudiziario di merito, cioè lo stesso Tribunale di Torino, posto che la Corte di Cassazione, con la citata sentenza 8460/2010 si era pronunciata sul tema della inclusione delle altre entrate di spettanza delle province e dei comuni per le quali l’art. 52, comma 6, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 nel testo, applicabile ratione temporis , anteriore all’abrogazione da parte dell’art. 1, comma 224, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 , prevede la possibilità di procedere alla riscossione coattiva anche con la procedura indicata dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639, ma non aveva affatto affrontato il tema specifico della delegabilità al concessionario del procedimento di ingiunzione di cui oggi si discute, per il semplice motivo che non era stata investita della specifica questione, a nulla rilevando il fatto che anche in quella vicenda l’ingiunzione fosse stata emessa da un concessionario. Ed allora, visto che residua in sostanza solo l’accertamento di un dissenso dalla giurisprudenza di merito, è da segnalare che proprio nel panorama della giurisprudenza di merito si registrano anche pronunzie favorevoli alla tesi della ricorrente solo per fare qualche esempio, v. Giudice di Pace di Gragnano 4.11.2010 e più di recente Tribunale di Milano sentenza n. 1599/2016 , il che dimostra ancora una volta che una condanna ex art. 96 cpc fondata sostanzialmente sul dissenso da un orientamento di un ufficio giudiziario di merito, neppure pacifico, non trova alcuna valida giustificazione. Pertanto la sentenza va cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 384 comma 2 cpc, eliminandosi tale statuizione. La parziale fondatezza del ricorso e la indiscutibile complessità della ricostruzione normativa in materia giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio. P.Q.M. la Corte rigetta i primi due motivi di ricorso accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, elimina la statuizione di condanna ex art. 96 terzo comma cpc dichiara compensate le spese dell’intero giudizio.