Il pagamento dell’imposta non dà prova dell’esistenza dell’autorizzazione

In tema di onere probatorio la Cassazione afferma che debba essere il contravventore a dimostrare di essere in possesso di un provvedimento autorizzatorio rilasciato dall’ente proprietario.

Così ha deciso la Cassazione con la sentenza n. 18272/17, depositata il 25 luglio. Il caso. Il Tribunale, quale giudice di appello, annullava il verbale dell’ANAS ex art. 23, commi 4 e 11, d. lgs n. 285/92, per l’istallazione di un cartellone pubblicitario lungo la statale, in assenza di autorizzazione. Il Tribunale rilevava, infatti, che l’assenza di tale autorizzazione dovesse essere contraddetta dalla concessione, da parte dell’ANAS, ad altra società, dei diritti di riscossione dell’imposta comunale relativa al cartello. Avverso tale pronuncia l’ANAS propone ricorso per Cassazione con diverse doglianze. L’onere probatorio. Nel caso di specie, la Cassazione ritiene di poter trattare in modo unitario le censure sollevate dal ricorrente. I Giudici del Palazzaccio affermano che la formulazione dell’art. 23 del codice della strada, che vieta la collocazione lungo strade di insegne o impianti pubblicitari, sia volto ad evitare il disturbo dell’attenzione dei conducenti alla guida. Nel caso di specie, dal momento che non era in contestazione l’apposizione del cartellone pubblicitario e la relativa assenza di un’autorizzazione, la Cassazione rileva che il Tribunale abbia errato nell’applicazione del principio dell’onere della prova. Una corretta applicazione di tale principio avrebbe comportato, infatti, che fosse il contravventore a dimostrare di essere in possesso di un provvedimento autorizzatorio rilasciato dall’ente proprietario, nel caso in esame si è erroneamente presunta la sussistenza di tale autorizzazione dal pagamento dell’imposta sulla pubblicità. Ne deriva che la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta l’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 marzo – 25 luglio 2017, n. 18272 Presidente Petitti – Relatore Orilia Ritenuto in fatto Con sentenza 11.3.2013, il Tribunale di Pesaro sez. distaccata di Fano, quale giudice di appello, in accoglimento del gravame proposto nei confronti dell’ANAS spa da R.S. e dalla srl I Girasoli contro la sentenza del Giudice di Pace di Fano, ha annullato il verbale 00060 elevato dall’ANAS il 3.6.2009 ex art. 23 commi 4 e 11 del D.Lvo 285/1992 per installazione, in assenza di autorizzazione di un cartello pubblicitario lungo la Statale n. 16 Adriatica. Per giungere a tale soluzione, ha osservato che la mancanza nel caso concreto di un provvedimento autorizzatorio sarebbe stata contraddetta dalla concessione, da parte di ANAS, a favore di Duomo GPA srl, dei diritti di riscossione dell’imposta comunale relativa al cartello per cui è causa , sicché doveva ritenersi non provato da parte dell’appellata ANAS che l’installazione, risalente al 1969, fosse avvenuta abusivamente. Contro tale decisione l’ANAS ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre censure illustrate da memoria. L’altra parte non ha svolto difese in questa sede. Considerato in diritto 1 Premessa la regolarità della notifica del ricorso per cassazione eseguita presso la Cancelleria del Tribunale di Pesaro, in considerazione del fatto che il domicilio eletto presso la sede della società I Girasoli è stato trovato chiuso e che il difensore avvocato Mereu appartiene al foro di Ancona quindi, fuori del Circondario del Tribunale di Pesaro v. art. 82, secondo comma, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 , osserva il Collegio che col primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, violazione degli artt. 23, commi 4 e 11 del D. Lgs n. 285/1992 e s.m.i. e degli artt. 53 e 54 DPR 495/1992 e s.m.i. nella parte in cui si afferma che la fattispecie normativa è integrata da elementi costitutivi ulteriori rispetto all’assenza del provvedimento di autorizzazione all’installazione. Col secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 23, commi 4 e 6 del D. Lgs n. 285/1992 e s.m.i. in combinato disposto con gli artt. 1 e 3 e ss. del D. Lgs. n. 507/1993 e s.m.i e degli artt. 53 e 54 DPR 495/1992 e s.m.i. nella parte in cui si afferma che la concessione dei diritti di riscossione dell’imposta comunale relativa alla cartellonistica pubblicitaria installata senza autorizzazione escludono la sussistenza dell’illecito. Col terzo infine si deduce la violazione dell’art. 23 della legge 689/1981 e s.m.i. e dell’art. 2697 cc in tema di riparto e contenuti dell’onere probatorio in tema di pretesa sanzionatoria amministrativa nella parte in cui la sentenza afferma che il soggetto titolare della pretesa sanzionatoria non adempie all’onere della prova a proprio carico anche nel caso in cui fornisca la prova del fatto costitutivo dell’illecito amministrativo come prevista dalla fattispecie normativa astratta. 2 Queste censure, ben suscettibili di trattazione unitaria, sono fondate. L’art. 23 del Codice della Strada, da un lato vieta la collocazione, lungo le strade o in vista di esse , di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione e dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore. Come già osservato da questa Corte e dal Consiglio di Stato, la formulazione dell’art. 23 indica chiaramente l’intento perseguito dal legislatore, che è quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell’attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall’unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo cfr. Sez. 2, Sentenza n. 4683 del 26/02/2009 Rv. 606766 Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 29.11.2012 n. 6044 . Nel caso di specie, non era assolutamente in discussione l’avvenuta installazione del cartellone sulla Statale Adriatica e la contestazione, da parte dell’ANAS ente proprietario , della mancanza della relativa autorizzazione. A questo punto, una corretta applicazione del principio dell’onere probatorio da parte del Tribunale che pure lo aveva ben enunciato in linea generale avrebbe comportato nel caso di specie che fosse il contravventore a dimostrare di essere in possesso di un provvedimento autorizzatorio rilasciato dall’ente proprietario, ma ciò non è accaduto avendo il giudice di appello presunto il suo rilascio dall’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità, cioè dal mero adempimento di un obbligo tributario nei confronti di un ente diverso, il Comune ed anche sotto profilo la sentenza si rivela erronea perché afferma invece che la concessione a riscuotere tale imposta era stata data dall’ANAS e che non ha nulla a che vedere con l’autorizzazione di cui si discute, finalizzata - come si è visto - al soddisfacimento di esigenze di sicurezza per la circolazione. Consegue la cassazione della sentenza senza rinvio e, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito art. 384 comma 2 cpc e quindi l’appello va rigettato con condanna della parte soccombente alle spese di quel grado di giudizio e del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello. Condanna gli intimati in solido al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 500,00 oltre accessori di legge e di quello di legittimità, che liquida in Euro 900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.