“Un idolo pagano mi perseguita”: niente protezione allo straniero

Respinta la curiosa domanda presentata da un nigeriano. Per i giudici il timore paventato dall’uomo è legato a una situazione tale da non far ipotizzare un danno grave alla sua persona.

Niente protezione per lo straniero approdato in Italia per sfuggire a un idolo pagano. Impossibile, secondo i giudici, ipotizzare un pericolo grave Cassazione, ordinanza n. 20920, sez. VI Civile, depositata oggi . Danno. Protagonista della curiosa vicenda è un nigeriano. Egli, una volta arrivato in Italia, presenta domanda di protezione internazionale , spiegando di essere scappato dal proprio Paese per il timore di essere perseguitato da un idolo pagano , di cui, per giunta, il padre è sacerdote . La richiesta viene respinta dal Ministero dell’Interno, e questa decisione è valutata come legittima sia in Tribunale che in Corte d’appello. Impossibile, secondo i giudici, parlare di possibile grave danno . E questa affermazione è condivisa ora dai magistrati della Cassazione, i quali confermano la decisione presa in Appello, evidenziando il fatto che la normativa predefinisce i danni gravi, quali la morte, la tortura, la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivante da situazioni di conflitto armato e specifica che i responsabili della persecuzione rilevante devono essere lo Stato, i partiti od organizzazioni, i soggetti non statuali se i primi non forniscono tutela . Per chiudere il cerchio, infine, viene evidenziato che riguardo alla zona di provenienza dello straniero non è emersa una situazione di conflitto armato tale da spingere a prendere in esame la richiesta di protezione .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 7 luglio – 7 settembre 2017, numero 20920 Presidente Genovese – Relatore Nazzicone Rilevato - che la parte ricorrente ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Ancona del 14 dicembre 2016, la quale ha respinto l'impugnazione avverso l'ordinanza del Tribunale della stessa città dell'11 marzo 2016, a sua volta reiettiva del ricorso avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale - che la corte del merito, premesso il principio secondo cui, in tema di onere probatorio nelle controversie in materia di protezione internazionale, il giudice deve anche di valutare se il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, se tutti gli elementi pertinenti in suo possesso siano stati prodotti, se sia stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi, e se egli risulti comunque attendibile, ha poi affermato che a il racconto del richiedente, relativo al timore di essere perseguitato da un idolo pagano di cui il padre era sacerdote, esula dai presupposti di cui all'art. 14, lett. a e b , D.Lgs. numero 251 del 2007 sulla protezione sussidiaria, il quale predefinisce i danni gravi paventati, quali la morte, la tortura, la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona derivante da situazioni di conflitto armato, mentre i responsabili della persecuzione rilevante devono essere lo Stato, i partiti od organizzazioni, i soggetti non statuali se i primi non forniscano protezione b difetta la situazione riconducibile all'art. 14, lett. c , D.Lgs. numero 251 del 2007, in quanto non risulta, con riguardo alla zona di provenienza del richiedente, una situazione di conflitto armato avente le caratteristiche di legge c difetta l'allegazione e la prova di specifiche situazioni soggettive integranti il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, circa le categorie soggettive sottoposte a lesioni di diritti umani di particolare entità - che non svolge difese il Ministero intimato, il quale si è costituito solo ai fini della eventuale partecipazione alla discussione orale - che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c - che il ricorrente ha depositato memoria Considerato - che l'unico complesso motivo verte, ai sensi dell'art. 360, primo comma, nnumero 3 e 5, c.p.c, sulla violazione degli artt. 1 della Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, 10 Cost., 2 e -4, 7, 14-17 del D.Lgs. 19 novembre 2007, numero 251, 8, 10, 27, comma 1-bis, 32, comma 3, D.Lgs. 28 gennaio 2008, numero 25, 5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, numero 286, nonché omesso esame di fatto decisivo, per avere la corte del merito mancato di valorizzare gli evidenti elementi comprovanti i trattamenti disumani patiti dal ricorrente e la situazione di generale violenza presente in Nigeria, e per non avere la corte del merito dimostrato di avere esaminato e valutato tutti i documenti in atti o facilmente reperibili d'ufficio, con omesso esame della domanda di protezione umanitaria bypassando in toto la reale situazione personale del ricorrente - che il ricorso è manifestamente inammissibile - che, invero, la corte territoriale ha compiutamente approfondito l'esame in fatto della situazione, nel pieno rispetto dei principi enunciati da questa Corte in materia, dilungandosi in una motivazione accurata ed esauriente nell'esporre le ragioni che hanno portato la Corte di appello alla decisione di rigetto del gravame in particolare, la domanda di protezione umanitaria è stata anch'essa ampiamente considerata, come risulta dalla motivazione della impugnata decisione - che, pertanto, il ricorso, sotto l'egida del vizio di violazione di legge e dell'omesso esame di elemento decisivo discusso tra le parti, mira invece a sottoporre di nuovo il giudizio di fatto, inammissibile tuttavia in sede di legittimità - che non si dà condanna alle spese, non svolgendo difese la parte intimata - che non deve provvedersi alla dichiarazione di cui all'art. 13 D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, essendo il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso.