Provvedimenti disciplinari degli avvocati: escluso il potere di riesame nel merito alle Sezioni Unite

Il ricorso alla sezioni unite della Corte di Cassazione avverso i provvedimenti disciplinari del C.N.F. non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica –delle valutazioni compiute dall’organo disciplinare d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, tra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione.

La premessa. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16690, depositata il 6 luglio 2017, sono chiamate a decidere sulla responsabilità disciplinare di un avvocato condannato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati prima, e dal CNF dopo, ad una sanzione disciplinare. Come noto tale potere d’impugnazione trova la sua fonte normativa nell’art. 56 r.d.l. n. 1578/1933. Il fatto. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati territorialmente competente irrogava ad un avvocato appartenente al suo albo, la sanzione disciplinare della sospensione per un anno. Il legale era stato riconosciuto colpevole per l’accanimento giudiziario con cui aveva portato avanti un’azione di recupero crediti, nell’interesse di altra collega, sulla scorta di crediti che poi erano stati riconosciuti come insussistenti. A fronte del medesimo credito vantato nei confronti di taluni fratelli erano state intraprese plurime procedure esecutive, nei confronti di ciascun condebitore in solido ed in dipendenza dal medesimo titolo, con conseguente moltiplicazione delle spese di causa in danno dei creditori medesimi. Il provvedimento era impugnato dall’avvocato dinanzi al CNF il quale irrogava all’accusato la sanzione meno grave della censura, trattandosi di soggetto che aveva agito non già iure proprio, bensì in virtù del mandato professionale conferitogli da altra collega. L’avvocato impugnava la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite. Egli sostanzialmente sosteneva l’illegittima applicazione di una sanzione disciplinare per violazione della legge professionale vigente, la mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nonché il vizio di motivazione. Le incensurabili motivazioni del consiglio nazionale forense. Gli Ermellini respingevano il ricorso. I Giudici Di Piazza Cavour evidenziavo la logicità e la coerenza del giudizio espresso dal CNF. Le argomentazioni svolte dal CNF erano ritenute adeguate dal punto di vista logico giuridico giungendo alla conclusione che l’incolpato avesse in modo ingiustificato portato avanti una serie di iniziative giudiziarie particolarmente gravose per i clienti della collega che avevano, in concreto, aggravato la loro posizione debitoria. Escluso il riesame del merito da parte delle Sezioni Unite. Per la Corte di Cassazione le motivazioni addotte dal ricorrente, non individuavano vizi della sentenza in punto di motivazione o violazione di legge, tendendo piuttosto ad ottenere un riesame nel merito della pronuncia del CFN. In tale prospettiva l’Organo di legittimità evidenziava come, oramai in maniera consolidata la giurisprudenza a Sezioni Unite della Cassazione, in materia d’impugnazione di provvedimenti disciplinari del CNF, escludesse l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito. Preclusa quindi alle Sezioni Unite la valutazione del merito fatta dal giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. in tal senso Cass. Civ. SS.UU. n. 24647/2016 .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 11 ottobre 2016 – 6 luglio 2017, n. 16690 Presidente Canzio – Relatore Travaglino In fatto e in diritto 1. A seguito dell’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti dell’avvocatessa C.T. e dell’avv. A.S. , il C.O.A. di irrogò a quest’ultimo la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di un anno, per avere l’incolpato, in relazione a crediti professionali ingiustificatamente vantati dalla collega C. , con ripetute e onerose iniziative giudiziali, aggravato immotivatamente la situazione debitoria dei germani R. attraverso una serie numerosissima di azioni esecutive intraprese nei confronti dei condebitori solidali, senza che ad esse corrispondessero effettive ragioni di tutela del credito vantato dalla collega da lui assistita. 2. L’avv. A. propose ricorso dinanzi al C.N.F 3 L’organo disciplinare di vertice, rigettate alcune doglianze mosse in rito dal ricorrente, confermò in punto di fatto la valutazione compiuta dal C.O.A. pugliese in ordine all’illecito contestato - ritenendo, in particolare, documentalmente provata l’esistenza di un rilevante numero di procedure introdotte nei confronti di ciascuno dei debitori in solido, tali da integrare la fattispecie dell’accanimento giudiziario. 3.1. Rilevò, tuttavia, il Consiglio nazionale dell’ordine che, alla luce delle disposizioni contenute nel nuovo codice deontologico degli avvocati, la condotta accertata risultava sanzionata con la più favorevole censura, e che tale sanzione risultasse, nella specie, adeguata ai fatti contestati all’A. , non avendo l’incolpato agito pro domo sua, bensì nell’ambito di un mandato professionale conferitogli dall’avvocatessa C. cui verrà invece irrogata la più grave sanzione della sospensione per sei mesi dall’esercizio dell’attività professionale, con pronuncia confermata da questa Corte in pari data rispetto al presente provvedimento . 4. La sentenza della Consiglio nazionale forense è stata impugnata da A.S. con ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi di gravame. 5. Il ricorso è infondato. 5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione del contraddittorio - violazione del diritto di difesa degli incolpati - violazione di legge ex art. 50 R.D. n. 37 del 1934. 5.2. Il motivo, prima ancora che palesemente inammissibile per difetto di interesse la doglianza riguarda, difatti, il mancato rinvio dell’udienza dibattimentale per impedimento non dell’A. , ma della C. , è altrettanto palesemente infondato nel merito, avendo il C.N.F. ampiamente e convincentemente motivato il proprio diniego all’istanza di rinvio proposta dall’avv. C. per essere l’impedimento lamentato generico e non documentato quanto alla nella specie impredicabile assoluta impossibilità a comparire f. 5 del provvedimento impugnato . 5 3. Con il secondo motivo, si denuncia difetto di adeguata motivazione a fondamento della decisione - mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato - violazione di legge artt. 45 R.D.L. 1578/1933, 48 n. 2 R.D. 37/1934, 24 comma 2 Cost. 5 4. Con il terzo motivo, si denuncia illegittima applicazione della sanzione disciplinare per violazione di legge in base ad una norma giuridica non vigente al momento dell’illecito contestato. 5.5. Con il quarto motivo, si denuncia un vizio di adeguata motivazione nell’applicazione della sanzione disciplinare in presenza di riconoscimento di attenuanti per assenza di altre pregresse sanzioni. 6. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione, sono manifestamente privi di pregio. 7. Tutte le censure mosse alla decisione oggi impugnata si infrangono sul corretto e condivisibile impianto motivazionale della sentenza oggi impugnata, segnatamente nella parte in cui folio 7 ss. il C.N.F. ha ritenuto, con argomentazioni scevre da vizi logico-giuridici, che l’incolpato avesse ingiustificatamente aggravato, con numerose, plurime, ingiustificate iniziative giudiziali, la situazione debitoria del cliente senza che ciò corrispondesse ad effettive ragioni di tutela del credito vantato, inerendo esse, e tutte, al medesimo rapporto professionale, in esito alla ritenuta pervicacia del comportamento reiteratamente assunto da esso difensore incaricato dalla co-incolpata. 8. Censurabile, in particolare, è stato condivisibilmente ritenuta l’introduzione di giudizi separati e l’attivazione di contestuali e plurime procedure esecutive aventi ad oggetto il medesimo credito, diversificando i soggetti esecutati e generando in tal guisa l’accrescimento ingiustificato del debito complessivo per onorari, competenze e spese di lite in danno dei clienti debitori. 9. Correttamente, peraltro, il C.N.F., considerando la minor gravità della condotta dell’A. , l’assenza di precedenti disciplinari, e la tipizzazione della condotta introdotta dal nuovo codice di deontologia forense, ha applicato nei suoi confronti la sanzione base della censura, non ritenendola meritevole di aggravamento. 10. Appare, pertanto, palese che tutti i motivi, sì come articolati, pur lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, in realtà, nella non più ammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo della violazione di legge e della omissione tout court della motivazione, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dal Consiglio nazionale dell’ordine, muovendo così all’impugnato provvedimento censure del tutto inammissibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie in atti e tra esse il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla rilevanza delle acquisizioni documentali , al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui il ricorso alle sezioni unite della Corte avverso i provvedimenti disciplinari del C.N.F. non conferisce, entro i ristretti limiti della sua proponibilità, in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica – delle valutazioni compiute dall’organo disciplinare d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione. Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali dello speciale giudizio di legittimità così come introdotto sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto ormai cristallizzate quoad effectum sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dall’organo di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente a porsi dinanzi al giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alla spese del giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.