Attenzione alle richieste risarcitorie disgiunte che portano all’abuso del processo

In tema di equa riparazione ai sensi della Legge n. 89/2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo.

La Sez. II Civile della Cassazione ordinanza n. 20834, depositata il 6 settembre , ha confermato il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo ma al tempo stesso ha confermato la decisione della Corte territoriale che disponeva la compensazione parziale delle spese di lite scorgendo una ipotesi di abuso del processo da parte del richiedente il risarcimento. Il caso. La fattispecie concreta è abbastanza articolata. Infatti, la Corte d’Appello dichiarava improponibile un ricorso con cui veniva chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale per la irragionevole durata di un processo amministrativo svoltosi avanti al TAR, iniziato nel 1997 e terminato nel 2010, ritenendo che non fosse stato documentato l’avvenuto effettivo deposito nel processo amministrativo dell’istanza di prelievo, con riguardo alla quale non può considerarsi equivalente l’istanza di fissazione dell’udienza di merito. La Corte ha, quindi, ritenuto che, essendo stata la domanda di equa riparazione proposta dopo il 16.09.2010 data di entrata in vigore del cosiddetto codice del processo amministrativo d.lgs. n. 104/2010 , la stessa dovesse essere dichiarata improponibile per mancata presentazione della istanza di prelievo aspetto preso in esplicita considerazione ai fini della Legge Pinto dall’art. 54, d.l. n. 112/2008 . Domanda di equa riparazione. Il ricorrente proponeva un primo ricorso per cassazione precisando che la causa amministrativa era passata in decisione all’udienza del 21.09.2010, quindi 5 giorni dopo l’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo. In tale contesto, dovendosi ritenere che l'udienza del 21.09.2010 fosse stata fissata per effetto della istanza depositata dal ricorrente il 28.09.2009, si doveva escludere che la mancata presentazione della istanza di prelievo, dopo il 16.09.2010, potesse produrre l'effetto di precludere la domanda di equa riparazione anche per il periodo anteriore al 25.06.2008 data del D.L. n. 112/2008, sopra citato . Invero, alla data del 16.09.2010 l'udienza di discussione del ricorso dinnanzi al TAR doveva ritenersi già stata fissata, sicché la presentazione della istanza di prelievo, lungi dall'assolvere la funzione sua propria di manifestazione di interesse ad una sollecita definizione del giudizio, sarebbe stata priva di qualsivoglia rilevanza. Il processo riassunto risarcimento concesso ma spese in parte compensate. La Corte di Appello, in sede di rinvio, accoglieva il ricorso, condannava il Ministero al risarcimento dei danni euro 3.700 circa , compensando le spese di lite nella misura di 4/5 e condannando il Ministero al pagamento della restante parte. Perché la compensazione delle spese di lite? Secondo la Corte d’Appello la compensazione era giustificata considerato che rispetto ad uno stesso giudizio presupposto processo amministrativo avanti al TAR , proposto contestualmente da più soggetti, con il medesimo procuratore, erano poi stati proposti autonomi ricorsi per il risarcimento del danno da irragionevole durata del processo, e che rispetto ad almeno uno di questi ultimi si era già proceduto alla liquidazione delle spese del procedimento. Compensazione delle spese giusta in caso di abuso del processo. Il caso, quindi, si caratterizza per questo un processo amministrativo, durato circa 13 anni, era stato proposto congiuntamente da più soggetti, i quali poi, successivamente, agivano in via tra loro autonoma, ma assistiti dal medesimo difensore, per chiedere il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo. Corretta la decisione di disporre la compensazione parziale delle spese di lite. Su questi presupposti di fatto gli Ermellini hanno ritenuto corretta la disposta parziale compensazione delle spese da parte della Corte territoriale. Questo in ragione del principio di diritto, peraltro in precedenza già affermato dalla stessa Suprema Corte, secondo cui in tema di equa riparazione ai sensi della Legge n. 89 del 2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l'inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall'aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all'allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. L’abuso del processo può portare all’inammissibilità del ricorso? Risposta negativa della Cassazione, la quale avverte che tale abuso non è sanzionabile con l'inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato, bensì le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell'onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 23 marzo – 6 settembre 2017, n. 20834 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Fatti di causa La Corte d’Appello di Caltanissetta, con decreto depositato il 21 ottobre 2013, ha dichiarato improponibile il ricorso, depositato in data 6 dicembre 2011, con cui V.P. aveva chiesto la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al danno non patrimoniale subito per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo iniziato dinnanzi al TAR di Palermo con ricorso del 9 gennaio 1997 e definito con sentenza depositata il 26 ottobre 2010. La Corte rilevava che il ricorrente aveva allegato di avere depositato nel giudizio presupposto istanza di prelievo, senza tuttavia fornire idonea prova documentale di tale assunto, alla quale non poteva ritenersi equivalente l’istanza di fissazione di udienza. Ha, quindi, ritenuto che, essendo stata la domanda di equa riparazione proposta dopo il 16 settembre 2010, la stessa dovesse essere dichiarata improponibile per mancata presentazione della istanza di prelievo. Avverso tale decreto proponeva ricorso per Cassazione V. per due motivi. La Corte di Cassazione con ordinanza del 17 dicembre accoglieva il secondo motivo di ricorso, precisando che ai fini dell’applicazione dell’art. 54, comma 2, quale risultante dalle modifiche del D.Lgs. n. 104 del 2010, è necessario che alla data del 16 settembre fosse ancora in fase di trattazione, nel senso che, tra tale data e la data della decisione della causa dovesse esserci la possibilità per la parte di depositare la istanza di prelievo nel giudizio amministrativo presupposto Cass. n. 26165 del 2013 , altrimenti, finendo con l’attribuire alla disposizione introdotta nel 2010 una efficacia retroattiva, idonea a paralizzare la domanda di equa riparazione anche per il periodo precedente alla data del 25 giugno 2008. Nella specie, il ricorrente deduce che la causa amministrativa è passata in decisione all’udienza del 21 settembre 2010, e cioè cinque giorni dopo la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 104 del 2010 e delle modifiche da esso apportate alla disciplina di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54. In tale contesto, dovendosi ritenere che l’udienza del 21 settembre sia stata fissata per effetto della istanza depositata dal ricorrente il 28 settembre 2009, si deve escludere che la mancata presentazione della istanza di prelievo, dopo il 16 settembre 2010, possa produrre l’effetto di precludere la domanda di equa riparazione anche per il periodo anteriore al 25 giugno 2008. Invero, alla data del 16 settembre 2010 l’udienza di discussione del ricorso dinnanzi al TAR deve ritenersi fosse già stata fissata, sicché la presentazione della istanza di prelievo, lungi dall’assolvere la funzione sua propria, di manifestazione di interesse ad una sollecita definizione del giudizio, sarebbe stata priva di qualsivoglia rilevanza, anche ai fini della proponibilità della domanda di equa riparazione, se non nei limiti della previgente formulazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 ”. Il V. riassumeva il procedimento con ricorso del 10 aprile 2015, riproponendo la domanda di equa riparazione, chiedendo che la causa fosse decisa alla stregua dei principi fissati dalla Corte di Cassazione. Si costituiva il ministero dell’Economia e delle Finanze chiedendo che venisse accertata la tempestività e ammissibilità della domanda e nel merito che si tenesse conto della condotta della parte nel giudizio presupposto. La Corte di appello di Caltanissetta con decreto 773 del 2015 accoglieva il ricorso e condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento a favore del V. della somma di comma 3.708,30, compensava per i quattro quinti le spese dei procedimenti e condannava il Ministero al pagamento della rimante somma. Secondo la Corte di Caltanissetta a il giudizio presupposto aveva superato la durata ragionevole di anni 7 e mesi 5 b poteva essere riconosciuto a titolo di danno non patrimoniale l’importo per ogni anno di ritardo. La Corte nissena riteneva di compensare i quattro quinti delle spese del giudizio, posto che rispetto ad uno stesso giudizio presupposto sono stati proposti contestualmente da diversi ricorrenti con il medesimo procuratore diversi ricorsi per equa riparazione e che rispetto ad almeno uno di essi, si è proceduto alla liquidazione delle spese del procedimento. La cassazione di questo decreto è stata chiesta da V.P. con ricorso affidato ad un motivo articolato su tre profili. Il Ministero della Economia e delle Finanze in questa fase non ha svolto attività giudiziale. Motivi della decisione Il Collegio ha autorizzato che la presente sentenza sia redatta con motivazione semplificata . 1.= Con l’unico motivo V. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. A Illegittimità del capo che dispone la compensazione delle spese del primo grado di giudizio NRG 2069 del 2011 , del giudizio di legittimità NRG 14056 del 2014 e del giudizio di rinvio RGN 158 del 2015 per violazione dell’art. 91, primo comma cod. proc. civ. e dell’art. 92, secondo comma cod. proc. civ B Illegittimità del capo che liquida nella misura di 1/5 le spese del procedimento, nei suoi diversi gradi, nella parte in cui applica le riduzioni di cui all’art. 9 del DM 140 del 2012 per il giudizio NRG 2069/2011 per violazione dell’art. 2233, secondo comma, cod. civ. C Illegittimità del capo che liquida nella misura di 1/5 le spese del procedimento, nei suoi diversi gradi, nella parte in cui applica la riduzione di cui all’art. 4 del DM 55/2014 per i giudizi di legittimità e di rinvio, per violazione dell’art. 4 primo comma, DM 55/2014 e per violazione dell’art. 2233 primo comma, cd. civ. Secondo il ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe errato A nell’aver compensato le spese sia pure nella misura dei 4/5 dei tre gradi di giudizio primo grado del giudizio, giudizio di legittimità e giudizio di rinvio perché pur applicando per i primi due gradi del giudizio l’art. 92 cod. proc. civ. nella versione introdotta dalla legge n. 69 del 2009 e per il giudizio di rinvio l’art. 92 cod. proc. così come modificato dalla legge n. 132 del 2014, comunque, non ricorrevano nel caso in esame gravi ed eccezionali ragioni, né una delle ipotesi soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni trattate di cui alla legge n. 132 del 2014. Né sarebbe grave ed eccezionale ragione di compensazione, pressoché integrale delle spese, la proposizione di separati ricorsi per equa riparazione con il medesimo procuratore rispetto ad un medesimo giudizio presupposto ed in considerazione del fatto che rispetto ad almeno uno di essi si è proceduto alla liquidazione delle spese del procedimento. B nell’aver violato il minimo tariffario e nell’aver applicato la riduzione massima consentita dall’art. 9 del DM 140 del 2012 pari al 50% perché secondo le tabelle del DM 140 del 2012 il compenso nel caso in esame sarebbe stato di Euro 2.520,00 e considerato il 1/5 il compenso ammonterebbe ad Euro 504,00 e applicando la riduzione del 50% la liquidazione sarebbe dovuta esser di Euro 252,00 e non già di Euro 90,00 la disposta compensazione violerebbe, comunque, l’art. 2233 cod. civ. posto che secondo tale disposizione in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione. C nell’aver disposto la riduzione per la non complessità delle questioni affrontate, non avendo tenuto conto che la parte per ottenere il riconoscimento del diritto all’equa riparazione ha dovuto affrontare un iter giudiziario lungo e complesso. Piuttosto anche sotto profilo la Corte distrettuale avrebbe violato la disposizione di cui all’art. 2232 cod. civ. 1.1. = È fondato il secondo profilo, del motivo in esame, limitatamente alla parte in cui la liquidazione delle spese non risponde alle tabelle di cui al DM 140 del 2012, infondati sono gli altri profili del motivo. a Infatti, come correttamente ha evidenziato il ricorrente secondo le tabelle del DM 140 del 2012 il compenso, relativamente al giudizio svoltosi davanti alla Corte di Appello andava calcolato secondo la tabella relativa alle cause di valore fino a Euro 25.000,00, il cui risultato sarebbe di Euro 584 che applicando la riduzione di cui all’art. 9 del DM 140/2012 considerata la quinta parte risulta essere di Euro 112,80. Corretta è la liquidazione per il giudizio di cassazione posto che in applicazione del DM n. 55/2014 il compenso sarebbe di Euro 892,50 e la quinta parte sarebbe, esattamente, Euro 178,50. b Corretta è la disposta compensazione. Infatti, posto che la domanda di equa riparazione proposta da V.P. risulta identica a quella proposta da altre parti di un medesimo giudizio presupposto svoltosi avanti al TAR di Palermo, avendo formulato un’identica domanda, è applicabile il principio affermato dalla S.comma secondo il quale in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e, quindi, la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine Sez. 1, n. 10634/2010 . Pertanto, appare del tutto giustificata la disposta compensazione dei 4/5 delle spese del giudizio, perché nonostante il presente procedimento non sia stato riunito ad altri aventi ad oggetto la durata dello stesso giudizio presupposto, tuttavia, egualmente è stato consumato un abuso del processo che non poteva che essere rilevante al momento della liquidazione delle spese. C Va qui osservato che la normativa di cui all’art. 2233 cod. civ. secondo cui in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione deve ritenersi rispettato tutte le volte in cui vengono rispettati i parametri indicati dalla legge e nel nostro caso dalle tabelle riportate dal decreto ministeriale con il quale vengono fissate i compensi in relazione al valore della causa dovendo ritenere che la normativa di settore abbia predisposto un compenso adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione. In definitiva, va accolto il primo aspetto del secondo profilo del motivo e rigettati gli altri. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa va giudicata nel merito liquidando per il primo grado di merito la somma di Euro 112,80 per compensi, confermando le altre statuizioni del decreto impugnato in merito alla liquidazione delle spese. Non occorre provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, posto che la parte intimata non ha svolto, in questa fase, alcuna attività giudiziale. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo profilo del motivo, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, liquida per il primo grado di merito la somma di Euro 112,80 per compensi, conferma le altre statuizioni del decreto impugnato in merito alla liquidazione delle spese.