Se l’amministrazione fa ricorso ai privati, anche loro devono poter ricorrere al Giudice

La Cassazione afferma che laddove si ribadisca la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di fare fronte agli obblighi scaturenti dall’aver fatto ricorso alle prestazioni di privati, onde assicurare la custodia dei beni in sequestro, deve del pari reputarsi consequenziale la possibilità per il privato di agire dinanzi il giudice per il riconoscimento delle proprie spettanze .

Così ha deciso la Suprema Corte con l’ordinanza n. 20848/17 depositata il 6 settembre. Il caso. Il titolare di una ditta evocava in giudizio davanti al Tribunale il Ministero del’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane, affinché fossero condannati al pagamento della somma corrispondente a 31 fatture emesse nei confronti dell’Agenzia delle Dogane per prestazioni di custodia giudiziale di autoveicoli sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria relative a reati di contrabbando. In seguito al rigetto del Tribunale, l’imprenditore ricorre in appello. La Corte d’Appello rigettava il ricorso sulla base del fatto che le norme agli artt. 259, 260, comma 3, e 264 c.p.p., affidando all’amministrazione finanziaria il ruolo di custode, con facoltà di delegare il ruolo anche ai privati, spetterà quindi alla stessa PA il compito di liquidare il compenso al custode. Nel caso di specie però, la Corte esclude la fondatezza della domanda, non potendosi riconoscere al custode la possibilità di agire direttamente per il pagamento dei suoi compensi, essendo necessaria la previa liquidazione del compenso da parte dell’amministrazione competente. Avvero tale pronuncia la Curatela fallimentare del soccombente ricorre in Cassazione. Sequestro di automezzi. Tra i motivi di doglianza di evidenza risulta quest’ultimo, la Cassazione afferma, infatti, che sia da applicarsi il principio per cui laddove si ribadisca la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di fare fronte agli obblighi scaturenti dall’aver fatto ricorso alle prestazioni di privati, onde assicurare la custodia dei beni in sequestro, deve del pari reputarsi consequenziale la possibilità per il privato di agire dinanzi il giudice per il riconoscimento delle proprie spettanze dal momento che essendo in assenza di un espressa previsione di legge, non si potrà dare vita ad un’autonoma ipotesi di giurisdizione condizionata che richiederebbe un espressa manifestazione di volontà del legislatore per la palese limitazione che pone al diritto di difesa. Per questo motivo, quindi, la Cassazione cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo in esame.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 7 luglio – 6 settembre 2017, n. 20848 Presidente Petitti – Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto omissis quale titolare della ditta omissis evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane, affinché fossero condannati, eventualmente anche in solido, al pagamento della somma di Euro 66.173,53, quale corrispettivo di ben trentuno fatture emesse nei confronti dell’Agenzia delle Dogane per prestazioni di custodia giudiziale di autoveicoli sequestrati in data anteriore al 12/6/1971 nel corso di operazioni di polizia giudiziaria, relative a reati di contrabbando. Sosteneva l’attore che, attesa la data di affidamento dei veicoli in custodia, ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 375/1990 e dell’art. 109 della legge n. 907/1942, era tenuto al pagamento della somma dovuta l’Agenzia delle Dogane, la quale aveva però disatteso le varie richieste formulate, sostenendo che la competenza a disporre il pagamento era in capo all’Autorità giudiziaria. Nella resistenza dei convenuti, il Tribunale adito con la sentenza n. 1787/2006 rigettava la domanda, aderendo alla tesi difensiva dell’Agenzia delle Dogane che aveva ritenuto necessario un provvedimento di liquidazione da parte dell’autorità giudiziaria penale. La Corte d’Appello di Bari con la sentenza n. 894/2012, confermava il rigetto della domanda, sebbene sulla base di una diversa motivazione. Rilevava che la custodia concerneva automezzi sequestrati dalla Guardia di Finanza nel corso di operazioni di repressione del contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ed affidati alla ditta dell’attore, che nelle more del giudizio era fallito. Dovevano quindi trovare applicazione le previsioni di cui al D. Lgs. n. 375/1990 e della legge n. 92/2001, dalle quali si ricava univocamente che, ancorché i sequestri siano disposti nell’ambito di procedimenti penali, la custodia è in realtà affidata dalla stessa legge all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato che vi provvede con i mezzi che ritiene più opportuni, e se del caso, anche avvalendosi del ricorso a ditte private, come appunto avvenuto nella fattispecie. Tale affermazione che implica che il compenso ai privati debba essere versato direttamente dall’Amministrazione, è confermata anche dalle disposizioni che prevedono che le spese sostenute per la custodia debbano essere dedotte dalle somme riscosse per multe, ammende, pene pecuniarie e proventi di confisca anteriormente alla loro ripartizione, non potendosi quindi invocare le diverse norme previste dal codice di procedura penale. La novella del 2001 aveva previsto poi che i beni sequestrati fossero rottamati mediante distruzione sulla base di apposite convenzioni stipulate direttamente dall’Amministrazione, e le successive circolari amministrative avevano previsto la concentrazione dei mezzi di trasporto sequestrati nel corso di operazioni di repressione del contrabbando, presso autoparchi all’uopo istituiti. Tuttavia nella Regione Puglia non era stata possibile la creazione di un apposito autoparco, sicché si era disposto l’affidamento in custodia onerosa a privati, fermo restando che i relativi oneri avrebbero sempre fatto carico all’Amministrazione. Ne consegue quindi che in tale materia, la competenza dell’AG è limitata alla sola autorizzazione all’Amministrazione alla vendita delle cose deperibili, all’utilizzo dei mezzi di trasporto in attività di polizia e simili ovvero alla loro rottamazione. La stessa Suprema Corte ha ribadito la correttezza di tale ricostruzione della normativa vigente, affermando che le norme de quibus derogano alle previsioni di cui agli artt. 259, 260 co. 3 e 264 c.p.p., affidando all’Amministrazione Finanziaria il ruolo di custode, con facoltà di delegare tale compito anche a privati, spettando quindi alla stessa PA il compito di liquidare il compenso al custode Cass. pen. n. 35154/2003 Cass. pen. n. 45165/2005 . Tuttavia andava esclusa la fondatezza della domanda, non potendosi riconoscere al custode la possibilità di agire direttamente per il pagamento dei suoi compensi, essendo necessaria la previa liquidazione del compenso da parte dell’amministrazione competente. Avverso tale provvedimento propone ricorso la Curatela fallimentare di omissis sulla base di tre motivi. Le Amministrazioni intimate hanno resistito ai soli fini della partecipazione alla udienza di discussione. Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324 e 329 c.p.c., in quanto la Corte distrettuale avrebbe dichiarato inammissibile la domanda sulla base di motivi diversi rispetto a quelli ravvisati dal giudice di primo grado, in assenza di una formale domanda o eccezione di inammissibilità da parte delle Amministrazioni convenute, che si erano limitate ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva. Inoltre si assume che la sentenza di appello, mutando la qualificazione dei fatti come ritenuta dal giudice di primo grado, avrebbe violato gli artt. 324 e 329 c.p.c Il motivo è infondato. Ed, invero, rilevato che il giudice di primo grado aveva ritenuto insussistente la legittimazione passiva del Ministero e rigettato la domanda nei confronti dell’Agenzia delle Dogane, in quanto riteneva necessario che il provvedimento di liquidazione dovesse provenire da parte dell’Autorità giudiziaria, la sentenza d’appello ha invece ritenuto che fosse priva di fondamento, alla luce della complessiva normativa di settore, la conclusione in punto di necessità di un provvedimento di liquidazione dei compensi del custode da parte dell’AG, ma ha poi ritenuto che non fosse possibile richiedere direttamente il pagamento del credito vantato, essendo necessaria la previa liquidazione da parte dell’Autorità amministrativa. La pronuncia, quindi lungi dall’accogliere una domanda riconvenzionale, ha in realtà ritenuto che nel caso di specie fosse carente una condizione dell’azione, costituita, a detta dei giudici di appello, dalla previa emanazione di un provvedimento di liquidazione, sicché avendo rilevato la carenza di una condizione dell’azione, la cui verifica compete d’ufficio al giudice, sicché dovrebbe escludersi la ricorrenza della dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, mentre del pari non sussisterebbe la violazione del giudicato interno, in quanto le ragioni che avevano portato al rigetto della domanda in primo grado apparivano preclusive della stessa disamina della fondatezza della domanda e se del caso della verifica dell’ammissibilità della medesima nei confronti delle Amministrazioni. Il secondo motivo denunzia invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 109 e 112 della legge n. 907/1942, dell’art. 4 del D. Lgs. n. 375/1990, dell’art. 105 del DM del 19 maggio 1943, degli artt. 259 e ss. c.p.p., dell’art. 1218 e 1321 e ss. c.c. In pratica dopo avere riepilogato, conformemente a quanto fatto dai giudici di appello, la complessiva ricostruzione della normativa di settore in materia di sequestro di automezzi nel corso di operazioni di polizia volte alla repressione del contrabbando di tabacchi lavorati esteri, e dopo avere richiamato i precedenti delle sezioni penali di questa Corte, che hanno appunto escluso l’applicabilità alla fattispecie delle previsioni del codice di rito penale in tema di liquidazione dei compensi al custode da parte dell’Autorità Giudiziaria, si sostiene che in maniera del tutto inopinata, si sarebbe ritenuto necessario per adire il giudice ordinario al fine del riconoscimento dei propri compensi, attendere un previo provvedimento di liquidazione da parte della stessa amministrazione debitrice. Il motivo è fondato. Ed, infatti, una volta riaffermata l’esistenza di un diretto rapporto di natura contrattuale tra l’Agenzia delle Dogane subentrata all’amministrazione Autonoma dei Monopoli , che pone a carico di questa l’obbligo di remunerare i privati dei quali si sia eventualmente avvalsa al fine di assicurare la custodia dei beni mobili in sequestro, si è inopinatamente, ed in assenza di una specifica previsione di legge, ritenuto che l’azionabilità del diritto al compenso fosse subordinato alla previa adozione di un provvedimento di liquidazione da parte dell’Autorità amministrativa. In tal modo si è replicato il sistema previsto per le contestazioni ai provvedimenti di liquidazione dei compensi adottati dall’autorità giudiziaria, nel quale è la legge a configurare uno specifico rimedio oppositorio, laddove la chiara conclusione che si trae dalla stessa ricostruzione operata dalla Corte distrettuale è nel senso di assicurare l’autonomia disciplinare del sistema concernente i beni sequestrati nell’ambito di operazioni di repressione del contrabbando. È quindi evidente che laddove si ribadisca la sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di fare fronte agli obblighi scaturenti dall’avere fatto ricorso alle prestazioni di privati, onde assicurare la custodia dei beni in sequestro, deve del pari reputarsi conseguenziale la possibilità per il privato di agire dinanzi al G.O. per il riconoscimento delle proprie spettanze, non potendosi, in assenza di una espressa previsione di legge, dare vita ad una autonoma ipotesi di giurisdizione condizionata, che proprio per la palese limitazione che pone al diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., richiede una espressa e puntuale manifestazione di volontà del legislatore di legge cfr. Cass. n. 9939/2012 . La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione al motivo in questione, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. Inoltre l’accoglimento del secondo motivo di ricorso determina l’assorbimento del terzo motivo con il quale si censura del pari la soluzione circa la necessità di dover attendere la previa adozione di un provvedimento di liquidazione del compenso da parte dell’Autorità Amministrativa, sotto il diverso profilo del difetto della motivazione della sentenza impugnata. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, ed assorbito il terzo, cassa il provvedimento impugnato con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bari.