Costituzione in giudizio irrituale? Solo il giudice può dirlo

Qualora una parte non sia ritualmente costituita in giudizio, la notifica della sentenza effettuata nei confronti della medesima personalmente è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, senza che la situazione processuale della stessa parte possa essere valutata in maniera difforme da quella emergente dalla qualificazione formale operata dal giudice nella motivazione della sentenza notificata, quand’anche essa non riportata in dispositivo .

È questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20392/17 depositata il 25 agosto. Termine per impugnare. La pronuncia in oggetto s’inserisce nell’ambito di una controversia in tema di esproprio immobiliare che giunge dinanzi alla Suprema Corte su ricorso del Comune espropriante. Risulta però dirimente l’eccezione pregiudiziale sollevata dai controricorrenti che lamentano la tardività del ricorso in quanto ormai decorso il termine per impugnare decorrente dalla notifica della sentenza impugnata all’ente pubblico presso la relativa sede e non da quella – successiva – eseguita con consegna all’avvocato che aveva assistito l’ente nel giudizio a quo . Tale affermazione si fonda sul rilievo del giudice di merito che aveva considerato il Comune non ritualmente costituito in giudizio per difetto dell’indicazione della delibera di incarico al difensore. Notifica alla parte non costituita in giudizio. L’affermazione dei controricorrenti trova accoglimento da parte del Collegio che ricorda il principio secondo cui la notifica della sentenza alla parte personalmente è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare qualora la parte stessa non sia ritualmente costituita in giudizio senza che la situazione processuale della stessa parte possa essere valutata in maniera difforme da quella emergente dalla qualificazione formale operata dal giudice e desumibile dalla sentenza notificata . Applicando il principio al caso di specie, risulta aver la Corte territoriale validamente affermato, nel corpo della sentenza, l’inammissibilità della costituzione del Comune e tale qualificazione non può essere disattesa nemmeno in sede di legittimità. Per questi motivi, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Comune ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 23 maggio – 25 agosto 2017, n. 20392 Presidente Giancola – Relatore Genovese Fatti di causa 1. La Corte d’appello di Napoli ha accolto la domanda di opposizione alla stima proposta dai sigg. D.G. e D. , avendo il Comune di Orta di Atella quantificato l’indennità di esproprio sulla base dell’art. 5-bis L. n. 359 del 1992, dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 , e non già in base al valore venale del bene ablato. 1.1. Secondo la Corte, anzitutto, il Comune opposto non risultava ritualmente costituito, non essendo stata depositata la delibera di incarico al procuratore in giudizio. 1.2. In secondo luogo, non poteva essere applicata al caso la decurtazione del 25% per gli espropri diretti a realizzare interventi di riforma economico-sociale , in quanto, nella specie, quello in questione mirava a realizzare infrastrutture di un’area industriale di un piccolo comune. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune, con tre motivi. 3. Gli espropriati hanno resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo mezzo di impugnazione violazione dell’art. 194 TUEL - D. Lgs. n. 267 del 2000 - e omessa pronuncia su questione rilevante, ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. , il Comune ricorrente lamenta l’assenza di motivazione riguardo al fatto che la stima, formulata prima dell’intervento della Corte costituzionale dichiarativo dell’illegittimità dell’art. 5-bis L. n. 359 del 1992 , impediva all’ente pubblico di discostarsi da quanto già stabilito, pena l’insorgere di una spesa extrabilancio, priva di copertura, ai sensi dell’art. 284 del RD n. 383 del 1934, che avrebbe comportato la nullità di essa. 2. Con il secondo violazione dell’art. 2, commi 89 e 90, L. n. 244 del 2007 e della nuova formulazione dell’art. 37, co. 1 e ss., ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. , il Comune ricorrente lamenta il diniego della richiesta riduzione dell’indennità di esproprio del 25% quando, come nella specie, esso era finalizzato a realizzare una riforma economico-sociale, ex art. 37, 1 e 2 co., come sostituiti dal comma 89 della legge finanziaria n. 244 del 2007, successivamente all’intervento della Corte costituzionale n. 348 del 2007. Nella specie, l’adozione di un piano PIP, per la rilevante funzione, perseguirebbe finalità di riequilibrio e giustizia sociale oltre che di tutela del lavoro. 3. Con il terzo violazione dell’art. 2, commi 89 e 90, L. n. 244 del 2007 e della nuova formulazione dell’art. 37, co. 7, ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. , il Comune ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che i due espropriati avevano, nelle loro dichiarazioni ai fini dell’ICI, dichiarato valori venali dei beni oggetto di procedura espropriativa assai inferiori a quelli poi realizzati, senza che da tali somme, in ipotesi non superabili da parte dell’ente espropriante, fossero state detratte neppure l’imposta evasa e le sanzioni. 4. Va esaminata l’eccezione pregiudiziale sollevata dai controricorrenti i quali assumono la tardività del ricorso per cassazione notificato agli espropriati il 31 marzo 2011 siccome preceduto dalla notifica - da parte degli odierni resistenti - della sentenza impugnata all’ente pubblico il 12 ottobre 2010 presso la sua sede istituzionale, non considerando valida quell’altra, invece, eseguita con la consegna all’avvocato dell’ente, difensore nel giudizio a quo, in una data successiva alla prima il 31 gennaio 2011 . 4.1. L’eccezione è svolta, perciò, sulla deduzione dell’idoneità della prima notificazione della sentenza, eseguita - su impulso degli odierni resistenti - presso la sede dell’ente, non anche di quella che, in un momento successivo, è stata eseguita presso il difensore del Comune, sul rilievo che il giudice distrettuale aveva considerato sebbene solo nel corpo della motivazione l’ente territoriale non ritualmente costituito in giudizio, in difetto dell’indicazione della delibera d’incarico al procuratore destinatario della seconda notificazione . 5. L’eccezione è fondata in considerazione del principio di diritto, affermato già da questa Corte a Sez. U, con la Sentenza n. 1273 del 1998 , laddove ha stabilito che la notifica della sentenza alla parte personalmente è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione qualora la suddetta parte non sia ritualmente costituita in giudizio, senza che la situazione processuale della stessa parte possa essere valutata in maniera difforme da quella emergente dalla qualificazione formale operata dal giudice e desumibile dalla sentenza notificata. Nella specie, essendo stata dichiarata dal pretore l’inammissibilità dell’opposizione e decreto ingiuntivo proposta dalla Regione Puglia per carenza di delibera autorizzatoria, ed essendo stata notificata tale sentenza alla Regione presso la sua sede, la S.C. ha cassato la sentenza del tribunale che non aveva ritenuto l’inammissibilità dell’appello proposto oltre la scadenza del termine breve di impugnazione decorrente dalla notifica alla parte . 5.1. In altri termini, qualora una parte non sia ritualmente costituita in giudizio la notifica della sentenza svolta nei confronti della parte personalmente è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione. 5.2. E, nella specie, pur non avendo dichiarato in dispositivo come inammissibile la costituzione del Comune nel giudizio di opposizione alla stima, la Corte territoriale l’ha comunque affermato validamente nel corpo della motivazione e quella qualificazione non può essere disattesa così come hanno statuito le sezioni unite nel richiamato precedente , in questa sede. 6. Pertanto, il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, in ossequio al seguente principio di diritto la notifica della sentenza alla parte personalmente è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione qualora la suddetta parte non si sia ritualmente costituita in giudizio, senza che la situazione processuale della stessa parte possa essere valutata in maniera difforme da quella emergente dalla qualificazione formale operata dal giudice nella motivazione della sentenza notificata, quand’anche essa non riportata in dispositivo. 6.1. Le spese seguono la soccombenza sono perciò poste a carico del Comune ricorrente e liquidate come in dispositivo, senza il riconoscimento dell’esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Comune ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.